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La sentenza “Venturi”. Caro Panti, altro che illusioni!

di Ivan Cavicchi

Panti mi accusa di fomentare le illusioni dei medici ma di quali illusioni parla? Quelle per caso di poter fare il loro mestiere? Ma se fare il proprio mestiere è una illusione, per non essere illusi i medici secondo Panti cosa dovrebbero fare?

14 NOV - Se Antonio Panti si fosse preso il disturbo di leggere subito dopo il mio articolo di ieri sulla sentenza della Corte, quello che a seguire veniva subito dopo, del nostro comune amico Saverio Proia, avrebbe avuto chiaro il senso del mio articolo e della mia preoccupazione di fondo, ma soprattutto avrebbe capito cosa intendo per deontologia differenziata e magari sforzandosi un po’ avrebbe capito anche la complessità del caso Venturi e gli equivoci giuridici e non solo che la Corte ha scatenato con la sua sentenza. Forse avrebbe fatto anche un po’ di autocritica anche se non credo che ne sia capace.
 
La Corte inappellabile ma non infallibile
La Corte sarà pure inappellabile e nei suoi confronti il massimo rispetto ma resta pur sempre una impresa umana e quindi per sua natura fallibile e come qualsiasi impresa umana è sensibile alla propria sensibilità che per definizione è indecontestualizzabile.
 
Per nessuna istituzione è possibile pensare e agire nel vuoto assoluto perché in una società il vuoto assoluto non esiste.
 
Oggi proprio la sanità in Emilia Romagna è al centro della contesa politica tra PD e Lega, una contesa storica dalla quale probabilmente dipende addirittura il futuro del governo e i futuri assetti del quadro politico nel paese, la sentenza della Corte sul caso Venturi, oggettivamente, quindi suo malgrado, si costituisce come un vantaggio politico per il PD, perché conferma di fatto la linea strategica di una regione che, secondo me, in questi anni,  senza alcun serio, vero, autentico  pensiero riformatore  si è ridotta  a deregolamentare per ragioni economiche i rapporti tra professioni a inseguire il regionalismo differenziato, a rivendicare i fondi integrativi regionali per cambiare la natura pubblica del sistema.
 
Il lungo percorso delle competenze avanzate
Il caso Venturi inizia con la questione delle competenze avanzate e quindi con la famosa storia del comma 566. Lo scorso anno su questo giornale ho tentato di ricostruire quello che non esitai a definire il  “doloroso travaglio che riguarda proprio i rapporti difficili a livello alto tra deontologie e politica” (QS, 22 ottobre 2018).
 
La linea politica delle competenze avanzate è stata, sin dall’inizio, una linea tipicamente di sinistra, che punta da una parte a intercettare i consensi degli infermieri, dall’altra a fare un po’ di risparmi sul costo del lavoro e nello stesso tempo volta a ridimensionare i medici considerati, soprattutto dagli amministratori di sinistra, da sempre delle controparti se non degli avversari e in certi casi dei “padroni”. Ricordatevi l’obbligo di appropriatezza della 229. Ma anche l’appoggio totale del Pd e dei suoi amministratori a questa linea. Il mio amico De Filippo ne sa qualcosa.
 
Ma essa per quanto di sinistra è una linea semplicemente contro riformatrice che senza nessun vero pensiero riformatore è a metà strada tra il corporativismo e l’economicismo intesi entrambi nella loro peggiore accezione, del tutto incurante delle conseguenze concrete sui malati, della complessità della posta in gioco, e meno che mai delle implicazioni sul sistema medico nel suo complesso.
 
E’ una linea semplicistica, superficiale, fondata sui colpi di mano, sulle forzature, sulle scorciatoie, tutta giocata sul terreno delle competenze, sulla loro fungibilità e intercambiabilità, come se mettere le mani sulle competenze delle professioni non significasse mettere in discussione un sistema, delle organizzazioni, delle forme di cooperazione interprofessionale ma anche delle garanzie per i cittadini. Come se le competenze non avessero un titolare, un assegnatario, ma fossero esposte in un supermercato e liberamente assegnabili. Ma soprattutto come se le competenze non avessero un fruitore cioè come se il fruitore non esistesse.
 
Dal comma 566 al contratto di comparto
Il comma 566 al tempo, quindi 5 anni fa, fu stoppato ma non fu sconfitto. Quando scrissi su questo giornale, che il comma 566 era stato riciclato nel contratto di comparto prendendo la forma dell’incarico funzionale, (Il contratto e il “supermarket” delle competenze professionali)l’articolo passò sotto silenzio e fu del tutto sottovalutato per cui non preoccupò nessuno (QS, 14 gennaio 2019).
 
