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Sulla sanità il Governo ha la “manina” corta

09 NOV - Gentile direttore,
nella Legge di Bilancio per il 2019, alla voce Fondo Sanitario Nazionale e nuovo Patto per la Salute, sono postati 114,435 miliardi. Nel 2018 erano 113.396. Poco più di un miliardo in più, in ossequio al trend di questi ultimi 5/6 anni. Più o meno quanto era già scritto, nero su bianco, nella legge di Bilancio quando al posto del ministro Giulia Grillo c'era Beatrice Lorenzin. Le previsioni future dicono di un possibile incremento del fondo di 2 miliardi nel 2020 e di 1,5 miliardi nel 2021. Ma tutto dipende dall’andamento dei conti pubblici.
 
Dunque, nessuna certezza. Manina corta quella del governo giallo/verde. Eppure, il ministro della Salute Giulia Grillo aveva gridato ai quattro venti: “Il governo ha messo la salute in cima alla lista degli investimenti e delle priorità per i prossimi anni”. Figuriamoci non fosse stato cosi.
 
Per esser chiari, fosse stata vera questa scelta strategica, ci voleva ben più del solito miliardo in più per affrontare questioni dirimenti quali rinnovi contrattuali, sblocco del turnover, eliminazione superticket, nuovi Lea, riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie, edilizia sanitaria, ammodernamento tecnologico, riequilibrio territoriale.
 
Per i nuovi contratti del pubblico impiego in sanità nel triennio 2019-2021 non si va oltre i 284 milioni per il prossimo anno. A fronte di un fabbisogno di almeno due miliardi, come già annunciato dalle Regioni. Gli enti locali hanno calcolato che per contratti degni di questo nome al personale di miliardi ne servono almeno altri due: tre in tutto. Mentre l’aumento promesso del Fondo sanitario nazionale di un miliardo basta a malapena a coprire l’esigenza dei servizi.

Nel frattempo, sette milioni di italiani sono stati costretti a indebitarsi per accedere alle cure. Altri 2 milioni e 800 mila hanno attinto dai risparmi di una vita. E circa tredici milioni d’Italiani ogni anno rinunciano a curarsi per motivi economici. I dati del rapporto Censis-Rbm, mostrano una crescita della spesa sanitaria privata degli italiani che sfiora i 40 miliardi di euro.
 
Stiamo incamminandoci verso la privatizzazione. Verso la soppressione di quell’eccellenza del welfare italiano che era la sanità, equa e solidale. Negli ospedali campani e sul territorio c’è una carenza d’infermieri di circa 9 mila unità; 53mila a livello nazionale. Circa 90mila se dovesse passare la cosi detta “quota100” nella riforma delle pensioni. Carenza che impatta negativamente nella qualità delle cure prestate e sulla mortalità evitabile.
 
Nel recente Rapporto Svimez, gli effetti dell’insufficienza dei servizi sanitari al Sud sono misurati con la cosiddetta migrazione ospedaliera: cioè il numero di ricoveri acuti che si registrano in entrata e in uscita da una regione all'altra. Il saldo tra ricoverati che affluiscono agli ospedali regionali e quelli che ne escono scegliendo un'altra regione, è sistematicamente negativo ogni anno, specie per la Calabria (saldo netto negativo pari a 34mila ricoverati) e per la Campania (meno 32mila ricoverati). Mentre è sempre più un affare per le regioni del Centro-Nord, come Lombardia, Emilia-Romagna. Toscana.
 
Non sembra pagare il federalismo sanitario, soprattutto perché rende tanti cittadini, soprattutto al Sud, figli d’una sanità minore e portatori di minori diritti rispetto agli altri.
 
La sanità del miliardo in più all’anno è destinata a fallire. Il sistema salute italiano regge ancora. Ma sono gambe fragili e usurate. Esso poggia sul lavoro, sulla dedizione, sulla professionalità, sui sacrifici di tanti professionisti. Si sostenta dei tanti infermieri fantasma: quasi 100mila colleghi, tra contratti a tempo determinato e internali.
 
Colleghi con alte competenze e specializzazioni spesso non riconosciute. Sottoposti a un feroce demansionamento, solo per far fronte a carenze di personale anche non laureato. Procedure che la stessa giurisprudenza condanna. I nodi non sciolti adesso, prima o poi verranno al pettine.
 
È necessario allora tornare a investire sulla salute pubblica e sul Servizio Sanitario nazionale. Bisogna puntare all’ingresso di giovani negli ospedali e sul territorio per elevare la qualità delle cure e azzerare quel venti per cento di morti inevitabili quando un solo infermiere deve assistere contemporaneamente diciassette e più pazienti, come avviene in Campania.
 
Puntare sul momentaneo aumento dei consumi, come fa il governo giallo/verde, non porta da nessuna parte. Tutt’al più incrementa i like e i follower di qualche ministro sui social media.
 
Ma è la Salute la vera ricchezza del Paese. Quella che porta ad una crescita sostenibile e virtuosa. E non lascia tanti cittadini senza cure.
 
Ciro Carbone
Presidente Ordine professioni infermieristiche
Napoli 


09 novembre 2018
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