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Diabete. Ambrosetti e Meridiano Sanità: "Ripartire da prevenzione e da educazione alimentare"


Nel corso del workshop organizzato  da European House Ambrosetti e Meridano Sanità, presentati dati e analisi su una patologia che riguarda soprattutto (80%) pazienti obesi e in sovrappeso. Necessario investire su un'attenta formazione ai corretti stili di vita sin dai primi anni di scuola. 

26 MAR - Le persone affette da diabete nel mondo sono 371 milioni, con un tasso di prevalenza pari all’8,3%. In Europa ci sono oltre 55 milioni di diabetici; la prevalenza nel 2012 è dell’8,4%, ma si prevede che nel 2030 salirà al 9,5%, cioè a 64,2 milioni di persone. In Italia si registrano 3 milioni e 900mila diabetici con una spesa complessiva che nel 2010, anno dell’ultima rilevazione, ha raggiunto gli 8,50 miliardi di euro. Il tasso di prevalenza più alto si riscontra in Abruzzo (7,4%), Calabria (7,2%) e Basilicata (6,9%). Sono i numeri analizzati e discussi nel corso del workshop “Meridiano Sanità – Diabete 2020”, organizzato dall’European House Ambrosetti e da Meridiano Sanità.

Le cifre italiane indicano l’enorme impatto esercitato sulla popolazione italiana dal diabete. Nonostante ciò, soltanto cinque regioni hanno destinato una copertura finanziaria specifica: Piemonte, Venero, Toscana, Basilicata e Lombardia e l’accesso ai presidi per l’autocontrollo glicemico non risulta equamente garantito sul territorio nazionale. Per quanto riguarda i pazienti di tipo 2 Veneto, Marche, Sicilia e Sardegna assicurano quantitativi al di sotto degli standard raccomandati dalla Società italiana di diabetologia (Sid) e dall’Associazione medici diabetologi (Amd) e recepiti dal ministero della Salute.

Per comprendere pienamente il fenomeno, bisogna poi sottolineare che esiste un forte legame tra attività motoria, obesità e diabete. Oggi in Italia l’80% dei pazienti diabetici è obeso o sovrappeso. Un problema che assume proporzioni ancor più ampie, se si considera che il numero di persone adulte obese aumenterà del 2,4% annuo da oggi al 2025. E’ per questo che, nella lotta al diabete, un ruolo primario spetta alla prevenzione e all’educazione alimentare che vanno sedimentate in maniera omogenea lungo tutto il territorio nazionale. Meridiano Sanità ha indicato tre livelli di intervento su cui costruire una prevenzione attenta ed efficace. Per tutta la popolazione, è necessaria una solida educazione agli stili di vita sin dai primissimi anni dell’infanzia. Per la popolazione a rischio sono indispensabili screening periodici al fine di ottenere una diagnosi precoce. E per il paziente diabetico servono: counselling nutrizionale con risorse professionali dedicate (infermiere professionale, dietista, etc); empowerment e responsabilizzazione (automonitoraggio e compliance alla terapia); una valutazione per i pazienti neodiagnosticati della terapia farmacologica più efficace.

Il rapporto finale dello studio realizzato da Meridiano Sanità evidenzia che “pur con ottimi risultati nella cura della patologia a livello europeo e validi esempi di organizzazione in alcuni contesti territoriali, l’Italia presenta una situazione disomogenea e frammentata nella gestione del diabete a livello regionale”. A livello comunitario, il Parlamento Europeo ha richiesto ai Paesi membri di definire una propria strategia per il diabete (Risoluzione del 14 marzo 2012) e l’Italia ha emanato il proprio Piano Nazionale del Diabete proprio lo scorso febbraio. Un punto di partenza fondamentale per incrementare l’attività di prevenzione sulla popolazione a rischio e per diffondere e consolidare corretti stili di vita.

