Gentile Direttore,
la nostra Associazione ha seguito con attenzione le recenti dichiarazioni della senatrice Murelli relative agli emendamenti che la Lega avrebbe proposto al DDL Prestazioni Sanitarie. Nello specifico, la Senatrice avrebbe riscontrato una presunta necessità di ridefinire l’atto medico così da includervi, in qualche modo, anche le prestazioni fornite da altri professionisti sanitari. A una prima lettura, si potrebbe pensare a una proposta finalizzata a dare maggiore dignità e riconoscimento alle professioni sanitarie non mediche.
In realtà, leggendo nel dettaglio i suoi emendamenti, la questione appare meno chiara e, al tempo stesso, potenzialmente pericolosa.
Da un lato, infatti, la senatrice parla di “ridefinire” l’atto medico, quasi fosse qualcosa di normato da una legge che si possa modificare a piacimento. Sappiamo bene che la definizione dell’atto medico non deriva da alcuna norma specifica, bensì da principi deontologici, scientifici e tecnici consolidati nel tempo e universalmente riconosciuti: si tratta di un insieme di criteri etici e scientifici che guidano il lavoro dei medici e ne distinguono il campo d’azione rispetto ad altri operatori.
Dunque, voler intervenire su questo terreno risulta già di per sé ambiguo, perché non vi è alcuna definizione formale da modificare.
Dall’altro lato, siamo preoccupati che dietro le dichiarazioni rispetto alla “dignità” delle professioni sanitarie non mediche (notate bene, dichiarazioni che negli emendamenti presentati non hanno riscontro esplicito) si celi il ben più concreto interesse a far compiere il lavoro attualmente svolto dai medici ad altre figure professionali.
In altre parole, si insinua il sospetto che, invece di investire risorse per migliorare le condizioni di lavoro e lo status retributivo di infermieri, fisioterapisti, ostetriche e tutte le altre professioni sanitarie, si tenti di spingerli a compiere mansioni che andrebbero oltre la loro formazione attuale e le loro responsabilità. È un modo, in fondo, per ridurre i costi legati al personale medico, cui competerà sempre meno l’esecuzione di determinati atti: così facendo si rischia di distruggere totalmente il nostro SSN, con evidenti danni non solo ai lavoratori, ma soprattutto ai pazienti.
In una fase storica in cui la fiducia nell’assistenza pubblica è già messa a dura prova da carenze strutturali ed economiche, demansionare ed aggiungere confusione alle competenze non giova a nessuno. Anzi, rischia di incentivare il ricorso a strutture private più costose, dal momento che la qualità media delle
prestazioni pubbliche potrebbe diminuire. Non va dimenticato che la vera priorità, se davvero si vuol valorizzare l’apporto delle professioni sanitarie non mediche, non sta nell’aumentare il loro carico di lavoro. Siamo di fronte a un quadro in cui i professionisti sanitari esistenti sono già costretti a turni massacranti in strutture non sempre all’altezza. È qui che si dovrebbe intervenire: investire in nuove assunzioni, rendere attrattivo il lavoro in corsia, aumentare gli stipendi e migliorare le condizioni delle strutture sanitarie. Questi aspetti rappresentano la vera sfida per un Servizio Sanitario Nazionale più equo, moderno e funzionale.
L’idea, invece, di ridefinire l’atto medico appare quanto meno avventata: non servirebbe a modificare lo status delle altre professioni, ma piuttosto le esporrebbe a richieste di mansioni che, per definizione, sono state pensate e codificate per chi ha compiuto uno specifico percorso formativo. Un infermiere o un fisioterapista non necessitano dell’etichetta di “atto medico” per veder riconosciuto il proprio lavoro: hanno competenze preziose e dignità professionale da valorizzare in quanto tali.
Il rischio è che a pagare le conseguenze di questa proposta siano i pazienti e i professionisti, costretti a far fronte a una confusione di ruoli che non porta alcun beneficio reale alla sanità italiana.
Il Direttivo di Giovani Medici per l’Italia