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Liberalizzazioni. La Consulta dichiara "non fondata" l'ordinanza del Tar Calabria. La fascia C con ricetta resta esclusiva delle farmacie

di Giovanni Rodriquez

Per la Corte Costituzionale la totale liberalizzazione di quella categoria di farmaci potrebbe incidere negativamente sulla distribuzione territoriale delle parafarmacie, non essendo quest'ultime soggette ad un sistema di pianificazione ideato a garanzia della tutela della salute dei cittadini. Le farmacie, inoltre, sono assoggettate ad un insieme di obblighi che offrono garanzie maggiori per la tutela del diritto alla salute. LA SENTENZA

19 LUG - La vendita dei farmaci di fascia C con ricetta resta un'esclusiva delle farmacie. E' quanto ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 216/2014 che ha dichiarato "non fondata" la questione sollevata da un'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria.

Ricostruendo l'iter giuridico, ricordiamo che nel corso di un giudizio amministrativo promosso da una farmacista per l’annullamento di un provvedimento emesso dall’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria relativo all’autorizzazione alla vendita di medicinali, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria con ordinanza dell’8 maggio 2012, aveva sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, "nella parte in cui non consente agli esercizi commerciali ivi previsti (c.d. parafarmacie) la vendita di medicinali di fascia C soggetti a prescrizione medica".

Ad avviso del giudice a quo, essendo quella del farmacista un’attività imprenditoriale, finalizzata però all’erogazione ai cittadini di un servizio di fondamentale importanza, il divieto di vendita di tali farmaci nelle parafarmacie non si giustifica in nome della necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica destinata all’assistenza farmaceutica, trattandosi di farmaci ad integrale carico del cittadino. Oltre a ciò, il giudice a quo riteneva illogico consentire la vendita nelle parafarmacie di farmaci che non richiedono la prescrizione del medico – con evidente maggiore responsabilità in capo al farmacista – e non consentire la vendita di farmaci soggetti a prescrizione, per i quali la verifica effettuata dal medico riduce notevolmente la sfera di libertà decisionale (e la conseguente responsabilità) in capo al farmacista venditore; e, "d’altra parte, in un sistema affidato al principio della libertà dell’iniziativa economica, i limiti che ad essa possono essere posti debbono essere in funzione di tutela dell’utilità sociale, della libertà, sicurezza e dignità umana, mentre l’inserimento di un maggior numero di operatori sul mercato interno consentirebbe la creazione di una dinamica dei prezzi che andrebbe a beneficio dei consumatori".

Tanto premesso, la Corte ha osservato che, per costante giurisprudenza ribadita nel corso degli anni, il regime delle farmacie rientra a pieno titolo nella materia "tutela della salute". Ciò in quanto la "complessa regolamentazione pubblicistica della attività economica di rivendita dei farmaci è preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista". Proprio allo scopo di garantire, attraverso la distribuzione dei farmaci, un diritto fondamentale come quello alla salute, il legislatore ha organizzato il servizio farmaceutico secondo un sistema di pianificazione sul territorio, per evitare che vi sia una concentrazione eccessiva di esercizi in certe zone, più popolose e perciò più redditizie, e nel contempo una copertura insufficiente in altre con un minore numero di abitanti.

La pianificazione territoriale, però, non è l’unico strumento col quale si è ritenuto di garantire, in relazione all’approvvigionamento dei medicinali, l’uguale tutela della salute dei cittadini in tutte le parti del Paese. I giudici della Consulta, infatti, hanno richiamato anche il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), che aveva già stabilito che sul farmacista gravassero una serie di obblighi. Questi obblighi si sono sviluppati nel corso del tempo e dell’aumento delle conoscenze in materia farmacologica, fino ad arrivare alle previsioni contenute nel decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153 (Individuazione di nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, nonché disposizioni in materia di indennità di residenza per i titolari di farmacie rurali, a norma dell’articolo 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69), il cui art. 1, in particolare, ha posto a carico delle farmacie una serie di funzioni assistenziali di stretta collaborazione col Servizio sanitario nazionale.

La questione sollevata dal Tar Calabria è stata dunque giudicata "non fondata", in quanto, per quanto riguarda la pretesa violazione dell’art. 3 Cost., "occorre osservare che non c’è alcuna irragionevolezza nel prevedere che per determinati medicinali, periodicamente individuati dal Ministero della salute dopo aver sentito l’Agenzia italiana del farmaco, permanga l’obbligo della prescrizione medica e, di conseguenza, il divieto di vendita nelle parafarmacie". Le farmacie, infatti, proprio in quanto assoggettate ad una serie di obblighi che derivano dalle esigenze di tutela della salute dei cittadini, secondo la Consulta "offrono necessariamente un insieme di garanzie maggiori che rendono non illegittima la permanenza della riserva loro assegnata". "Si tratta di prendere atto - si legge nel dispositivo - che la totale liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica – che sono medicinali con una maggiore valenza terapeutica, risultando altrimenti privo di senso l’obbligo di prescrizione – verrebbe affidata ad esercizi commerciali che lo stesso legislatore ha voluto assoggettare ad una quantità meno intensa di vincoli e adempimenti, anche in relazione alle prescrizioni".

Stesso discorso, infine, resta valido per l’art. 41 Cost. e il principio di tutela della concorrenza. A questo riguardo viene rilevato che, come già detto, il regime delle farmacie è incluso nella materia della "tutela della salute", pur se questa collocazione non esclude che alcune delle relative attività possano essere sottoposte alla concorrenza, come altre nell’ambito della medesima materia. Il problema sollevato dalla Corte Costituzionale riguarda, soprattutto, la possibile incondizionata liberalizzazione di quella categoria di farmaci che inciderebbe, "con effetti che non sono tutti prevedibili, sulla distribuzione territoriale delle parafarmacie le quali, non essendo inserite nel sistema di pianificazione sopra richiamato, potrebbero alterare il sistema stesso, che è posto, prima di tutto, a garanzia della salute dei cittadini". 
 
Giovanni Rodriquez

19 luglio 2014
© Riproduzione riservata

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