Un utile contributo alle discussione è arrivato da Americo Cicchetti – membro del tavolo tecnico Meridiano Sanità Diabete 2020 e professore di Organizzazione sanitaria alla Cattolica – che ha presentato un contributo riguardante l’organizzazione del Pdta per la misurazione dei costi e dei risultati e per la valutazione di costo-efficacia dei percorsi del paziente diabetico. In merito è stato presentato il caso dell’Azienda Sanitaria Locale Cn2 Alba-Bra che comprende 76 Comuni e serve una popolazione di circa 170mila abitanti. Si tratta di un caso in cui non è prevista la figura del dietista dedicato, anche se viene coinvolto occasionalmente. Una radiografia attenta di questo case study ha innanzitutto mostrato che è possibile ridurre la spesa per presidi nonostante il numero dei pazienti registri un aumento. Un risultato ottenibile spostando una quota della distribuzione da convenzionata a diretta e tramite una azione di educazione del paziente svolta dal team infermieristico. Le conclusioni determinate da questo studio sono molteplici ed emblematiche dei miglioramenti che è possibile raggiungere: un chiaro processo organizzativo si associa con una migliore gestione dei pazienti; non è possibile definire una struttura ideale di riferimento, ma è possibile auspicare e definire un percorso ottimale; il percorso (fatto di azioni preventive, competenze professionali, presidi, farmaci, etc) è la tecnologia da sottoporre alla prova del costo-efficacia.

La tavola rotonda che ha animato il workshop si è concentrata soprattutto sul ruolo decisivo che possono svolgere l’approccio culturale e un’attenta prevenzione. “L’incrocio tra la dieta mediterranea e l’affermazione dei fast food sta generando dei veri e propri mostri – ha osservato Luca Pani, direttore generale dell’Aifa – In quanto a educazione alimentare, siamo un Paese molto arretrato e per colmare questo gap servono nuovi canali d’informazione, soprattutto digitali, che sino a questo momento in Italia sono stati colpevolmente trascurati”. Un altro nodo di grande rilievo è legato “ai percorsi diagnostici e terapeutici che troppo spesso si trasformano in veri e propri labirinti – ha evidenziato Stefano Del Prato, presidente della Sid – Per invertire la rotta, c’è bisogno di un’analisi più appropriata dei bisogni del paziente che permetta di agire in tempi rapidi. Per migliorare la prevenzione servono invece due interventi essenziali: costruire un sistema che scorra intorno ai bisogni del paziente e rinforzare l’utilizzo degli indicatori”. La strada tracciata da Giovanni Bissoni, presidente Agenas, porta “a uno sforzo più convinto verso la medicina di iniziativa, il vettore principale per migliorare l’equità nell’accesso ai servizi. Altro tassello essenziale riguarda la deospedalizzazione: anche in tema di prevenzione non si possono delegare tutte le funzioni alle strutture ospedaliere, un ruolo importante può essere attribuito all’assistenza sociale. Infine, ma non ultima per importanza, ho una proposta molto seria: rendere l’educazione alla salute un punto fermo della formazione scolastica”.

Un’idea condivisa anche dal senatore Ignazio Marino, che suggerisce “di dare all’educazione alimentare la stessa dignità di tutte le altre materie di insegnamento, sin dalla scuola elementare. Un ulteriore contributo al cambiamento può arrivare dagli incentivi fiscali da destinare a chi mette in atto corretti stili di vita: si potrebbero prevedere degli sgravi per chi certifica un minimo di ore di attività fisica a settimana”. Un richiamo a un diverso approccio arriva anche da Raffaele Calabrò, consigliere alla Sanità del presidente campano Caldoro. “Ritengo ineludibile un passaggio dai Livelli essenziali di assistenza ai Livelli essenziali organizzativi. Il tema dell’organizzazione deve conquistare centralità, altrimenti si rischia di incappare in un approccio soltanto ragionieristico come è accaduto per i piani di rientro, i cui effetti per il Ssn sono stati a dir poco nefasti”. Su un punto, insomma, la condivisione è generale: in materia di prevenzione ed educazione ai corretti stili di vita, serve quanto prima una decisa inversione di rotta.
 

26 marzo 2013
© Riproduzione riservata

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