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Oltre un miliardo di euro val bene un appello al Consiglio di Stato

di Fernanda Fraioli

09 MAG -

Gentile direttore,
lo hanno minacciato le Aziende dopo che ieri il TAR Lazio ha respinto il ricorso, da loro presentato contro il payback sui dispositivi medici, motivato con la ritenuta illegittimità – stimata assolutamente penalizzante – della norma che prevede il versamento di oltre un miliardo di euro per lo sforamento dei tetti di spesa sanitaria nel periodo 2015-2018.

Ricorso presentato nonostante la Corte costituzionale si fosse già pronunciata in merito, riconoscendo l’istituto in questione “legittimo e non sproporzionato” perché valutato quale “contributo di solidarietà” necessario per sostenere il SSN che versava in una grave situazione di sofferenza economico-finanziaria che non consentiva a Stato e Regioni di far fronte con pubbliche risorse alle spese sanitarie dell’intera popolazione.

In un precedente articolo pubblicato sempre su Quotidianosanità del 26 luglio 2024 – nell’immediatezza della pronuncia della Corte costituzionale di quattro giorni prima – commentavamo la pronuncia del giudice delle leggi che aveva concluso in merito sulla legittimità di tale previsione normativa, tanto che il titolo dell’articolo così recitava: “La sentenza della Consulta sul payback ha fatto chiarezza, ma non ha risolto i problemi”.

Pronunce riprese dal TAR nel passo della sentenza ove dice che “come chiarito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 140 del 2024, è rimasto del tutto indimostrato, anche nel caso di specie, che il c.d. payback abbia ridotto eccessivamente i margini di utile che le imprese coinvolte nel relativo meccanismo intendevano ed hanno conseguito dall’esecuzione degli appalti di fornitura di dispositivi medici”.

Ed infatti i problemi sono rimasti del tutto inalterati, atteso che allo scadere del termine legislativamente previsto, le Regioni hanno richiesto l’ammontare di cui erano “creditrici” a motivazione dell’assentita partecipazione da parte delle imprese al ripiano dello sforamento del tetto di spesa da parte delle Regioni.

Ed il ricorso al TAR delle Aziende non ha sortito alcun effetto (per loro) positivo, atteso che il giudice amministrativo ha riconosciuto la fondatezza della norma per il riconoscimento di tre punti fondamentali, ovvero che le imprese erano consapevoli sin dal 2015 della normativa sul payback e ben potevano organizzarsi, magari accantonando le somme che sarebbero state loro richieste a tale titolo in futuro; che il meccanismo non incide formalmente sugli appalti pubblici, anche se ne altera la sostenibilità economica ed, infine, che le contestazioni contro i provvedimenti regionali vanno presentate non al giudice amministrativo, bensì a quello ordinario (tecnicamente, un c.d. difetto di giurisdizione).

Ha, altresì, aggiunto il TAR che è “indimostrato” quanto lamentato dalle Aziende, ovvero che ad erodere il loro bilancio sia stato proprio il payback, così come recriminato e fatto valere in sede di contenzioso giudiziario, posto che “con specifico riferimento alla fissazione del tetto di spesa regionale, su cui si appuntano le doglianze della società ricorrente, deve ricordarsi che era già nota la quantificazione del tetto di spesa nazionale (fissato, a decorrere dal 2014, al 4,4% del fabbisogno sanitario nazionale standard). Questa misura è stata, poi, confermata per tutte le Regioni, indistintamente, nel 2019”.

Tanto hanno ritenuto i giudici amministrativi in risposta alle doglianze delle Aziende che lamentano ora, quali sgradevoli conseguenze di una tale decisione, in via immediata, la perdita di numerosi posti di lavoro, attesa la difficoltà di far fronte alle spese di gestione e di personale e, conseguentemente, la drastica riduzione dei servizi sanitari alla popolazione.

Ma, a fronte di tali doglianze di parte, i giudici amministrativi hanno risposto con impeccabili motivazioni giuridiche che stridono con qualsivoglia motivazione in fatto proposta, atteso che le imprese interessate “si dovevano ritenere già edotte, ex ante, dell’alea e dei rischi contrattuali insiti nella fornitura dei dispositivi medici, proprio sulla base delle norme già vigenti, e chiare nella loro formulazione, venendo in considerazione possibili rischi derivanti dalla (pur sempre prevedibile) fornitura in eccesso dei dispositivi medici rispetto al tetto di spesa individuato dal legislatore”.

Il che significa quasi un riconoscimento di superficialità da parte delle imprese che avrebbero dovuto considerare, in un’ottica di ordinaria diligenza, le dinamiche del mercato di riferimento, caratterizzato da simile previsione e, di conseguenza, ben avrebbero potuto e dovuto orientare i propri comportamenti all’insegna della prudente gestione.

Ora, quindi, che il dado è tratto, il carattere immediatamente esecutivo della sentenza comporta che l’Amministrazione debba rispettarne il dettato, dandole esecuzione mediante l’adozione di tutti gli atti e i comportamenti necessari ad attuare quanto in essa disposto, anche se non è ancora passata in giudicato (ovvero non è scaduto il termine per proporre appello).

Ciò chiaramente non impedisce agli interessati di adire il giudice di secondo grado e di chiedere la sospensione dell’esecuzione laddove si ravvisi, ma soprattutto si dimostri, la sussistenza di un danno grave ed irreparabile nelle more della decisione definitiva del giudice d’appello.

Le granitiche motivazioni espresse dal giudice – prima costituzionale, ora amministrativo – a sostegno delle decisioni adottate non ci lasciano ben sperare per un ribaltamento in appello della pronuncia, ma su un aspetto non si può non concordare con le sigle di rappresentanza delle aziende, ovvero che per “garantire la sostenibilità del sistema sono necessari cambiamenti strutturali e una governance del settore che superi il payback e preveda tetti di spesa adeguati; una visione sistemica del comparto che comprenda a pieno le problematiche industriali; una programmazione sanitaria per garantire l’allocazione efficiente delle risorse; un sistema che garantisca l’accesso rapido alle innovazioni che migliorano realmente la qualità della vita dei pazienti. Urge un intervento immediato del MEF”.

L’auspicato intervento del MEF a seguito del tavolo di lavoro che sembrerebbe essere già stato avviato per individuare una soluzione politica al payback, se lascia ben sperare alle Aziende in affanno, non lascia intravedere tempi brevi, ma soprattutto una soluzione del passato.

C’è, medio tempore, soltanto da augurarsi che quanto paventato dalle Aziende a motivo del loro disappunto – ovvero la compromissione del SSN – non si concretizzi perché davvero non possiamo permetterci che migliaia di pazienti subiscano le conseguenze dirette della mancanza di dispositivi medici “dai ventilatori polmonari agli stent coronarici, dalle protesi ortopediche fino ai dispositivi per la dialisi”, come ci viene segnalato dal vertice delle Organizzazioni di settore che si auspicano un rapido e fattivo intervento del Governo anche per scongiurare il fallimento di oltre 1500 aziende accettando la proposta delle associazioni di categoria.

Fernanda Fraioli

Presidente di Sezione della Corte dei Conti
Procuratore regionale per il Piemonte



09 maggio 2025
© Riproduzione riservata

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