Diritto alla disconnessione: una questione di salute, non solo di lavoro
di Domenico Della Porta
16 OTT -
Gentile Direttore,
nel comparto sanità molti dipendenti prestano i loro servizi a distanza, in maniera parziale, utilizzando gli strumenti TIC, tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ci consentono di rimanere sempre connessi. Trattasi di un rischio per il benessere psico-fisico, ha evidenziato EURES, l’Agenzia dei Servizi Europei per l’impiego in un recente Report, verso il quale è fondamentale salvaguardare del tempo per noi stessi e la nostra salute.
Dai dati ottenuti nel corso dell’ultima indagine telefonica sulle condizioni di lavoro in Europa è emerso che i telelavoratori spesso fanno orari di lavoro aggiuntivi – e non retribuiti – solo perché gli strumenti digitali rendono estremamente difficile stabilire i confini tra vita professionale e vita personale.
Inoltre, secondo un sondaggio condotto da Eurofound sui dipendenti e sui responsabili delle risorse umane, il 45% dei soggetti ha dichiarato che il proprio datore di lavoro seguiva una politica basata sul «diritto alla disconnessione», ma quasi l’80% ha dichiarato di aver ricevuto regolarmente comunicazioni relative al lavoro al di fuori dell’orario di lavoro.
Dal 2020 sono state approvate nuove leggi specifiche sul diritto alla disconnessione in Belgio, Croazia, Grecia, Irlanda, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Questo è stato il risultato diretto della necessità di migliorare la sicurezza e la salute sul lavoro di tutti i lavoratori (a distanza e in loco) che utilizzano strumenti digitali per il lavoro, prevenendo così i rischi legati al fatto di essere connessi in permanenza.
Nel complesso le politiche riguardanti il «diritto alla disconnessione» attuate negli Stati membri e nelle aziende hanno avuto effetti positivi sulla salute e sul benessere dei dipendenti, con un maggior numero di lavoratori che si dichiarano soddisfatti del lavoro, rispetto a quei paesi dove tali politiche sono inesistenti. Tuttavia, per poter assistere a un cambiamento duraturo, la legislazione in materia deve essere accompagnata da una sensibilizzazione dei lavoratori agli effetti negativi della cosiddetta «connessione permanente» e devono essere adottate ulteriori misure a livello aziendale e poi adattate a ciascun ambiente di lavoro specifico.
A parte la legge del 6 maggio 2021, n. 61 che stabilisce: “[…] è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”, nel nostro Paese è stato pubblicato agli inizi del mese il DDL S 1290 del Senato, primo firmatario il senatore Filippo Sensi, assegnato alla Competente Commissione e non ancora iniziato l’esame.
Nel documento emerge che trattasi di una questione di interesse della Medicina del Lavoro in quanto dalla relazione illustrativa viene sottolineata una diretta conseguenza dei processi legati alla “disconnessione” con l’emergere di una diffusa consapevolezza della necessità di trovare un giusto equilibrio e contemperamento tra le nuove opportunità offerte dall’innovazione tecnologica e il rispetto della sfera privata del lavoratore e del controllo del proprio tempo libero.
Vengono indicati altresì i rischi di stress e disturbi legati al lavoro, quali il tecnostress, ovvero lo stress derivato da un utilizzo lavorativo non corretto delle nuove tecnologie, che porta a sovraccaricare i flussi di informazione generando ansia, insonnia e mal di testa o la sindrome da burnout, ovvero un grave logorio psichico ed emotivo derivato dallo stress lavorativo che può sfociare in disturbi dissociativi, aggressività e svariate problematiche fisiche, nonché l'abbassamento della produttività.
La disconnessione comporta: non rispondere alle comunicazioni, a e-mail, chiamate o messaggi di lavoro durante gli orari non lavorativi, senza che questo comporti conseguenze negative; non essere sollecitati da datori di lavoro e colleghi al di fuori del normale orario di lavoro; protezione della sfera privata garantendo che i confini tra la vita lavorativa e quella personale siano mantenuti, evitando la permeabilità del tempo di lavoro in quello personale.
In questo modo si otterrà benessere psicofisico consentendo ai lavoratori di riposare e ricaricarsi, favorendo una produttività maggiore a livello aziendale.
Domenico Della PortaReferente Federsanità per la Salute e Sicurezza sul Lavoro
16 ottobre 2025
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