Medicina generale. E se il problema fosse anche, ma non solo, economico?
di Alessandro Tumino
19 MAG -
Gentile Direttore, il dibattito intorno al medico di Medicina Generale o di Assistenza primaria (MAP) è sempre più vivo e interessante; dire che grossa parte delle sorti dell’Assistenza Territoriale ai Cittadini, e quindi del SSN in toto, dipende dalla evoluzione di questa figura, discussa ed amata nel contempo, non è una eresia.
Si discute sul ruolo giuridico, convenzionato o dipendente; si discute sull’obbligatorietà, o meno o meglio, sul come fare a farci aderire alla nuova riorganizzazione dell’Assistenza Territoriale voluta prima dal Ministro Balduzzi e poi successivamente regolamentata dal DM 77 e “controbollata” dalle “somme” del PNRR.
Il tutto mentre si svolgono convegni che cercano di studiare la perdita di “vocazione” a fare il MMG/MAP e quindi sul perché, in un contesto di carenza generale di medici, ad essere ancor più carente, in alcune Regioni drammaticamente carente, è sempre più questa figura.
Credo che vada anche posto il tema del ritorno economico, del guadagno, che può derivare da questo “mestiere” che in verità viene già ad essere penalizzato ai suoi albori, atteso che un corsista in Medicina Generale, oltre ad ottenere un titolo non spendibile quale Specializzazione Universitaria, viene remunerato con una borsa di studio che è il 50% di quella degli altri specializzandi.
Se poi andiamo ad esaminare lo status giuridico del MAP la prima enorme differenza con la maggior parte degli altri lavoratori è la assoluta mancanza di tutele e di garanzie, salve quelle che lo stesso medico si paga tramite l’ente di previdenza, e questo è ancor più inverosimile dopo la tragedia del COVID, che ha travolto centinaia di famiglie di nostri colleghi.
Guardiamo nello specifico il “cedolino” del MAP, che a parte le, a volte enormi, differenze Regionali, si caratterizza per la sua complessità; ci sono voci che tipicamente sono “stipendiali” cioè appartengono alla paga del lavoratore e ci sono una serie di “indennità”, non per tutti, proprie del lavoro in più o dei servizi in più che il MAP svolge e/o offre ai suoi assistiti. Sono ad esempio, per chi non è addentro alla questione, l’indennità informatica o quella per il personale di studio medico o le visita in assistenza domiciliare siano esse programmate che integrative, per non dire delle vaccinazioni e delle medicazioni etc.
Queste indennità sono “appesantite” dalla stessa aliquota delle voci dello stipendio; potrebbe bastare fare una tassazione separata, magari al 15% come per chi rientra nel forfettario o come si fa con i colleghi medici dipendenti che hanno contribuito all’abbattimento delle liste d’attesa, per provare a rendere anche più remunerativo un lavoro che nessuno vuole più fare e che ha perso negli anni grande parte del proprio potere d’acquisto.
Giova ricordare che gli accessi dei MAP, sia in ADP che in ADI, hanno contribuito e contribuiscono al raggiungimento di quella fatidica soglia del 10% degli ultra65enni da assistere al domicilio, che ci viene imposta dall’Europa nel contesto del PNRR ed anche corretto dire che degli oltre 41,2 milioni di contribuenti solo l’1,21% di questi dichiarano oltre 100.000 di Euro e tra questi ci sono di certo tutti i MAP cosiddetti massimalisti, che quindi contribuiscono in duplice e sostanziale maniera allo Stato Sociale, con il loro lavoro e con le loro tasse.
Intervenire parzialmente su quest’ultimo aspetto potrebbe, forse, provare a rendere più appetibile un mestiere sempre meno remunerativo e più faticoso ma sempre più bello e affascinante.
Alessandro Tumino Responsabile Provinciale Ragusa FMT-FISMU
19 maggio 2025
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