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Nelle strutture accreditate i medici invecchiano più tardi 

di Fernanda Fraioli

23 MAG -

Gentile Direttore,
il legislatore regionale non è tenuto ad allinearsi, neppure con riferimento alle strutture private accreditate, alla disciplina statale che permette una deroga solo transitoria al limite di età dei 70 anni, non essendo riscontrabile, secondo la Corte costituzionale, un principio fondamentale in merito, nemmeno ricavabile da altra norma di legge statale per il riferimento esclusivo che opera alle “aziende del SSN”, nonché ai “dirigenti medici e sanitari dipendenti” dello stesso.

Questo è quanto statuito con la recente sentenza n. 65 dello scorso 16 maggio 2025.

L’indiscussa assimilazione delle strutture private accreditate al Servizio sanitario pubblico per effetto dell’erogazione di prestazioni per conto del SSN, ha sempre fatto ritenere una sorta di adeguamento del personale ivi operante a quello pienamente pubblico, non soltanto per le eventuali responsabilità conseguenti ad episodi di mala gestio o di malasanità, ma anche molto più semplicemente per l’applicazione delle norme afferenti allo status degli operatori sanitari.

Quindi, la norma statale – che prevede che i dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale (SSN) siano collocati a riposo al compimento del 65mo anno di età, consentendo comunque loro di permanere in servizio al fine di maturare 40 anni di servizio effettivo, purché non venga superato il limite massimo di 70 anni di età e che ciò non comporti un aumento del numero dei dirigenti – è sempre stata ritenuta applicabile anche al personale esercente la professione presso le strutture private accreditate.

Ma l’art. 8, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 24 (che ha sostituito il comma 8 dell’art. 12 della legge 2 maggio 2017, n. 9 della medesima Regione) – recante la Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private – ha stabilito che alle strutture private accreditate con il SSR e a quelle autorizzate all’esercizio non si applica il limite di età massimo per lo svolgimento della funzione di responsabile sanitario previsto per le strutture pubbliche dalla legge statale (il d.l.vo n. 502/92).

Tanto ha fatto gridare alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui esclude l’applicabilità, al responsabile sanitario delle strutture private accreditate, del suddetto limite massimo di età, che, integrando un principio fondamentale nella materia “tutela della salute”, sarebbe invece applicabile anche alle menzionate strutture, poiché queste, come da giurisprudenza della medesima Corte, erogano prestazioni per conto del SSN, e farebbero quindi parte del sistema sanitario pubblico.

La norma regionale, ad avviso della Presidenza del Consiglio che ha impugnato tramite Avvocatura Generale dello Stato, di cui ha sollevato questione di legittimità costituzionale, avrebbe avuto anche un’altra pecca e, precisamente l’entrata della disciplina “a regime” e non in modo transitorio.

Circostanza questa che non la renderebbe conforme alla legge che autorizza le aziende del SSN a trattenere o a riammettere in servizio i dirigenti medici e sanitari dipendenti del Servizio sanitario stesso fino al compimento del 72mo anno di età, in deroga al d.lgs. n. 502 del 1992, ma temporaneamente, ovvero non oltre la data del 31 dicembre 2025.

L’opposizione della Regione Puglia a sostegno della bontà del proprio operato ha trovato sponda in una serie di motivazioni che spaziano dal difetto di motivazione che lascerebbe senza spiegazione l’applicabilità delle norme interposte anche alle strutture private accreditate, benché queste non siano contemplate dalle medesime norme; all’utilità della previsione normativa per superare le difficoltà specifiche di settore che si incontrano nel reperire medici cui affidare l’incarico di responsabile sanitario; alla necessità di garantire la libertà di iniziativa economica a tutte le strutture sanitarie private e, dunque, anche a quelle accreditate, passando per la segnalazione dell’AGCM del giugno 2020 secondo la quale l’applicazione del limite di età previsto da questa norma statale al responsabile sanitario delle strutture private avrebbe determinato una “ingiustificata limitazione alla prestazione dei servizi professionali da parte dei medici, restringendo così l’offerta di tali servizi”, oltre che una compressione della libertà di iniziativa economica e dell’autonomia gestionale delle strutture medesime, che non troverebbero giustificazione nemmeno in riferimento alle strutture accreditate e alla circostanza che queste godono “di un regime complementare rispetto a quello pubblico, da cui ricevono un budget”.

