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La polemica sul vaccino in farmacia. “Nessun conflitto di interessi né invasioni di campo. Dai farmacisti italiani una proposta per garantire la massima copertura possibile in un ambiente sicuro e protetto”. Intervista a Mandelli


Due le questioni sul tavolo: la fornitura dei vaccini antinfluenzali in quantità adeguate al fabbisogno delle farmacie e la possibilità di effettuare la vaccinazione anche nelle farmacie per ampliare l'offerta vaccinale in vista di una forte partecipazione alla campagna stagionale sollecitata dalla pandemia Covid in atto. Su ambedue le questioni bisogna far presto perché la campagna vaccinale è prossima ad avviarsi. Ecco le proposte del presidente della Fofi per superare l'impasse

23 SET - Da diverse settimane la Fofi è impegnata su diversi fronti per favorire la vaccinazione antinfluenzale in questa particolare stagione che vede la concomitanza della pandemia Covid ancora attiva nel Mondo e anche in Italia. Due le questioni sollevate con forza dalla Federazione degli Ordini dei farmacisti: la necessità di avere adeguate forniture di vaccino per i cittadini non compresi nell'offerta vaccinale pubblica ma che comunque sono intenzionati a vaccinarsi e quella di offrire lo spazio della farmacia per poter effettuare anche in quelle sedi le vaccinazioni.
 
Sulla prima richiesta si è registrato un primo spiraglio con l'accordo in Stato Regioni che ha destinato alle farmacie una prima fornitura di 250mila dosi giudicata però dai farmacisti del tutto insufficiente rispetto al fabbisogno reale (stimato per quest'anno in 1,5 milioni di dosi) mentre sulla seconda si è subito evidenziato una forte reazione contraria dei medici.
 
La situazione è quindi tutt'ora in evoluzione anche se mancano poche settimane all'avvio delle vaccinazioni. Per fare il punto e cercare di capire se e come sarà possibile superare queste difficoltà abbiamo intervistato il presidente della Fofi Andrea Mandelli che per primo ha sollevato la questione portandola all'attenzione del Governo e delle Regioni.

Presidente Mandelli, cominciamo dai dati, e dalle date. Come nasce la questione?
Già nello scorso luglio le aziende ci avevano comunicato che non sarebbero state in grado di rifornire di vaccini antinfluenzali le farmacie, per l’aumento delle richieste delle regioni, e il ritardo con cui in alcuni casi sono stati presentate. Se, come ha comunicato l’AIFA, nella campagna precedente le Regioni avevano acquistato 12,5 milioni di dosi, pari a una copertura del 53-54% della popolazione, oggi la somma degli ordinativi ammonta a 17-17,5 milioni: si tratta di un aumento pari al 40%, che più o meno è sovrapponibile a quello registrato a livello globale. Un aumento che è andato ad assorbire completamente la produzione, per quanto programmata prevedendo una domanda maggiore, rendendo impossibile garantire alla farmacie il milione circa di dosi che distribuiscono normalmente e tanto meno il milione e mezzo di dosi che era stato previsto per quest’anno. Non appena saputo della situazione abbiamo interpellato il Ministero, e il 26 agosto, abbiamo chiesto che si istituisse un gruppo di lavoro sulla questione, una richiesta cui il Ministero ha risposto convocando una riunione già il 1° settembre, poi un secondo l’8 settembre.
 
E in quella occasione, che cosa è emerso?
I tecnici del Ministro hanno convenuto che il problema era reale e che occorreva trovare una soluzione. Tanto che hanno inviato una relazione alla Conferenza Stato Regioni che, fatto inconsueto, ha indetto una riunione straordinaria il 10 settembre per esaminare la questione. La proposta che ne è uscita - destinare al territorio l’1,5% delle dosi nella disponibilità delle Regioni, all’incirca 250.000 dosi - è assolutamente insufficiente rispetto ai bisogni, per quanto rappresenti un’apertura che va apprezzata. Abbiamo chiesto un nuovo incontro al Ministero, che si è tenuto il 16 settembre, dove il Ministero ha ribadito di condividere le nostre osservazioni, e i nostri timori, e ha detto che attiverà tutti i canali necessari a raggiungere una soluzione adeguata. A questo punto credo sia doveroso rinnovare il nostro ringraziamento al Ministro della salute, Roberto Speranza, per la sensibilità dimostrata e per l’impegno che sta riversando nella ricerca di una soluzione.
 
