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I Servizi di salute mentale e le proposte dell’Intelligenza artificiale per uscire dall’impasse

di Andrea Angelozzi

29 APR -

Gentile Direttore,
dopo la lucida descrizione, fatta da due motori di AI (ChatGPT e Deep Seek), circa la situazione dei servizi psichiatrici pubblici e la natura del divario fra le dichiarazione di attenzione da parte di politici ed amministratori ed il costante sotto-finanziamento, era naturale domandare loro che cosa aveva senso fare per avere maggiori risorse e servizi più efficienti.

Ancora una volta la risposta è stata ricca e sorprendente, con diverse ipotesi che cerco qui di riportare, seguendo strettamente il linguaggio utilizzato dalle AI.

Sostanzialmente i suggerimenti si articolano su alcuni concetti base.

Entrambe le AI concordano nel mettere al primo posto la “pressione dal basso, creando cioè una domanda sociale forte”, dove le persone devono iniziare a “parlare pubblicamente di salute mentale, chiedere diritti, servizi, strutture”. Si tratta di una “mobilitazione collettiva di utenti, familiari, operatori, associazioni, che porti la questione all’attenzione dell’opinione pubblica” e che attraverso “campagne di sensibilizzazione, petizioni, presidi, incontri pubblici”, consenta di “trasformare un bisogno silenzioso in una domanda politica esplicita”. Questo coinvolgimento pubblico si lega ad una azione più incisiva sullo stigma e la disinformazione che "impedisca di considerare la salute mentale un problema di ‘pochi sfortunati’”. Per fare questo occorre anche sviluppare una educazione a scuola sulla salute mentale, e lavorare con i media per sostituire le narrazioni sensazionalistiche o violente con “testimonianze pubbliche (pazienti, famiglie, operatori) che mostrino dati concreti sull’impatto positivo della cura psichiatrica ben strutturata e che il problema può riguardare tutti”. L’impatto viene amplificato creando “reti tra operatori, utenti, medici di base, educatori, sindacati, politici sensibili”, per proporre riforme serie e condivise.

Il secondo concetto base riguarda l’acquisizione e l’utilizzo di dati. Secondo ChatGPT è essenziale “richiedere trasparenza e responsabilità alla politica, mettendo i politici di fronte a dati, numeri, promesse non mantenute, monitorando i bilanci regionali e nazionali, verificando i fondi stanziati”, e costruire “rapporti periodici su tagli, carenze, liste d’attesa”. Questi dati vanno usati per “porre domande pubbliche precise”, oltre a mostrare, con i risultati di studi e ricerche, “quanto convenga investire nella salute mentale in termini di riduzione della spesa sanitaria complessiva e miglioramento della produttività sociale”.

Un terzo punto riguarda la organizzazione. Deep Seek è molto dettagliato in questo ambito e propone, oltre ad una” legge quadro sulla salute mentale (aggiornamento della Legge 180)”, la necessità di un fondo nazionale permanente (es. 5% del FSN, Sanità), con sanzioni per le Regioni che non lo utilizzano in verifiche triennali, insieme ad una “fiscalità di sostegno con detrazioni fiscali per chi usa servizi psichiatrici”. Propone come indicatori di efficacia: il % di pazienti con piano terapeutico individuale, il tasso di ri-ospedalizzazione a 6 mesi ed i dati per i tempi di attesa per prima visita.

ChatGPT insiste in particolare sul rimettere al centro il territorio, richiamandosi a tre punti della riforma indicata dalla L.180/78: cura nel territorio, vicinanza alla persona, inclusione sociale, “invertendo la tendenza alla cronicizzazione e l’abbandono”. Di qui la necessità di un maggiore numero di centri di salute mentale aperti e accoglienti, e di reali progetti di riabilitazione psicosociale, con una piena collaborazione fra servizi sanitari, sociali e comunità locali. In questo senso Deep Seek sottolinea anche la importanza di “sportelli psicologici obbligatori in tutte le scuole superiori (finanziati con fondi MIUR)”, la “formazione su stress lavoro-correlato (obbligo per aziende >50 dipendenti), la co-progettazione con associazioni (es. Club Alcologici, utenti ex-pazienti) e bonus per affitti a cooperative sociali che gestiscono housing protetto.

Entrambe le AI si soffermano sulla necessità di avere un numero adeguato di operatori, adeguatamente formati e dignitosamente retribuiti.

Ma soprattutto entrambe la AI sono concordi nell’affermare la necessità di coinvolgere i pazienti e i familiari nelle decisioni relative alla programmazione, organizzazione e valutazione della qualità dei servizi, ribadendo che “nessun servizio può funzionare bene se chi lo vive in prima persona non ha voce in capitolo”.

Si tratta di proposte molto interessanti. Certo non risolvono alcune questioni di fondo in cui si dibatte l’attuale psichiatria italiana, lacerata anche fra modelli ideologici/scientifici diversi, che in ogni caso non erano parte della richiesta. Ma hanno soprattutto un pregio: mostrano che affrontare la questione della crisi della salute mentale in Italia non può essere fatto solo con singole proposte parcellizzate (siano modifiche legislative o nel finanziamento o ancora qualche linea di indirizzo nella organizzazione) richiedendo invece una visione di insieme. E che questa non può prescindere da una attenzione ed una domanda sociale forte per la salute mentale, dove vi sia una partecipazione diretta, da parte di coloro a cui sono destinati, nel pensare i servizi in modo diverso dall’attuale. In sostanza ricreando il clima culturale e sociale che aveva a suo tempo portato alla Legge 180/78.

Sarà interessante confrontare queste proposte, nate nei circuiti di un po’ di processori, con quelle che saranno presenti nel prossimo documento programmatico ministeriale sulla salute mentale, di cui è stata più volte annunciata la imminente uscita.

Andrea Angelozzi

Psichiatra



29 aprile 2025
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