A fronte di tali opposte doglianze, la Corte costituzionale salomonicamente ha stimato di ritenere le sollevate questioni di legittimità non fondate, sull’assunto di aver già precisato – sulla base di una propria posizione giurisprudenziale già espressa – che l’art. 15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 “si inserisce nel quadro normativo della disciplina del lavoro pubblico”, per cui i limiti in esso previsti non possono essere estesi alle strutture che operano nel settore privato, cui deve essere riconosciuta una spiccata autonomia gestionale.

Come pure ha riconosciuto l’assenza di un principio fondamentale espressamente ricavabile da una norma statale, o che si possa evincere in via sistematica, in forza del quale il responsabile sanitario di struttura privata, oltre a possedere i requisiti di professionalità, debba avere età inferiore ai 70 anni.

Ritenendo estensibili le medesime conclusioni anche alle strutture private accreditate.

Con specifico riferimento all’età pensionabile di cui si discute, la Corte ha ritenuto che la disciplina normativa del SSN, prevede che, per esercitare attività sanitarie “per conto” del Servizio medesimo, le strutture già autorizzate oltre all’accredito dalle Regioni, devono possedere requisiti ulteriori di qualificazione in base a “criteri generali uniformi”, definiti a livello statale con apposito atto di indirizzo e coordinamento, a sua volta emanato nel rispetto dei “criteri e principi direttivi” previsti dalla norma tra i quali non figurano previsioni statali che attengono al limite di età del responsabile sanitario di struttura privata.

Come pure non contempla il limite di età il principio dell’adeguatezza delle “condizioni di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa e alla qualificazione professionale del personale”.

Quindi, pur riconoscendo che mediante l’accreditamento istituzionale, le strutture private entrano a far parte del sistema sanitario pubblico, erogando prestazioni per conto del servizio sanitario, al contempo, deve essere esclusa una loro equiparazione a quelle pubbliche, poiché non sussiste “omologia”, in considerazione della evidente diversità delle situazioni delle strutture private che erogano prestazioni per conto del S.S.N.

L’accreditamento, infatti, attribuisce, sì, lo status di soggetto idoneo a erogare prestazioni per conto del SSN, che quindi giustifica la presenza di un potere pubblicistico particolarmente intenso, ma non determina una mutazione ontologica della natura delle strutture private accreditate e dei relativi rapporti di lavoro.

Si attribuiscono, attraverso l’accreditamento, che presenta i caratteri tipici di un atto attributivo di compiti pubblici, la configurazione di soggetti che erogano un servizio pubblico e al pubblico, ma non in qualità di organi delle Aziende Sanitarie, bensì all’insegna della loro identità.

Così che, per le strutture private accreditate “non si evidenzia quella prevalenza della funzione pubblicistica tale da far scolorare il carattere imprenditoriale dell’attività” svolta, come con molta chiarezza, avevano già in passato affermato perfino le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.

Quindi, ha ritenuto la Corte costituzionale, le strutture private accreditate non possono ritenersi tout court equiparate a quelle pubbliche, il che porta ad escludere che le esigenze di carattere organizzativo/occupazionale sottese alla disciplina del lavoro pubblico, ricorrano allo stesso modo con riferimento alle strutture accreditate, la disciplina dei cui rapporti di lavoro resta invece attratta al regime privatistico.

Motivo per cui al legislatore regionale non è precluso, nell’esercizio della propria autonomia legislativa nella materia concorrente “tutela della salute”, discostarsi dalla previsione suddetta.

Senza contare, poi, che il vincolo legato all’età anagrafica anche dal legislatore nazionale è stato più volte derogato allo stesso fine, ovvero quello di garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e di fronteggiare la carenza di medici specialisti, sino al 31 dicembre 2022, in deroga alle previsione normativa statale secondo cui i dirigenti medici del SSN potevano chiedere il trattenimento in servizio anche oltre il limite del 40mo anno di servizio effettivo, fermo restando il limite del 70mo anno di età.

Questa ripetuta serie di deroghe mette in evidenza, da un lato, la situazione di grave sofferenza del SSN per carenza di personale medico, (segnalata in precedenza dalla stessa Corte costituzionale), dall’altro, che il limite di età previsto dalla norma statale, a distanza di molti anni, dato l’innalzamento dell’aspettativa di vita, potrebbe rivelarsi, in linea generale, ormai anacronistico.

Del resto, proprio la Corte ha avuto modo di rilevare che “l’età non costituisce un requisito essenziale nell’esercizio della funzione disciplinata dal legislatore regionale e non appare, pertanto, irragionevole che al vertice delle strutture autorizzate si collochi un direttore sanitario che abbia superato il settantesimo anno di età”.

Fernanda Fraioli
Presidente di Sezione della Corte dei Conti
Procuratore regionale per il Piemonte



23 maggio 2025
© Riproduzione riservata

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