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Malattia mentale, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra i momenti clinici e psicosociali   

di Pino Pini

22 APR - Gentile Direttore
recentemente a Firenze, presso la Casa della Cultura di via Forlanini, si è tenuto un convegno sulla legge 180, organizzato da varie associazioni di utenti e familiari, dal titolo “La malattia mentale rimane fra parentesi?”. Ho rielaborato dalla mia relazione online per tale evento, ecco alcune riflessioni sulla differenza tra approccio clinico e approccio psicosociale compartecipato.

La legge 180, pur non negando l’aspetto clinico, ha una visione chiaramente psicosociale in quanto stimola i vari soggetti delle comunità territoriali a una nuova comprensione del disagio mentale anche fuori da schemi rigidamente clinici. Ritengo che la legge 180 abbia per sé tutti gli elementi per garantire un buon bilanciamento fra approccio clinico e approccio psicosociale compartecipato.

Legge 180 (modello psicosociale) 1978 – DSMIII (modello di malattia) 1980. La legge 180, soprattutto con la chiusura dell'ospedale psichiatrico, ritenuto massimo emblema di emarginazione, medicalizzazione e coercizione, enfatizza il ritorno degli internati alle loro comunità territoriali e, nel contempo, sottolinea la natura sociale, relazionale e culturale dei problemi, criticando una visione individualistica e gli eccessi della clinica, soprattutto medica.

Negli stessi anni si rafforza, d’altro canto, la prospettiva clinica individuale per la diffusione su scala globale delle nuove categorie diagnostiche legate al manuale statunitense DSM III. Nell’edizione attuale del suddetto manuale figurano oltre 300 quadri diagnostici, rispetto ai circa 100 del secondo dopoguerra. Si consolida così l’idea che i problemi risiedano più nella persona che nella collettività. Una prospettiva molto diversa rispetto al modello prevalentemente psicosociale della legge 180.

La malattia mentale rimane ancora “fra parentesi”? Il detto basagliano «la malattia mentale va messa fra parentesi» resta attuale per la persistente incertezza sulla natura di molte cosiddette malattie mentali. Nonostante i progressi scientifici, mancano riscontri oggettivi sulla validità e affidabilità delle diagnosi psichiatriche, che restano descrittive e non causali, nonostante quanto sostenuto da importanti organizzazioni. Un articolo finlandese del 2024 (https://doi.org/10.1159/000538458) affronta il tema della “reificazione delle diagnosi”, evidenziando come la depressione venga spesso presentata come una malattia oggettiva, da trattare con interventi individuali precoci, trascurando il contesto sociale, relazionale e culturale; tendenza coerente con il pensiero neoliberista oggi dominante.

Approccio clinico e approccio psicosociale compartecipato. L’approccio clinico si fonda sulla malattia individuale (medica o psicologica), si attua nei servizi e usa il linguaggio delle evidenze scientifiche (sapere globale). Il rapporto con la comunità, quando esiste, mira all’integrazione nel territorio della persona considerata inesorabilmente malata ed e’ orientato alla prevenzione secondaria, intesa come rilevazione precoce dei sintomi. L’approccio psicosociale compartecipato guarda invece alla persona nel contesto locale, promuove relazioni alla pari e mira a dare significato al disagio in rapporto al contesto personale, relazionale e culturale con una prospettiva di prevenzione primaria. Si favorisce nel contempo lo sviluppo di comunità e un sapere locale (https://philpapers.org/rec/BRAPMH 2005) che consentano di guardare alla sofferenza mentale come parte dell’esperienza umana comune, limitando l’eccessivo ricorso a interventi specialistici non di rado inappropriati.

I progetti psicosociali compartecipati si ispirano, da una parte, alle esperienze di trasformazione di reparti psichiatrici in comunità residenziali (esperienze sviluppatesi soprattutto nel Regno Unito fin dal secondo dopoguerra) e dall’altra, allo sviluppo di gruppi di auto aiuto psichiatrico e di associazioni di salute mentale che hanno inziato a diffondersi anche in Italia negli anni 80/90. Cio’ ha contribuito a promuovere il passaggio dal modello clinico a quello comunitario. Al di la della diade terapeuta-paziente, si sviluppano rapporti in cui utenti, familiari, operatori e altri soggetti del territorio costruiscono, soprattutto fuori dalle sedi dei servizi, percorsi condivisi partendo da esperienze di sofferenza personale.

La preponderanza degli aspetti clinici. Oggi, anche per l’estesa offerta di nuove diagnosi e relativi rimedi terapeutici, si privilegia l’approccio clinico sperando in soluzioni rapide e semplici. Speranza che pero’ sembra sempre meno rispondere alla realta’ in quanto si finisce non di rado in circuiti di cure prolungate cronicizzanti. Gli aspetti psicosociali sono spesso ridotti a estensione del momento clinico, attraverso supporti psicoeducativi focalizzati sulla malattia da parte di operatori, familiari, carers, ex pazienti, etc. La malattia, tornata centrale, viene considerata la causa dell’anomalo funzionamento della persona. I fattori sociali, culturali, relazionali ed educativi perdono rilevanza. Alle comunita’ si chiede di accogliere e sostenere le persone definite malate secondo gli attuali strumenti diagnostico-terapeutici la cui validita’ scientifica e relativa affidabilita’ pongono pero’ non pochi dubbi. Considerare l’approccio psicosociale come una semplice appendice di quello clinico è rischioso, poiché il sapere globale, se eccessivamente dominante, tende a impoverire le relazioni nel contesto di vita, cioe’ quel sapere locale che nasce dall’esperienza diretta tra le persone.

La Casa della Cultura, auto-aiuto e nuovi equilibri. Sono coinvolto fin dal 1980 nell’esperienza della Casa della Cultura di Firenze insieme a operatori, utenti e volontari, collaborando allo sviluppo dell’auto-aiuto e del progetto Esperienze Compartecipate e Comunità Locali (https://youtu.be/fIt1pG_Vmb0) e contribuendo al dibattito tra modello clinico e psicosociale. Quest’ultimo progetto, promuovendo un nuovo rapporto tra operatori e utenti, mira a superare la divisione tra «Noi» e «Loro» che caratterizza la maggior parte dei servizi dominati dal modello clinico. Pur riconoscendo l’utilità del modello clinico in varie situazioni, è opportuno pero’ che il concetto di malattia mentale continui a rimanere “fra parentesi”.

Ritengo che vada creato un nuovo equilibrio tra i momenti clinici e psicosociali, articolandoli in modo appropriato e rispettandone le differenze teoriche e pratiche. Il rilancio del modello psicosociale e il suo affrancamento dalla attuale subordinazione rispetto al modello di malattia si puo’ realizzare attraverso lo sviluppo di azioni comunitarie, che coinvolgano attivamente tutti i soggetti interessati, su esperienze di disagio che spesso non sono riconducibili a malattia, ma a fattori individuali, relazionali, sociali e culturali. Questo contribuira’ a riprendere lo spirito della legge 180, che chiudendo gli ospedali psichiatrici e restituendo le persone al territorio, ha voluto voltare pagina su un’epoca in cui la malattia e l’ospedalizzazione nascondevano numerosi problemi complessi che la società non sapeva affrontare.

Pino Pini
Psichiatra NHS Londra (già Coordinatore Dipartimento Salute Mentale ASL Prato)

22 aprile 2025
© Riproduzione riservata

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