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Pronto Soccorso. L'esperienza del Cardarelli di Napoli e il quadro nazionale. Che fare?

di Maurizio Cappiello

Con 94mila accessi l'ospedale campano è il più importante del centro sud e a livelli paragonabili ai più grandi ospedali italiani. Qui, come in altri grandi nosocomi, il problema principale è la loro progettazione risalente a tempi in cui non si prevedeva l’aumento di accessi presso le strutture di emergenza. Quindi la mancanza di spazi rappresenta la prima, anche se meno importante criticità

27 GEN - Il Pronto Soccorso è per sua natura una delle aree più problematiche all’interno di una struttura ospedaliera, i pazienti vi accedono senza prenotazione e non vi è possibilità di prevedere né il volume né la tipologia di patologia. Dalla organizzazione della struttura dipende inoltre anche la complessità delle patologie e delle prestazioni erogate, vi è differenza tra un P.S., DEA I livello, e DEA II livello.

Diverse sono state le realtà analizzate partendo dal Pronto Soccorso-OBI dell’Ospedale “A. Cardarelli” di Napoli, una Unità Operativa Complessa facente parte di un DEA di II livello, quindi rappresentando per Napoli e la Campania una struttura di riferimento per patologie di alta complessità dove afferiscono anche pazienti in seconda cura da altri nosocomi. Il numero di accessi in P.S. nel 2013 è stato di circa 94.000 collocandosi al primo posto tra gli ospedali del centro sud, come riferimento e paragone si possono prendere tre grandi ospedali con vocazione all’emergenza come: l’Ospedale “Niguarda” di Milano con circa 85.000 accessi e 40.000 ricoveri (fonte sito ufficiale Niguarda), l’Ospedale” S. Orsola Malpighi” di Bologna con 135.000 accessi (compresa l’area pediatrica) e 56.000 ricoveri (fonte sito ufficiale S. Orsola), Ospedale Molinette - Città della Salute e della Scienza di Torino con circa 47.000 accessi (esclusa l’area pediatrica) e il 30% di ricoveri.
 
Da una prima analisi delle criticità emergono differenze dovute ad organizzazioni di tipo politico-regionali sicuramente perfettibili e il gran numero di accessi comune in molti ospedali del territorio italiano, queste strutture sono state progettate in tempi in cui non si prevedeva l’aumento di accessi presso le strutture di emergenza, quindi la mancanza di spazi rappresenta la prima anche se meno importante criticità.

Continuando l’analisi emergono diversi punti deboli che hanno a che fare con lo status sociale dei nostri giorni, sempre di più il pronto soccorso risponde a bisogni necessari fuori l’ospedale, per definizione le aree di emergenza devono rispondere alla gestione di patologie acute, invece sempre di più diventano I attore anche nella gestione di patologie croniche di pazienti che non trovano risposta sul territorio (medici di famiglia, continuità assistenziale, specialistica ambulatoriale, etc).

Poi ci sono le problematiche sociali che hanno a che fare con la crisi economica dei nostri tempi, l’Ospedale è diventato un enorme ammortizzatore socio-sanitario dove vi giungono pazienti spesso inviati ed istruiti a dettaglio dai loro curanti per fare esami e consulenze per patologie non acute, luogo di ricovero per persone senza famiglia e senza tetto che si presentano in pronto soccorso nella speranza di ottenere un riparo, in particolar modo durante le stagioni autunno-invernali, infine è per molti un modo per aggirare le liste di attesa del territorio che raggiungono in alcuni casi 6 mesi e più.

Dall’analisi delle criticità emerge quindi un quadro di problemi di ordine multifattoriale, ecco i principali punti nevralgici:
• accessi, triage, dimissioni, trasferimenti.
• politiche, procedure per il coordinamento delle attività di soccorso e ricovero
• logistica
• miglioramento della performance
• organizzazione del lavoro di P.S.
 

Strategie di organizzazione rete emergenza-urgenza e integrazione con il territorio
Le strategie di organizzazione della rete emergenza–urgenza devono prevedere dei protocolli diagnostico-terapeutici ed assicurare collegamenti tecnico-organizzativi con altri ospedali del territorio, dei servizi di continuità assistenziale e dei medici di medicina generale, esempio di riferimento è la rete dell’emergenza dei sistemi sanitari anglosassoni, importata anche in Italia in particolare in Emilia Romagna, che prevede una azienda sanitaria unica definita Hub and Spoke.

• Per Hub si definisce una struttura ospedaliera con un D.E.A. di II livello in grado di fornire prestazioni sanitarie di alta specialità e complessità, tale struttura è di riferimento per trasferimenti in seconda cura di pazienti già stabilizzati presso altri ospedali, e per la centralizzazione da parte del sistema 118 in prima cura qualora le distanze e la logistica lo permettano. Per Spoke si intende invece una struttura ospedaliera con un Pronto Soccorso o un D.E.A. di I livello in grado di assicurare prestazioni di emergenza-urgenza con stabilizzazione del paziente che per l’eventuale prosecuzione delle cure necessita ricovero presso strutture Hub, un esempio potrebbe essere la gestione del politrauma complesso trattato dalle strutture spoke per la stabilizzazione e poi inviato presso l’Hub dotato di unità spinale o cardiochirurgia per la gestione avanzata.
• Le strutture spoke potrebbero essere ottimizzate nella performance diventando poli di riferimento per specialistica integrata all’emergenza (polo ginecologico, polo ortopedico, polo cardiologico) questo solo alla luce della creazione della rete emergenza-urgenza.
• Per quanto riguarda il servizio di continuità assistenziale bisogna favorire ed incentivare il loro potenziamento dotandoli di una strumentazione di base, ad esempio apparecchi ecografici per eco fast, elettrocardiografi, etc, diventando quindi dei veri punti di primo soccorso. Questo richiederebbe un aggiornamento ed una qualificazione dei medici di medicina generale, al momento già formati con un corso di specifica formazione triennale.
• Gestione delle patologie croniche da parte di un sistema integrato di medici di famiglia aggregati per aree geografiche e/o quartieri i quali possono gestire tutti quei pazienti con patologie croniche che attualmente trovano risposta in aree di ricovero ospedaliero usando come viatico il pronto soccorso.
• Creare una rete dell’emergenza integrata tra varie strutture ospedaliere compresi policlinici ed ospedali non dotati di pronto soccorso per patologie non acute e differibili per studio e diagnosi.
• Creare una centrale unica per la programmazione dei ricoveri ospedalieri con prenotazione per il ricovero gestita unicamente dai medici di famiglia decongestionando quindi le strutture di pronto soccorso usati come via di accesso ai ricoveri di elezione.

In conclusione è solo da attenta analisi multifattoriale e da un corretto approccio multidisciplinare che dipende una ottimale organizzazione del sistema emergenza-urgenza.

Maurizio Cappiello
Dirigente Medico Pronto Soccorso – OBI
A.O.R.N “ A. Cardarelli” – Napoli
Consigliere Nazionale Anaao Assomed 


27 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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