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Il catastrofismo sul Ssn con Masaniello futuro Dg Asl

di Fabrizio Gianfrate

Soffiare sul fuoco del catastrofismo, anche se in buona fede, rischia di alimentare anche reazioni scomposte e dannose, persino dall’esito incontrollabile. Perché siamo un Paese storicamente a prevalenza di reazionari. Siamo, insomma, Masaniello che è contro la monarchia ma invocando l’aiuto del Re (!) Poi decapitato dai suoi. Oggi invece lo ritroveremmo ripulito a capo di qualche Asl, al servizio del vecchio politico un tempo avversato

16 GIU - “Senti… o accorci quell’anguilla o faccio una strage!”. La vecchia barzelletta del cacciatore e del pescatore che si vantano in competizione l’uno con l’altro nell’escalation delle proprie prodezze, mi è venuta in mente leggendo certe recenti analisi catastrofiste sul SSN, dove sembra si faccia a gara a chi registra i dati più nefasti.
 
Ne ha qui ben commentato Cesare Fassari. Numeri da apocalisse: 12 milioni d’italiani senza cura perché non ne ha i soldi, o s’impoverisce per farlo, un quinto del FSN sprecato, spesa privata salita a un quarto del totale, LEA non di rado un miraggio, miliardi bruciati in corruzione e sprechi, vasta inappropriatezza nella domanda. Il SSN di Hyeronimus Bosch.
 
Così fosse significherebbe che il SSN ha abiurato alla sua cifra costitutiva, l’uguaglianza nell’accesso, la risposta alla domanda di salute della collettività. De profundis della sanità pubblica, requiem per la 833/78, prece per la 502/92, requiescat per la 229/99, miserere del carosello federalista dal 56/2000 fino a oggi. Amen.
 
Stiamo messi davvero così male? Lo dico senza retorica ma dubitativamente, impostando sintatticamente tutto questo commento come un ipotetico periodo di secondo tipo. Quei dati da Caporetto della sanità pubblica sono eccessivamente catastrofistici? Non me lo chiedo solo perché una sanità pubblica da Weimar o da Titanic mi ricorda che la prima è finita a quello coi baffetti da pirla e nel secondo sono affondati pure i passeggeri di prima classe (ma assai meno di quelli di terza). O che la statistica talvolta serve a mentire meglio di bugie e menzogne (M. Twain)
 
Ma perché mi pare abbiamo un SSN, benché sotto finanziato e in difficoltà nel macro (mood neoliberista) e nel micro (trend verso il privato), dall’illegalità non sporadica al pari dell’anti meritocrazia delle appartenenze e della pervasività politica, non di rado foriera d’inefficienza, che nonostante le proprie intricate complessità verticali e orizzontali, con una variabilità territoriale troppo, elevata, è ancora forte di centinaia di strutture pubbliche e di relativi professionisti che garantiscono un livello di assistenza sanitaria mediamente dignitoso, quando non elevato, talvolta eccellente. Una foresta che cresce piano e in silenzio mentre l’attenzione se la prende l’albero che cade fragorosamente. La Lorenzin in merito ha risposto sul Corriere della Sera in modo stavolta molto puntuale ed equilibrato (in passato con la comunicazione aveva litigato qualche volta) respingendo i galloni del generale Cadorna.
 
Da tecnico, allora, mi viene da chiedermi come siano stati raccolti e sintetizzati quei dati in quelle ricerche dai riusltati così inquietanti. Quali le metodologie d’indagine ed analisi? Le fonti? Il “fact-checking”? C’è il rischio che risentano di un bias d’impostazione sugli interessi di chi le ha condotte? O di chi le ha sponsorizzate? I Cv degli Autori? Il controllo indipendente sulla qualità dei risultati? Sono domande non retoriche ma intrinseche alla validità di ogni ricerca, una sorta di vademecum del corretto ricercatore.
 
