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Covid. Il caso Paxlovid: Italia ha opzionato 600mila trattamenti per un anno ma in un mese è stato prescritto a soli 2.072 pazienti. Guido Rasi: “C’è un chiaro sottoutilizzo degli antivirali. Formazione ad hoc per i medici di famiglia e dare la distribuzione alle farmacie territoriali”

di Giovanni Rodriquez

Intervista al consigliere del Generale Figliuolo: "L'accordo per la fornitura di 600 mila dosi l'anno è frutto di una stima prudenziale che definirei verosimile visto che stiamo nuovamente andando incontro ad un incremento dei casi. Senza scordare che viaggiamo in maniera costante da diverso tempo su dati quotidiani di decessi a tre cifre a causa del Covid". Ma parliamo di farmaci che vanno assunti preferibilmente entro i primi 3 giorni e non oltre i 5 giorni dalla comparsa dei sintomi. "Serve formazione per coinvolgere medici di famiglia e la distribuzione deve passare per le farmacie del territorio"

22 MAR - In Italia dallo scorso febbraio abbiamo un'arma in più per contrastare il Covid. È stato infatti autorizzato l'uso dell'antivirale di Pfizer, Paxlovid, del quale sono stati già distribuiti alle Regioni 11.200 trattamenti. Eppure, stando all'ultimo monitoraggio di Aifa del 8 marzo, di questi ne sono stati utilizzati appena 2.072. Un numero davvero basso. Con questo trend arriveremmo ad utilizzare ben meno di 30 mila trattamenti l'anno. Se anche moltiplicassimo per dieci questa cifra andremmo ad utilizzare appena la metà delle dotazioni previste dall'accordo raggiunto tra Ministero della Salute, Aifa e azienda farmaceutica che prevede una fornitura di 600 mila trattamenti completi per il 2022. 
 
Come si spiegano questi numeri? Per aiutarci a far chiarezza sulla questione abbiamo chiesto aiuto a Guido Rasi, ex Dg di Ema, consulente del commissario all'emergenza Francesco Paolo Figiuolo e direttore scientifico di Consulcesi.
 
Professor Rasi, in un mese sono stati utilizzati poco più di 2.000 trattamenti antivirali di Pfizer per pazienti a rischio positivi al Covid. Si è esagerato con gli acquisti o c'è un sottoutilizzo di questi farmaci?
Dal mio punto di vista c'è sicuramente un loro sottoutilizzo. L'accordo per la fornitura di 600 mila dosi l'anno messo a punto da Ministero della Salute ed Aifa è frutto di una stima prudenziale che definirei verosimile visto che stiamo nuovamente andando incontro ad un incremento dei casi. Senza scordare che viaggiamo in maniera costante da diverso tempo su dati quotidiani di decessi a tre cifre a causa del Covid.
 
Come si spiega questo sottoutilizzo?
Parliamo di un farmaco che va utilizzato preferibilmente entro i primi tre giorni o comunque non oltre i cinque giorni dall'insorgenza dei sintomi. Tra l'altro non è indicato per tutti ma solo per quei pazienti a rischio di sviluppare forme gravi di Covid. Dopo due anni di pandemia sappiamo ormai molto bene quali siano queste fasce di popolazione più a rischio. Fare un po' di formazione per iniziare ad allargare la base di prescrizione era un'azione prevedibile e attesa. L'idea di risparmiare risorse pubbliche utilizzando un trattamento in meno rispetto ad uno in più non ha nessun supporto logico visto che parliamo di farmaci pre acquistati. Meglio rischiare di usarne uno inutilmente che magari non utilizzarlo laddove sarebbe invece necessario.
 
Verrebbe da dire che il rischio reale sarebbe in realtà quasi il contrario di quanto prospettava, e cioè non utilizzare e mandare in scadenza migliaia di antivirali.
Sì, in questo senso possiamo effettivamente dire che il rischio è più questo. Torno a dire che sicuramente doveva esser previsto un evento formativo su questi prodotti perché hanno anche controindicazioni.
 
Ci sono dei rischi nell'assumerli?
Sicuramente ci sono dei rischi ma attenzione, le controindicazioni per questa categoria di farmaci riguardano quasi tutte un loro uso cronico. Qui parliamo di una terapia di cinque giorni. Non è come per l'Hiv che durano per tutta la vita. Le controindicazioni teoriche sono quindi molto mitigate dalla brevità della terapia. Chiarito questo aspetto, dicevo che un evento formativo, anche a distanza, poteva essere organizzato per poter così coinvolgere anche quei medici di medicina generale che ancora oggi non sono abilitati a prescriverli.
 
E non pensa che proprio questo possa essere uno dei nodi da sciogliere? L'iter prescrittivo e la distribuzione presso le sole farmacie ospedaliere non credo facilitino la rapidità dell'intero processo. 
Sicuramente questo non aiuta a semplificare le cose e non accorcia i tempi. Abbiamo avuto i due mesi dell'approvazione del farmaco per poter organizzare il tutto. Si potevano formare i medici di famiglia, indicare loro in maniera precisa qual era la tipologia di pazienti a cui prescriverlo, quali le modalità d'uso e le controindicazioni. Non si capisce quale sia stato l'impedimento. C'è chi dice che questi farmaci non sono l'azitromicina, ma magari avessimo regolamentato l'azitromicina in questo modo. Ugualmente non vedo perché non si debba affidare la loro distribuzone capillare alle farmacie territoriali.
 
Sicuramente coinvolgendo i medici sul territorio si riuscirebbe ad accorciare i tempi. Un fattore determinate per farmaci che vanno assunti entro i primi giorni dalla comparsa dei sintomi.
Esattamente. Dobbiamo tener conto della tempistica del tampone per accertare la positività, poi quella del medico di famiglia che deve verificare il dercorso dei sintomi. Con un ulteriore passaggio che va ad allargarsi al medico specialista per la prescrizione prima e alla farmacia ospedaliera poi, si rischia di arrivare tardi. Abbiamo una rete capillare di medici di famiglia e famacie sul territorio, coinvolgerle sarebbe fondamentale.
 
Giovanni Rodriquez

22 marzo 2022
© Riproduzione riservata

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