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Tumore dell’ovaio. Scoperto un marcatore di risposta al bevacizumab

di Maria Rita Montebelli

Con un semplice esame del sangue sarà possibile sapere in anticipo quali pazienti risponderanno alla terapia anti-angiogenetica e personalizzare così il trattamento. Un risparmio sia in termini economici, che per la paziente, alla quale viene così risparmiato il rischio di effetti indesiderati, derivanti da un farmaco inutile per la sua patologia

07 SET - Un esame del sangue permetterà in futuro di predire quali pazienti saranno in grado di rispondere ad alcuni trattamenti e il test potrebbe approdare alla pratica clinica già nei prossimi anni. La notizia viene da un gruppo di ricercatori del Manchester Cancer Research Centre, che l’ha pubblicata su Clinical Cancer Research.
 
Il test consentirà di prevedere in particolare quali pazienti possono beneficiare di una terapia anti-angiogenetica, come ad esempio il bevacizumab; questo consentirà di risparmiare alla paziente il rischio di effetti collaterali inutili, derivanti dall’esposizione ad un farmaco che non apporterebbe alcun beneficio contro la sua malattia e allo stesso tempo consentirebbe di evitare una spesa inutile per le casse della sanità.
 
I ricercatori inglesi hanno preso in esame dei campioni di sangue appartenenti a pazienti arruolati in un trial internazionale sul trattamento del cancro dell’ovaio, all’interno del quale un gruppo era randomizzato alla chemioterapia tradizionale più placebo e l’altro alla chemioterapia più bevacizumab.
Andando ad analizzare i livelli di una serie di proteine, prima dell’inizio della terapia, gli scienziati hanno individuato due proteine particolari, Ang1 e Tie2, in grado di predire la risposta al trattamento con bevacizumab.
In particolare le pazienti con elevati livelli di angiopoietina 1 ( Ang 1) e bassi livelli di Tunica internal endothelial cell kinase 2 (Tie2), sono quelle che sembrano avere le più alte probabilità di risposta alla terapia anti-angiogenetica.  Le pazienti che presentavano elevati livelli di entrambe le proteine erano al contrario quelle con minor possibilità di risposta al farmaco.
 
La valutazione congiunta dei livelli di Ang1 e Tie2 si propone dunque come un biomarker predittivo di una più lunga sopravvivenza libera da malattia (PFS) nelle pazienti con tumore ovarico in trattamento con bevacizumab.
La scoperta andrà adesso verificata attraverso trial di maggiori dimensioni. “Nel prossimo futuro – ha anticipato la professoressa Caroline Dive, del Cancer Research Institute dell’ Università di Manchester, coautrice dello studio - abbiamo intenzione di andare ad esplorare ulteriormente la possibilità di utilizzare un esame del sangue per personalizzare il trattamento del cancro dell’ovaio. Arrivare a mettere a punto un trattamento individualizzato, specifico per ogni paziente e per il loro particolare tumore è un punto chiave per migliorare l’esito del trattamento, risparmiando allo stesso tempo a quelli che non ne potrebbero giovare, gli effetti indesiderati potenziali della terapia”.
 
Maria Rita Montebelli

07 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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