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Contro (Opi Rovigo): “Serve una Fase 2 anche per sanità pubblica”

DPI adeguati e in numero sufficiente, un adeguamento delle dotazioni organiche, protocolli più efficaci. È quanto chiede oggi il presidente dell’Opi Rovigo alla luce delle criticità emerse durante la Fase 1 di gestione dell’epidemia. E sui focolai nelle Rsa osserva: “In quelle del nostro territorio c’erano circa 33.300 persone tra ospiti e operatori, 1.850 sono risultati Covid, di cui 925 operatori sanitari. Questi non sono dati da ignorare, serve un’urgente riflessione e una maggiore inclusione degli infermieri nelle scelte organizzative”.

di Endrius Salvalaggio
18 MAG - “Serve un piano per la fase due non solo per il privato, come spesso si sente dire, ma anche per il mondo della sanità”. A chiederlo è il Presidente OPI Rovigo, Marco Contro che, dopo la chiusura della fase acuta della pandemia, sollecita Regione Veneto e Azienda Sanitaria Polesana ad un confronto.

“Dall’inizio della pandemia ad oggi - spiega Contro - gli infermieri in Veneto che sono scesi in campo a sostegno delle cure sono stati oltre 35.000. Il loro lavoro è stato determinante, talvolta senza sosta e senza risparmio di energie e, dai dati, con un alto tributo in termini di contagi”.

Ora che si sta volgendo verso la fase della normalità delle attività ospedaliere, l’Ordine delle professioni infermieristiche di Rovigo tira le somme su quello che è stato fatto e che si dovrà fare, esprimendo preoccupazione sui contagi e sistemi di protezioni, ma anche avanzando delle proposte alle istituzioni.

“Esprimo la mia preoccupazione per quello che si è verificato nelle strutture residenziali – dice Marco Contro – e dai dati in possesso sono stati accertati 345 decessi, con un tasso di mortalità del 15,7%. Nelle RSA del nostro territorio (secondo i dati regionali ad aprile 2020) vi erano circa 33.300 ospiti, di cui circa 1.850 sono risultati Covid+ di questi, 925 sono risultati essere operatori sanitari. Questi non sono dati da ignorare, ma ci devono indurre ad un’urgente riflessione ed ad una maggiore inclusione degli infermieri nelle scelte organizzative da qui in avanti con le stesse istituzioni”.

L’Ordine di Rovigo punta il dito sui protocolli che devono osservare gli stessi infermieri nei reparti non Covid che di fatto – sempre secondo l’Ordine - si crede siano meno rischiosi, in realtà non lo sono. “Non è sempre vero  affermare che gli operatori sanitari lavorano costantemente con tutti i DPI necessari – spiega il Presidente – I numeri dimostrano che il solo utilizzo di mascherina chirurgica, guanti e camici, quelli che si usano normalmente, non sono sufficienti a scongiurare la trasmissione del virus e ad dimostrarlo è quanto accaduto nel reparto di Geriatria no-Covid  di Rovigo, dove sono risultati positivi 18 operatori sanitari su 36”.

Da qui le richieste del Presidente dell’Opi a Regione Veneto e alla stessa Azienda Sanitaria Polesana, di rivedere i protocolli di lavoro, i dispositivi di sicurezza individuali e le dotazioni organiche.  “Chiediamo che ci siano DPI adeguati e in misura sufficiente per il personale dei reparti no-Covid perché la mascherina chirurgica risulta essere insufficiente – conclude  Marco Contro – chiediamo ci siano date, almeno, in dotazioni delle mascherine pp2 e che continui ad intervallo regolare l’effettuazione dei tamponi a tutto il personale sanitario ed ai pazienti, come da poco si è iniziato a fare. Molto importante per questa fase sarà un adeguamento delle dotazioni organiche, con superamento del criterio dei minimi assistenziali”.
 
Endrius Salvalaggio

18 maggio 2020
© Riproduzione riservata

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