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Epatite C: noi non scordiamo i nostri morti

di Ivan Gardini

01 GIU - Gentile Direttore,
leggo le precisazioni della Fondazione “Allineare salute e sanità”, che meritano una ulteriore riflessione, più che altro a beneficio dei lettori di Quotidianosanità. Premessa per premessa, sul nostro sito sono pubblicati tutti i bilanci e le attività da noi svolte a partire dal 2006, basta cercare bene.
 
Per quello che mi riguarda, non ho titoli accademici in ambito sanitario. Come, d’altra parte, molti dei cittadini che lavorano nelle Associazioni di pazienti.
 
Sono un cittadino-paziente cultore della materia (epatite C) che da 17 anni si occupa a tempo pieno di tutelare e rappresentare presso le istituzioni i diritti e le istanze dei pazienti. Posso far valere il fatto di avere dialogato con circa 45.000 pazienti con epatite C, frequentare tutti i più grandi convegni nazionali e internazionali, studiare quotidianamente la letteratura scientifica e discuterla con i più bravi gastroenterologi e infettivologi nazionali e internazionali, avere realizzato numerosi siti internet, campagne informative e di prevenzione e molto, molto altro.
 
EpaC onlus collabora con tutte le istituzioni, Agenzia del Farmaco, Ministero della Salute, gruppi tecnici regionali, e per un certo periodo anche con i NAS.
Penso possa bastare.
 
Considerata la solerzia con la quale si fa continuamente riferimento ai “conflitti di interesse” credo sia opportuno raccontare questo
 
Mi fu diagnosticata l’epatite C circa 20 anni fa. Ci riuscì un medico illuminato, l’ennesimo che consultai per trovare una risposta ad una stanchezza cronica, ben più che anomala, che mi attanagliava. Peccato che la diagnosi era già di cirrosi epatica. Dopo un primo tentativo infruttifero di terapia con interferone, in pochi anni giunse il momento di fare il trapianto di fegato. Eseguito con successo, seguì la solita recidiva tenuta a bada con altri 3 cicli di interferone. Ma dopo 11 anni, venne il momento di fare un secondo trapianto di fegato, perché HCV aveva demolito il fegato trapiantato. Secondo trapianto eseguito con successo, arriva la diagnosi: Epatite colestatica fibrosante. Traduco: una sentenza di morte, che impedisce qualunque altro trapianto. Avevo 12 mesi di vita,  ovvero un dead man walking.
 
Esisteva l’unica carta da giocare: tentare gli inibitori della proteasi di prima generazione, appena sbarcati sul mercato. Ma non per i trapiantati. Il mio medico (dio lo benedica) decise di giocarsi un pezzo della sua carriera tentando la via dell’uso compassionevole, al buio, e senza uno straccio di letteratura sui pazienti trapiantati. Vivere o morire.
Per un anno intero assunsi un cocktail di farmaci di non facile gestione per un paziente cosiddetto “fragile” ma alla fine, il virus fu eradicato.
 
E’ stato il mio piccolo Vietnam personale. 20 anni di malattia, due trapianti, 3 cirrosi, 5 terapie con interferone. Posso affermare che questo virus mi ha rubato 20 anni di vita, sequestrandomi anima, mente e corpo. Nel frattempo mi si è anche polverizzata la famiglia, sempre per i famosi “equivoci” ipotizzati da qualcuno che evidentemente non ha mia parlato con un paziente con HCV.
Diciamo pure che grosso modo sono costato al SSN circa mezzo milione di Euro.
 
Oggi: sono rinato, la fibrosi è regredita in un modo spaventoso: da cirrosi a 6,5 Kpa, fegato in ottime condizioni. Ho guadagnato già 4 anni di vita, e spero di aggiungerne ancori tanti. Lavoro 10 ore al giorno, ho cresciuto i miei figli, e mantenuto tutti i miei impegni. Ora costo al SSN qualche centinaio di euro all’anno.
 
Il sottoscritto, nel suo fare quotidiano, e finché non si stuferà, è ancora mosso da alcune spinte interiori, tipiche di tanti pazienti che lavorano con passione e sacrifici nella associazioni e in particolare faccio riferimento a:
-          Impedire che ad altri succeda quanto è successo a me
-          Aiutare migliaia di pazienti a guarire e provare la gioia che ho provato io
-          Sanare il mio debito con il SSN e tutti coloro che mi hanno aiutato. Una questione decisamente intima
 
Non ho alcune carriera da fare, curriculum da difendere, nessuna tessera politica nessuna affiliazione a corporazione qualsivoglia.
 
Tuttavia Le mie motivazioni e convinzioni personali valgono più di qualsiasi altra cosa perché ho provato sulla mia pelle ma ho anche ascoltato decine di migliaia di altre storie, vissuti personali, a lieto fine, ma anche tanti amici che sono morti di HCV. Sono morti per la mancanza di farmaci portentosi che adesso abbiamo, ma anche per mancanza di screening e della capacità di molti medici di famiglia di riconoscere e intercettare i sintomi di una malattia già evoluta in cirrosi.
 
Già, migliaia di pazienti arrivati nei centri specializzati a brandelli, gialli e con le pance gonfie. Persone che, fino al giorno prima, erano state “tranquillizzate” dai medici di famiglia, del tutto impreparati ai danni provocati da un vero e proprio killer silenzioso.
 
Sulla base di tutto questo dolore, in parte evitabile con screening e counselling, io e il mio gruppo abbiamo giurato di salvare quante più vite possibile, a qualunque costo, nel rispetto della legge.
 
Quanto sopra va ben aldilà di qualunque studio clinico, dissertazione, punto di vista. Noi, in 17 anni, abbiamo accumulato certezze, inscalfibili e chiunque se ne faccia una ragione.
 
Ci toglieremo di torno solo quando saranno garantiti i farmaci a tutti, e sarà avviato un piano serio di eradicazione dell’epatite C, visto che il 28 Maggio l’OMS ha votatoe adottato la prima strategia globale per la riduzione dell’epatite C nel mondo, fissando obiettivi molto precisi tra i quali screening, informazione, prevenzione e l’incremento dell’accesso ai farmaci innovativi. Tra i paesi aderenti, ricordiamo anche il nostro Paese.
 
Ivan Gardini
Presidente EpaC onlus

01 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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