Oggi il mio amico Saverio Proia, con il quale mi congratulo per la tigna e la coerenza, ci informa, a seguire il mio articolo sul caso Venturi, che la regione Veneto ha fatto la prima delibera sulle competenze avanzate cioè sugli incarichi funzionali e che si chiama “Istituzione dei percorsi di formazione complementare regionale per l'acquisizione di competenze avanzate in applicazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto sanità”.
 
Non entro nel merito della delibera, che per altro mi risulta su alcune competenze molto controversa, semmai mi riservo di tornarci sopra, mi limito solo a sottolineare il metodo usato e il fenomeno politico che sta venendo fuori.
 
Il metodo vede una Regione che individua autonomamente, cioè attraverso i propri uffici, delle competenze svolte dai medici e che in applicazione del contratto di lavoro ma in dispregio delle norme nazionali, intende riassegnare a degli infermieri, senza alcun confronto con i medici e senza nessuna forma di intesa e di condivisione. Cioè in modo del tutto unilaterale.
 
Sulla base di tale riassegnazione la regione organizza corsi di formazione complementare di un certo numero di ore suddivise in teoria e pratica per compensare la mancata formazione universitaria degli infermieri. Questo  sulla base della competenza individuata parifica la formazione complementare a quella universitaria.
 
Questo metodo è semplicemente folle perché si basa su tre presupposti:
• che esista un numero infinito di competenze riallocabili
• che i medici non abbiano alcuna titolarità sulle competenze loro assegnate,
• che la riallocazione delle competenza sia decisa a fruitore assente.
 
Il fenomeno politico è quello che paventavo nel mio articolo sulla sentenza della Corte cioè:
• un regionalismo differenziato che stabilisce in barba alle leggi nazionali la distribuzione delle  competenze professionali  sulla base di criteri di mero risparmio,
• il formarsi di conseguenza  di deontologie differenziate
• l’affermarsi  in modo autoritario  di ciò che l’ordine di Bologna ha tentato coraggiosamente di avversare vale a dire la supremazia totale delle ragioni amministrative su quelle deontologiche.
 
Conclusione
Panti mi accusa di fomentare le illusioni dei medici ma di quali illusioni parla? Quelle per caso di poter fare il loro mestiere? Ma se fare il proprio mestiere è una illusione, per non essere illusi i medici secondo Panti cosa dovrebbero fare? A me pare che le politiche che Panti, per sua ammissione, ha assecondato, sono le stesse che passo dopo passo ci hanno condotto alla delibera del Veneto e che queste politiche le illusioni ai medici di fare i medici le stanno togliendo.
 
Ma per Panti esiste solo il suo glorioso passato, non esiste la questione medica, non esiste la crisi della professione, non esiste la possibilità di cambiare qualcosa figurarsi un paradigma. Il problema caro Antonio è che se siamo arrivati a dove siamo arrivati da qualche parte avremo pur cominciato e magari sarebbe il caso che qualcuno cominciasse a fare un po’ di autocritica e ad ammettere delle responsabilità. O no?
 
E’ chiaro che da tempo è iniziato un processo di de-professionalizzazione del medico. Le ricerche fatte dall’ordine di Venezia e da quello di Brescia e gli stessi Stati generali della Fnomceo lo confermano. La crisi è innegabile. E il caso Venturi non si capisce fuori da questa crisi. Ma che qualcosa sia chiaro per la maggior parte di noi non vuol dire che vi siano evidenze sufficienti per dimostrare a certuni che qualcosa esiste.
 
Vi sono tante cose che mettono in condizione una persona di rifiutare negare e respingere le evidenze (i pre-giudizi, i pre-concetti,le pre-clusioni mentali, i tabù, gli errori, le superstizioni, le fissazioni, il fanatismo, il conservatorismo, ecc.). Tra queste cose esiste l’apologia come autodifesa di sé. Vi sono persone che per difendere la memoria di quello che hanno fatto ma soprattutto di quello che non hanno fatto, fanno dell’apologia del loro tempo la loro ragione di vita pretendendo di fermare la storia. Costoro sono semplicemente degli inguaribili egoisti.
 
A costoro del futuro della professione interessa poco, interessa di più il loro passato ma perché alla fine si dimostrano semplicemente incapaci di accettare l’ineluttabilità del cambiamento. Per costoro è insopportabile accettare che qualcosa da loro fatto sia andata storta, o sia stata sbagliata, o peggio non si stata fatta. Loro hanno fatto sempre tutto e tutto quello che hanno fatto è stato fatto bene. Per cui per costoro non c’è mai niente da cambiare.
 
Essi sono la storia e questa storia esattamente come la Corte che ha delegittimato l’ordine di Bologna si ritiene inemendabile.
 
Intanto la professione medica come la luna che giorno dopo giorno perde dei quarti è sempre più alla mercé delle amministrazioni regionali.
 
Ivan Cavicchi

14 novembre 2019
© Riproduzione riservata


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