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Epatopatie e malattie alcol correlate. Un’emergenza che vale come prima causa di morte sotto i 24 anni

di Marzia Caposio

A Roma il corso di aggiornamento professionale per giornalisti per comprendere l’emergenza sociale della cirrosi epatica, le molteplici cause a cui vi si giunge, le complicanze più invalidanti come l’Encefalopatia Epatica, per saperla comunicare correttamente

03 DIC - Dagli aspetti medico-scientifici della cirrosi epatica alle attività delle associazioni per la prevenzione e gli aspetti sociali cor­relati, fino ad arrivare agli aspetti deontologici dell’informazione e ai recenti trend della comunicazione. Questi i temi di fondo trattati durante il corso di formazione per giornalisti “Epatologie: i pazienti dimenticati. Conoscenza, prevenzione e terapia di un’emergenza sociale” organizzato nei giorni scorsi a Roma da Sics – Società italiana di comunicazione scientifica e sanitaria, con il contributo non condizionante di Alfasigma.
 
La cirrosi epatica rappresenta l’evoluzione di molte malattie croniche del fegato, le più frequenti causate da virus, abuso di alcool e problemi metabolici. Dopo una lunga fase spesso asintomatica, la cirrosi può diventare scompensata ed i pazienti sviluppano gravi complicanze come, per esempio,  l’Encefalopatia Epatica a cui si giunge quando l’ormai compromissione di quest’organo così importante influisce in maniera estremamente negativa sulle funzioni cerebrali. “Ma la cirrosi è la punta dell’iceberg, la degenerazione del fegato infatti è progressiva e dovuta ad una serie di cause, virali, tossiche o metaboliche”, precisa Dario Manfellotto, Presidente FADOI. “I cirrotici si calcolano intorno all’1-2% della popolazione, ma il dato importante è che circa 600mila italiani sono portatori del virus C dell’epatite che è al momento la causa principale, che porta alla malattia del fegato cronica e poi alla cirrosi che deve quindi essere riconosciuta tempestivamente”.
 
La cirrosi è una patologia dall’alto impatto sociale, sia dal punto di vista di perdite di vite umane sia dal punto di vista dei costi (diretti ed indiretti) per il sistema sanitario. Infatti le spese dirette, quali terapie mediche e chirurgiche, ospedalizzazioni, trapianto ed indirette, come perdita di giornate di lavoro, inabilità al lavoro, indennizzi, pensiona­mento precoce, sono in crescita costante per questo tipo di patolo­gia. Soltanto per l’Encefalopatia Epatica, ha esemplificato Francesco Saverio Mennini, Direttore Centro HTA del Ceis, Facoltá di Economia - Università di Roma Tor Vergata, “un nostro recente studio ha stimato una spesa medio per paziente pari a circa 14mila euro l’anno soltanto di costi ospedalieri, oltre 200milioni/anno valorizzando tale risultato a livello nazionale”.
 
“Le problematiche alcol correlate sono la terza causa di malattia e di disabilità nella popolazione generale e la prima causa di morte sotto i 24 anni”, ha aggiunto  Gianni Testino, SC Patologie delle Dipendenze ed Epatologia Asl 3 Liguria, presso l’Ospedale Policlinico San Martino di Genova. La revisione dei dati sul consumo di alcol in Italia dell’Istituto Superiore di Sanità di quest’anno parla chiaro: “34 milioni di italiani consuma bevande alcoliche; di questi 12 milioni consuma alcol tutti i giorni, circa 8 milioni è a rischio di sviluppare patologie alcol correlate e circa 800mila è alcol dipendente”, prosegue Testino. L’epatologo si troverà sempre più spesso di fronte ad un paziente complesso con una doppia problematica: “dipendenza da alcol e cirrosi epatica”, sottolinea l’esperto. Quindi “gli epatologi dovranno necessariamente cambiare modalità di approccio perché dovranno unire due capacità: quella di portare il paziente in astensione e sobrietà e quella di fare regredire la malattia epatica. Se questo non succederà, il paziente dovrà essere inserito nelle liste per trapianto di fegato. Sappiamo bene che la causa alcol correlata è quella che ha le maggiori garanzie di successo trapiantologico e quindi dobbiamo abbattere lo stigma nei confronti dei pazienti con alcol dipendenza perché se ben trattati e ben seguiti possono avere un futuro migliore”.
 
