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“Non punibilità” secondo la legge 24/2017: quando il medico può beneficiarne. La Cassazione boccia sentenza Corte d’Appello per non averlo considerato


La Corte di Cassazione chiarisce nella sentenza 8115/2019 quando il medico può beneficiare della causa di non punibilità ex art. 590-sexies c.p. e quando invece questa non si applica. E boccia la decisione più sfavorevole adottata da una Corte di Appello. LA SENTENZA.

18 MAR - Sonora bocciatura da parte della Cassazione per la Corte di Appello (con la sentenza 8115/2019)  che in un giudizio si è limitata agli aspetti civili concernenti le decisioni del tribunale di primo grado e non ha applicato la legge 24/2017, annullando gli aspetti penali, anche se prescritti.
 
Il fatto
In una causa per lesioni personali colpose dovute all'esito di trattamento medico sanitario, la Corte di Appello riteneva di riqualificare il fatto ai sensi dell'art.590 sexies II comma cod.pen., rigettando nel resto l’impugnazione. il giudice del tribunale non aveva tenuto conto di queste circostanze, ma si era limitato a ricondurre i fatti di causa nell'ambito della normativa introdotta dalla legge Gelli omettendo di valutare le problematiche relative alla natura giuridica e ai presupposti applicativi della causa di non punibilità determinata da imperizia di colui che esercita la professione sanitaria.

La sentenza
Secondo la Cassazione “nel caso in specie non solo non esistevano capi civili da revocare in presenza di sentenza assolutoria già all'esito del giudizio di primo grado ed inoltre il giudice di appello non ha fornito alcuna spiegazione delle ragioni per cui ha ritenuto di dovere riconoscere la causa di non punibilità introdotta dall'art.590 sexies cod.pen. piuttosto che confermare l'assoluzione con formula ampiamente liberatoria, certamente più favorevole per gli imputati, dal momento che si è al contempo sottratto a qualsiasi valutazione sul merito della responsabilità penale dei prevenuti e addirittura di esaminare se ricorressero le condizioni legittimanti la applicazione della ipotesi scriminante di cui alla norma citata”.

I giudici in sostanza hanno precisato che la causa di non punibilità prevista all'articolo 590-sexies:

- si applica solo ai fatti che possono essere inquadrati nel paradigma dell'articolo 589 c.p. (omicidio colposo) o in quello dell'articolo 590 c.p. (lesioni personali colpose);
 
- opera solo se l'esercente la professione sanitaria ha individuato le linee guida adeguate al caso concreto e versa in colpa lieve da imperizia nell'attuazione delle relative raccomandazioni.

La causa di non punibilità introdotta dalla legge Gelli, invece, non si applica:

- se l'esercente la professione sanitaria è in colpa da imprudenza e da negligenza;

- se l'atto sanitario non è stato governato da linee guida o da buone pratiche;

- se il sanitario ha individuato e selezionato le linee guida o le buone pratiche ma queste risultano inadeguate con riferimento al caso concreto;

- se il sanitario ha agito con imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle linee guida.

“In tema di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria – spiega la sentenza della Cassazione -  l'art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall'art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell'art. 589 o di quello dell'art. 590 cod. pen., e operante nei soli casi in cui l'esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse”.

Secondo la Cassazione “la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l'atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall'esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse”.

In questo senso, si legge nella sentenza, “una tale verifica è del tutto mancata essendosi il giudice di appello limitato acriticamente a sussumere i fatti all'interno della normativa sopravvenuta, ravvisando in essa una ipotesi di depenalizzazione tout court, di immediata applicazione al caso in specie sebbene la pronuncia assolutoria, per non avere commesso il fatto, risultava ormai irrevocabile in assenza di una impugnazione ammissibile della pubblica accusa e omettendo qualsiasi valutazione di merito sulle numerose problematiche che si agitano sulla natura giuridica e sui presupposti applicativi della causa di non punibilità di lesione colposa determinata da imperizia di colui che esercita la professione sanitaria".

“Infine – chiarisce la sentenza - il giudice di appello incorreva in una totale omissione di pronuncia sulle censure di merito pure sollevate dalla difesa della parte civile nei motivi di appello proposti ai sensi dell'art. 576 cod.proc.pen.”.

Per questo la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di Appello e rinviato al “giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda altresì il regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità”.

18 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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