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Non ci sono solo i medici e gli infermieri

di Saverio Proia

30 APR -

Gentile direttore,
ho letto con attenzione il documento della Conferenza delle Regioni e Province autonome sulla questione del personale del SSN, si tratta di una sintesi e forse la lettura completa del documento potrebbe arricchire, integrare o mutare il giudizio. L’analisi e le proposte della Conferenza delle Regioni e Province autonome giungono puntuali in relazione all’impegno assunto dal Governo nell’iniziativa di presentazione del documento finale dell’indagine sulle professioni sanitarie svolta dalla Commissione Affari Sociali della Camere, alla quale ho partecipato con interesse.

Questo documento ha evidenziato la complessità della questione delle professioni della salute sia nelle sue linee generali ma soprattutto nelle varie articolazioni professionali che costituiscono la plurale ricchezza della “risorsa lavoro” del SSN dandone uno spaccato abbastanza descrittivo anche se non si sono delineate completamente le soluzioni perlopiù bensì affidate ai desiderata di chi era stato audito all’interno dell’indagine parlamentare.

Parlamento e Governo hanno preannunciato che per affrontare e, si spera, avviare a soluzione l’insieme delle questioni delle professioni della salute una specifica disposizione legislativa non si sa delle olistica oppure differenziata per professione, se così fosse si tratterebbe di un provvedimento di enorme rilevanza intrinseca ed estrinseca e per questo dovrebbe, a mio giudizio, essere un provvedimento che venga costruito e licenziato con la massima condivisione e partecipazione non solo dei gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione ma anche delle rappresentanze ordinistiche, professionali, scientifiche e sindacali dei professionisti della salute quali diretti interessati del provvedimento.

Se si fosse, tutti, disposti a accogliere questa sfida, senza remore o preconcetti, per costruire ed emanare il preannunciato provvedimento di intervento sulle professioni della salute, non si farebbe l’interesse di una parte politica o dell’altra o di una professione rispetto ad altre, bensì solo quello dell’intera Nazione, il cui bene primario per il suo sviluppo economico, sociale e politico è costituito dalla tutela e promozione della salute individuale e collettiva e gli attori per realizzarla di giorno e di notte sono, appunto, i professionisti della salute: la storia delle leggi in materia di salute e di professionisti della salute insegna che di norma maggioranza sono state approvate all’unanimità o a larghissima maggioranza, sarebbe “cosa buona e giusta” rispettare questa tradizione e consuetudine parlamentare…

Il contributo della Conferenza delle Regioni e Province autonome contiene certamente parti quanto mai condivisibili e sarebbe quanto mai positivo che venissero condivise da Parlamento e Governo; tuttavia, mi sarei aspettato una visione più coraggiosa ed un altrettanto coraggiosa strategia per uscire a regime dalla crisi delle professioni della salute e non solo con alcuni importanti provvedimenti.

Innanzitutto, la lettura del documento, anche se non è certamente l’intenzione di chi lo ha scritto, citando nella descrizione dei problemi e delle soluzioni solo due professioni, sembrerebbe intravedere una concezione di una sanità “binaria” composta da medici ed infermieri, certamente centrali e strategici ma che oscura la vera sanità che è “plurale” dove ogni professione della salute è altrettanto centrale e strategica con analoghi problemi di riforma ordinamentale e formativa.

Appare evidente che sia altrettanto cronica la carenza di tecnici della prevenzione che potrebbero contribuire ad evitare la mattanza quasi quotidiana di morti sul lavoro o intervenire con maggior forza nella prevenzione ambientale ed alimentare, come sia preoccupante per lo stato demografico e nosologico la carenza, come denunciato da OMS Europa, di professionisti della riabilitazione (fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali etc), non parliamo, poi, dell’insufficiente presenza di psicologi nel SSN nonostante l’acclamato grave quadro del disagio psicologico non solo fra i giovani e la necessità che non degeneri in patologie psichiatriche, così come la carenza di assistenti sociali nelle Aziende sanitarie per attuare realmente l’integrazione sociosanitaria, solo per fare alcuni esempi ma se ne potrebbero fare altrettanti.