Competenza, rigore e indipendenza, quindi. Che quando si tratta di sanità, per ovvi motivi di ricaduta collettiva, si devono moltiplicare esponenzialmente. Ecco perché, mi scuserete, storco il naso quando sulle preoccupanti difficoltà del SSN fisiologiche e patologiche, che richiedono seri e ragionati interventi, i rimedi invece li impartisce dal pulpito dell’auditorium o davanti alla telecamera, il ben pettinato relatore, sedicente alfiere dell’etica la mattina, di pomeriggio lobbista a gettone. O l’amministratore delegato dell’azienda o dell’organizzazione sponsor.
 
Legittimo farlo, per carità, molto spesso fatto assai bene (gente indiscutibilmente competente nel proprio lavoro), solo che così diventa inevitabile dubitare della solidità del dato esibito, della sua oggettività, specie quando, come di solito succede, enfatizza un problema la cui soluzione è propedeutica agli interessi di chi la ricerca la sponsorizza o sostiene. Così che ricerche dalle dichiarate finalità conoscitive si effettuino in realtà per supportare tesi precostituite proprio vantaggio. Con priorità data alla comunicazione anziché ai materiali e metodi adottati, tipico di questi tempi di post-verità.
 
Senza volere fare il purista o il puritano (non vincerei mai l’idoneità a scagliare né la prima né le successive pietre) temi così importanti e complessi andrebbero trattati non solo con la competenza necessaria, che non manca, ma che ne è condizione necessaria ma non sufficiente. Se non accompagnata da rigore e asetticità di giudizio. E questo uno degli elementi in genere di maggiore debolezza, ma anche rammarico, nel nostro sistema: tanta gente competente ma infine poco indipendente. Diceva Longanesi, in Italia la libertà c’è, a mancare sono gli uomini liberi.
 
Questo non significa non potere, anzi dovere, criticare quando necessario le non poche storture del nostro SSN (lo faccio spesso e duramente, anche qui su QS) Sul quale, proiettandosi nella demografia di domani, intervenire e riformare è inderogabile. La domanda è quindi non “se” cambiare ma “come” e “quanto”. Ma uno scenario di partenza tanto catastrofista rischia d’indirizzare alla rivoluzione non alla riforma. E se tale catastrofismo d’indirizzo è strumentale a interessi precipui, il cambiamento rischia di non essere a beneficio del sistema ovvero della collettività ma di pochi specifici. Era sempre Longanesi a dire che le rivoluzioni cominciano per strada per finire a tavola. Ecco perché è difficile dare pieno credito alle nostre catastrofiste Rosa Luxemburg all’amatriciana, il cui bartaliano “l’è tutto da rifare” appare propedeutico al proprio portafoglio.
 
Con la conseguenza aggravante che certe rivoluzioni cancellano anche il buono che c’è, la proverbiale acqua sporca gettata via con bambino annesso. Infanticidio probabile perché nel nostro SSN in molti casi la qualità dell’assistenza, non solo clinica e medica ma anche organizzativa e gestionale, uguaglianza all’accesso inclusa, è già elevata. E non poco.
 
Non solo. Soffiare sul fuoco del catastrofismo, anche se in buona fede, rischia di alimentare anche reazioni scomposte e dannose, persino dall’esito incontrollabile. Perché siamo un Paese storicamente a prevalenza di reazionari, non di ordinati rivoluzionari (Trotsky). Ci piace assai di più la melodrammatica coltellata di Canio vestito da pagliaccio a chi l’ha cornificato dell’appassionata e colta arringa su “liberté, égalité e fraternité” del giovane avvocato Robespierre alla presa della Bastiglia (a sovvertire il potere armi in pugno sei più credibile se ci vai in camicia bianca aperta sul petto che vestito come Sbirulino).
 
Siamo, insomma, Masaniello che è contro la monarchia ma invocando l’aiuto del Re (!) Poi decapitato dai suoi (come nostro costume). Oggi invece la sfangherebbe, e dopo lo ritroveremmo ripulito in cattedra in qualche Ateneo o in un CdA di municipalizzata. O a capo di qualche ASL, ovviamente al servizio del vecchio politico. Lo stesso un tempo, almeno all’apparenza, ferocemente avversato.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia sanitaria 


16 giugno 2017
© Riproduzione riservata


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