Ma perché è cosi importante che vi sia il vaccino nelle farmacie? In fin dei conti, quest’anno sono state ampliate le cosiddette categorie a rischio: vaccinazione gratuita a partire dai 60 anni per i bambini, sani, dai sei mesi di età…
Lungi da me sminuire l’importanza dell’aver ampliato le categorie a rischio e di cercare di coprire il più possibile questi gruppi di popolazione, ci mancherebbe altro: è fondamentale. Il punto è che al canale farmacia attingono le persone attive, quelle che lavorano, usano quotidianamente i mezzi pubblici e hanno una vita di relazione più intensa di altre. E’ una parte della cittadinanza che è strategico immunizzare se si vuole limitare al minimo possibile la circolazione del virus nella popolazione, al di là delle conseguenze per il singolo. D’altronde, è lo stesso razionale della vaccinazione dei bambini sani: impedire che portino il virus in famiglia, dove magari ci sono anziani, malati, soggetti immunodepressi. A coloro che ricorrono individualmente all’acquisto del vaccino in farmacia si devono aggiungere le aziende che offrono l’immunizzazione ai propri collaboratori, una forma di welfare aziendale ante-litteram che sarebbe irrazionale contrastare.
 
Ha anche parlato di tempesta perfetta, alludendo a una somiglianza con la vicenda delle mascherine…
E lo confermo. Tutta la comunità scientifica ha sottolineato senza sosta che quest’anno vaccinarsi contro l’influenza è importantissimo per tutti, che si deve aumentare al massimo la copertura, aggiungendo che sarebbe opportuno, potendo, vaccinarsi anche in anticipo e poi, per una parte rilevante della popolazione mancano i vaccini. Sarebbe uno scenario che inevitabilmente creerebbe tensioni nella società, come accaduto con le mascherine, con il consueto corollario della ricerca di un colpevole e dello scatenarsi di dietrologie da social media. Anche lo stesso Ministero ha riconosciuto questo rischio.
 
Seconda parte del problema: avete chiesto di vaccinare nelle farmacie.
Chiariamo subito un aspetto: non abbiamo “chiesto” ma “proposto”, sulla scorta di quanto avviene da anni, in alcuni casi decenni, in moltissimi altri paesi: far sì che nelle farmacie medici o infermieri possano vaccinare o che lo possa fare lo stesso farmacista. In Europa la prima ipotesi è una realtà in Finlandia, Islanda e Olanda, mentre i farmacisti vaccinatori sono previsti, per esempio, in Francia, Germania, Irlanda, Portogallo, Regno Unito e Svizzera. A livello mondiale sono 26 i paesi in cui questo è possibile. Ovviamente non lo fanno necessariamente tutti i farmacisti, l’adesione è su base volontaria e previa abilitazione. La nostra proposta nasce dalla necessità di vaccinare in tempi brevi 18 milioni di persone in un breve arco di tempo potendo contare soltanto sui centri delle ASL e sugli ambulatori di medicina generale. Coinvolgendo i farmacisti del territorio e i loro presidi si è ottenuto, dovunque, di aumentare la copertura, e non soltanto per le vaccinazioni antinfluenzali, e in nessun caso si sono messe in discussione le prerogative del medico, né si è aperta la porta al proliferare dei conflitti di interesse. Casomai si è contrastato il fai da te: cioè l’auto-inoculazione del vaccino da parte delle persone o il ricorso ad amici e conoscenti fuori da qualsiasi controllo. Basta collegarsi a YouTube per trovare tutorial che insegnano a praticare intramuscolari e pratiche ben più complesse, come le infiltrazioni, e ora anche i siti di grandi quotidiani hanno scoperto questo argomento… Non sarebbe tutto più sicuro in farmacia?
 
Ma il medico non può operare nelle farmacie…
E’ quello che dice il Regio decreto 1265 o Testo Unico delle leggi sanitarie, entrato in vigore nel 1934, cioè quando non esistevano antipertensivi o ecografi, tanto per dire. E nemmeno la telemedicina che oggi può essere praticata in farmacia, in base alla Legge 69/2009 che ha istituito la farmacia dei servizi. La stessa legge che prevede, cosa che nessuno considera, che il medico possa essere presente in farmacia per le campagne di prevenzione.
 
Nessun conflitto di interesse, dunque?
A questo proposito vorrei essere il più chiaro possibile: non si tratta di aprire una specie di ambulatorio annesso alla farmacia, dove il medico svolge le prestazioni che sono di sua esclusiva competenza: anamnesi, diagnosi e prescrizione. Molto semplicemente si tratta di consentire al cittadino, e solo a quello che sia già stato immunizzato in passato, di trovare nella farmacia un professionista che pratichi la vaccinazione che un medico gli ha già prescritto “secondo scienza e coscienza”. Quello che proponiamo al decisore politico-sanitario è rimuovere eventuali incongruenze della normativa, mettendo il paese al passo con i tempi, e di semplificare l’accesso alle prestazioni. In una parola riformare l’assistenza, cioè la via che ci ha indicato la tragica esperienza del lockdown e quello che ci chiede l’Europa. Vogliamo davvero arroccarci dietro a una legge degli anni trenta del secolo scorso, senza nemmeno discutere su basi oggettive di questo tema?
 
M.I.

23 settembre 2020
© Riproduzione riservata

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