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Lombardia. “La presa in carico dei pazienti cronici così non funziona”: lettera dei primari ospedalieri a Gallera

Dall’inadeguatezza della macchina amministrativa che crea un ‘collo di bottiglia’ che minaccia la salute dei pazienti, alla standardizzazione eccessiva a cui sono sottoposti i malati, fino alla poco realistica e altrettanto poco definita figura del ‘clinical manager’. È lungo l’elenco delle criticità individuate dai primari rappresentai dall’Anpo. LA LETTERA

27 APR - Dalla riorganizzazione aziendale alla corretta attribuzione dei ruoli, dalla formazione degli operatori al supporto tecnologico informatico fino alla “salvaguardia anche organizzativa della relazione e continuità di cura”.
Stigmatizzando “la posizione pauperismo e semplicista di chi ritiene che tutta questa presunta innovativa attività possa essere prodotta con scarse risorse di tempo, economiche e di persone”.
 
È quanto chiedono, in una lettera all’assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera, i primari ospedalieri rappresentati da Anpo-Ascoti-Fials medici in cui criticano aspramente il piano cronicità della Regione.
 
“Senza queste garanzie - si legge nella lettera a firma del presidente Anpo-Ascoti-Fials Lombardia Carlo Montaperto - non riteniamo sia possibile fare cose che non sappiamo fare (il PAI), né come farle, e della cui utilità sanitaria per il paziente non solo non siamo certi ma, soprattutto, non abbiamo garanzie che scelte vincolate non comportino peggioramento delle stato di salute della persona affetta da malattia cronica. Chi risponderà ai pazienti di carenze o inefficienze del sistema?”
 
Diverse le criticità individuate nella lettera. La prima è l’inadeguatezza della macchina amministrativa: “Questa ‘Rivoluzione Culturale’ coinvolge tutti, ma mentre medici e infermieri sono già da tempo preparati nell’ambito della loro professionalità, non lo sono le Amministrazioni e Direzioni generali; i loro dispositivi organizzativi diventano un vero ‘collo di bottiglia’ e l’opportunità per una nuova sanità, più centrata sulla persona, più efficace, con meno sprechi e più sostenibile, diventa una minaccia”.
 
Non meno pericolosa - secondo Montaperto - è la standardizzazione a cui sono sottoposti i malati: “Gli scostamenti legati alla variabilità della complessità, intrinseca nel processo di cura del cronico con la necessità di prevenire complicanze e sequele e di intervenire rapidamente quando si presentino, non hanno assolutamente spazio; le attività sanitario non possono essere standardizzate più di tanto e comunque dovrebbero prevedere dei margini di interpretazione. Si ha l’impressione che ammettere la variabilità contraddica il sistema perché salta la standardizzazione (quindi la budgettizzazione del cronico)”.
 
E poi, sembra poco realistica la figura del clinical manager: "La regia del programma di cura con al centro la persona con malattia cronica è, di fatto, la criticità più macroscopica: il ‘clinical manager’ destinato dal gestore. […] Suo compito è quello di redigere il ‘fantasmagorico’ PAI sindentitizzando Linee Guida, PDTA e consensuale di più specialità, di scrivere terapie ed esami per un periodo definito anche di un anno. […] È un professionista con competenze ‘tuttologiche’, non definito.

“L’Anpo Regionale - conclude la missiva - esprime la propria piena disponibilità collaborativa al progetto di gestione del malato cronico. Non possiamo però avallare il trasformismo ideologico di un ‘presunta medicina’ che attenzione la persona esclusivamente con un numero di ‘prestazioni programmate’ prefabbricate a tavolino”.
 

27 aprile 2018
© Riproduzione riservata

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