il tema dell’esercizio libero professionale da parte degli Infermieri del SSN in Italia è un argomento che viene dibattuto da molti anni e in questi ultimi mesi è diventato di maggiore attualità a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 3-quater del DL 127/2021, convertito dalla legge 165/2021, come modificato dall’articolo 13 del DL 34/2023, convertito nella L. 56/2023 “Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l'acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché' in materia di salute e adempimenti fiscali”.
Il mio contributo non vuole entrare nell’agone polemico del perché le amministrazioni sanitarie pubbliche in oggi non stiano procedendo al rilascio delle previste autorizzazioni ai colleghi che ne hanno fatto richiesta, quanto portare alla luce gli innumerevoli benefici che dall’applicazione della norma di cui sopra ne possono derivare alla popolazione e allo stesso sistema sanitario nazionale.
È indubbio che la formulazione dell’art 13 della citata Legge n. 56/2023 risulta infarcita di innumerevoli criticità giuridiche che impediscono la fluidità applicativa stante l’intreccio di norme che regolamentano in Italia la condizione di divieto del cumulo di impieghi e l’esclusività del rapporto di lavoro per i dipendenti pubblici. Nel dettaglio la norma citata non fa chiarezza sul diritto ad esercitare il doppio regime di rapporto di lavoro, esclusivo e non esclusivo, perché delinea unicamente il percorso vigente per la dirigenza medica dell’attività extramoenia ma con ulteriori complicanze quando prevede disposizioni in materia di rispetto della normativa sull'orario di lavoro e sull’obiettivo delle Aziende sanitarie relativo allo smaltimento delle liste di attesa. L’unico ambito di chiarificazione è quello relativo a quale regime giuridico, fiscale e previdenziale debba sottostare l’attività libero professionale poiché rientra nella fattispecie di cui all’art. 2229 e segg. del cc con apertura di Partita IVA e versamento dei contributi previdenziali alla rispettiva Cassa previdenziale ENPAPI.
Ma il dibattito odierno sul mancato adempimento di quanto previsto dall’art. 13 della Legge n. 56/2023 risulta limitativo se ci si limita alla disciplina vigente in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi extraistituzionali perché viene messo in ombra il grande potenziale di sviluppo dell’assistenza infermieristica a beneficio della popolazione e del sistema sanitario quando verrà riconosciuta a tutti gli Infermieri italiani la piena dignità all’esercizio autonomo della professione.
Infermieri e Cure mancate
Come descritto dal recente Rapporto sulle libere professioni – anno 2022, curata da Confprofessioni, l’Italia è un Paese di liberi professionisti con oltre 1,4 milioni di liberi professionisti, i quali rappresentano il 28,5% del lavoro indipendente. Una quota rilevante, superiore a quella di tutti gli altri paesi europei che conferma l’Italia il Paese con il maggior numero di professionisti in Europa ma con la sottolineatura che nelle professioni ordinistiche permane tuttavia un ampio divario reddituale di genere.
In Italia possiamo stimare oggi una carenza di personale infermieristico pari a circa 65.000 unità, un dato che non è solamente numerico ma ha il significato di cure mancate alla popolazione soprattutto agli over 75 e alle persone con fragilità e disabilità con una tendenza ancor più peggiorativa vista la scarsa propensione e attrattività a intraprendere la professione infermieristica in Italia da parte dei giovani per questioni sia economiche che di carriera. E in questo senso va letta anche la discutibile scelta di aumentare il numero dei posti per la laurea in medicina e chirurgia all’interno di un paese dove il rapporto Infermieri/medici è pari a 1,6 contro il 3,2 in Olanda, 3,4 in Francia, 2,7 in Germania.
In Italia sono attivi circa 399.000 infermieri (dati FNOPI 2022), di cui 280.315 dipendenti del Servizio sanitario nazionale mentre il restante numero operano come dipendenti di strutture private e private accreditate o altri enti ed ai quali occorre aggiungere ulteriori 44.193 infermieri che svolgono attività libero professionale pura.
È da questo ultimo dato numerico, i 44.193 infermieri libero professionisti che occorre far ripartire lo sviluppo dell’assistenza infermieristica alla popolazione e lanciare la sfida ai giovani perché possano tornare a gustare la bellezza di essere infermiere oggi nella mission di sempre che è la relazione d’aiuto con la persona.
La professione infermieristica al proprio interno è composta da circa il 78% di donne e al 2021 in Italia sono aumentate di 145 mila unità le donne in tutti i settori della libera professione in particolare in “Sanità” (51,4%) e complessivamente se nel 2009 i liberi professionisti valevano solo il 20% del lavoro indipendente, oggi il loro peso è salito al 28,5% e i settori economici più dinamici sono quelli legati alle professioni scientifiche e tecniche e all’area sanità.
Perché la libera professione: un Paese senza figli
Il tasso di fecondità in Italia passa da 2,41 nel 1960 a 1,24 nel 2020 e questo dato all’interno di un quadro generale di riduzione continua della popolazione dal 2015 che nell’arco degli ultimi 8 anni la popolazione residente è scesa di un milione e 363 mila unità con una riduzione dei giovani tra i 15 e i 29 anni, che passa da oltre 12 milioni nel 1996 a poco meno di 9 milioni nel 2021. Inoltre nel 2011 i lavoratori in uscita superano di oltre tre milioni le nuove leve potenziali con un trend in aumento che giunge a 6 milioni di unità al 2021. Questi dati ci dicono tre cose:
- l’attuale calo demografico non consentirà di avere un numero sufficiente di giovani che si avvicineranno alla professione infermieristica;
- la professione infermieristica necessita di interventi normativi immediati sul piano dell’incentivazione economica e di carriera per rendere la professione più attrattiva verso i giovani;
- occorre eliminare il vincolo di esclusività e il divieto al cumulo di impieghi per la professione infermieristica così da implementare la libera professione e garantire le cure infermieristiche costituzionalmente previste per i cittadini.
Queste proposte consentirebbero di avere uno sviluppo verticale delle competenze specialistiche dell’infermiere che potrebbe mettere a disposizione delle strutture sanitarie e sociosanitarie, oltre che del privato cittadino. Oltre a ciò, i maggiori e diversificati bisogni di assistenza correlati al quadro epidemiologico e demografico (invecchiamento della popolazione, aumento delle malattie croniche), concorrono a rendere necessario tale intervento, che produrrebbe effetti di sistema su più piani: ridurrebbe i tempi di attesa delle strutture sanitarie del Ssn e consentirebbe di avere uno sviluppo verticale delle competenze specialistiche dei professionisti sanitari, a vantaggio della struttura sanitaria di appartenenza e quindi della qualità dell’assistenza sanitaria.
Carmelo Gagliano