Come abbiamo detto la cirrosi epatica è una patologia ad alto impatto sociale ed economico che, come tutte le patologie, impatta non solo sulla vita dei pazienti ma anche sull’intero sistema salute. Occorre affrontarla quindi in un’ottica diversa che prenda in considerazione aspetti medici, territoriali e comunitari. “Il problema cirrosi epatica in Campania è particolarmente sentito”, ha quindi esemplificato Ernesto Claar, Rete epatologica Asl Napoli 1. “Si registrano ogni anno 1.800 decessi per cirrosi epatica ed epatocarcinoma. Per intercettare questa piaga, migliorare l’accesso alle cure e favorire la gestione da parte delle famiglie, in Campania abbiamo consolidato la creazione di una vera e propria rete di patologia per dare corpo ad una vera integrazione ospedale-territorio che sta dando i primi importanti risultati. Formare il territorio, formare i medici di medicina generale, formare le famiglie, formare il caregiver e dare degli strumenti per intercettare dei problemi che precedono l’ospedalizzazione è ciò per cui stiamo lavorando in Campania”. La figura del caregiver risulta quindi centrale per una corretta interconnessione tra le problematiche che si trova a dover affrontare il paziente e la struttura sanitaria che lo ha in carico. “Nella nostra azienda sanitaria locale Napoli 1 Centro, abbiamo istituito la scuola per caregiver per pazienti epatopatici”, prosegueRosa Ruggiero anche lei della Rete epatologica della Asl Napoli 1. “Questa scuola, condotta dagli stessi epatologi dell’azienda, si fa carico di formare le persone che seguono i malati a casa dando loro informazioni utili, a metà tra il clinico e il sociale, per ridurre i ricoveri impropri  per avere dei punti di riferimento certi e quindi migliorare di fatto la qualità assistenziale dei pazienti”.
 
In questo quadro non possono mancare le associazioni di pazienti che svolgono da sempre un importantissimo lavoro a livello locale e non solo, interagendo sia con le istituzioni che con le varie strutture sanitarie di riferimento. Per esempio AICAT, Associazione italiana dei Club Alcologici e Territoriali, ha un approccio, per utilizzare le parole del presidente dell’associazione Marco Orsega, “ecologico-sociale e di comunità”. Partire dall’ambiente per modificarlo dall’interno; “i club di AICAT sono comunità multi famigliari in cui le famiglie trovano uno spazio di relazione in un clima di empatia dove poter affrontare le loro difficoltà. Noi facciamo promozione e protezione della salute. Siamo una comunità di cittadini attivi e consapevoli che si attivano nel territorio e che nel territorio e nella comunità affrontano i problemi alcol correlati con l’obiettivo ultimo di cambiare la cultura sociale. Se la comunità ha una cultura sociale di un certo tipo noi, per cambiarla, dobbiamo agire dall’interno e quindi promuovere una cultura diversa nella comunità stessa”, spiega Orsega. Solo agendo all’interno di un contesto si può arrivare ad un risultato di cambiamento in positivo.
 
Secondo Ivan Gardini ex paziente e Presidente di EpaC Onlus, “tanto più si fa una diagnosi di cirrosi tardivamente, tanto più si toglie sopravvivenza alla persona e a volte anche la possibilità di fare un trapianto di fegato. Per questo, è importantissimo fare delle attività informative, divulgative e di educazione anche presso i medici di famiglia in modo che appena ci sono dei segni e dei sintomi collegati ad una malattia di fegato molto avanzata vengano riconosciuti ed il paziente possa essere indirizzato quanto più tempestivamente verso i centri specializzati”.
Le dinamiche di comunicazione gli effetti anche psicologici di un messaggio pubblicitario “alcol-correlato”, soprattutto nei più giovani, sono state infine al centro dell’ultima sessione del corso animata da Marco Dotti, Sociologo dell’Università di Pavia, che ha focalizzato il suo intervento sulle fake news e sulla necessità di intervenire laddove le stesse contribuiscono fortemente nel mantenere lo stigma nei confronti di pazienti (pensiamo al mondo delle dipendenze, da alcool come da stupefacenti) e da Lucia Carriero, neuroscienziata esperta di “Neuromarketing” che ha illustrato con estrema chiarezza e semplicità come e con quale persistenza, soprattutto nei più giovani, messaggi positivi sull’immagine vincente del consumo di alcool possano “depositarsi” nel cervello fino ad occupare quasi totalmente quelle parti, quei recettori, naturalmente deputati alla gratificazione e al piacere, rallentando lo sviluppo di quelle parti deputate alla “resistenza alle tentazioni”, all’inibizione, al freno.
 
Marzia Caposio

03 dicembre 2019
© Riproduzione riservata

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