La vocazione istituzionale del SSN è quella di garantire ai cittadini lo stato di benessere biopsicosociale come giustamente indica l’OMS e come ricorda la targa all’ingresso del Ministero della Salute non solo assenza di malattia e una sanità tutta centrata sulle due famiglie più numerose (medici ed infermieri) può facilitare lo stato di assenza di malattia ma non garantisce integralmente il diritto allo stato di benessere biopsicosociale.

Certamente è positivo aver messo al centro la questione stipendiale per l’evidente dato che ogni professionista della salute non solo ha retribuzioni largamente inferiori alla quasi totalità dei suoi colleghi europei ma anche inversamente proporzionali alle sue responsabilità e professionalità che non hanno pari in altri comparti lavorativi: qui mi sarei atteso, dopo le dichiarazioni del Presidente della Regione Lazio, una coraggiosa ed opportuna richiesta di portare la contrattazione sindacale presso il Ministero della Salute, liberandola dalle logiche dell’ARAN, facendo del personale della sanità una categoria speciale con norme speciali per chi è formato, abilitato e assunto per tutelare il bene primario come quello della salute individuale e collettiva, costituzionalmente garantito, unificando in un’unica grande negoziale filiera dei “professionisti produttori di salute” i contratti pubblico, privato, convenzionati, sviluppando il loro protagonismo positivo e facendo del contratto uno dei principali strumenti per attuare la programmazione sanitaria e sociosanitaria condivisa, compresa e concertata con chi la deve attuare quotidianamente.

Sono certamente condivisibili le scelte di intervento sulla professione infermieristica, ma non si comprende perché le medesime proposte, per esempio i percorsi di carriera professionali, avanzati e specialistici nonché le lauree specialistiche professionalizzanti e non di area non debbano essere parimenti previste per altre professioni sanitarie della legge 251/00 per le medesime finalità non solo di valorizzare i professionisti ma per mettere in condizione di garantire prestazioni per la salute nelle modalità migliori possibili per le utenti e gli utenti del SSN.

Così come non ho colto che sia stata recepita, al contrario del documento della Commissione Affari Sociali sopra ricordato, la necessità di integrare alle modalità presenti negli altri Stati europei la modalità nella quale svolgere e inserire meglio nell’organizzazione del lavoro i medici specializzandi, con veri e propri con contratti di formazione lavoro regolati all’interno del CCNL della dirigenza medico e sanitaria, che garantiscano pari diritti normativi e previdenziali al pari degli strutturati pur tenendo conto che si tratta di dirigenti in formazione ma già abilitati all’esercizio professionale prevedendo eguale soluzione anche per gli altri specializzandi dei profili della dirigenza sanitaria per ovvi principi di eguaglianza costituzionale.

A parte un accenno all’assistente infermiere la questione degli OSS non è delineata nella sua necessità di porre un riordino migliore di quanto sinora prospettato negli Accordi Stato-Regioni ad iniziare da garantire anche a questi operatori le tutele della legge Gelli-Bianco, a rivedere la formazione eguale nei contenuti su tutto il SSN e da esso assicurata direttamente o con il contributo con enti all’uopo convenzionati e vigilati, nonché a prevedere un registro nazionale per combattere forme di abusivismo professionale e soprattutto a non usare solo per loro il temine personale di supporto, che ha lo stesso stigma che aveva per l’infermiere la definizione di professione sanitaria ausiliaria con ruolo ancillare, ad ognuno il rispetto della propria identità professionale.

Appare dal documento, mi vorrei sinceramente sbagliare, che le professioni diverse da medici e infermieri siano sono un problema di eccessiva presenza numerica di profili da accorpare, un fastidio non una risorsa; so benissimo che è un’operazione da fare, e quando ero al ministero ho contribuito ad iniziare, ma, a parte i proclami, sinora non si è riuscito a realizzare neanche quelli più semplici quali riunire in una sola professione l’infermiere e l’infermiere pediatrico oppure l’audiometrista e l’audioprotesista…buona fortuna per chi sia in grado di fare questa rivisitazione dei profili non in senso punitivo e regressivo bensì positivo e progressivo.

Saverio Proia



30 aprile 2025
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