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Gli infermieri, il demansionamento e la ‘svolta’ dell’Ipasvi Pisa su art. 49

15 APR - Gentile direttore,
l’articolo del Presidente del Collegio Ipasvi di Pisa, Emiliano Carlotti, rappresenta una svolta per la figura professionale infermieristica. La problematica sulla legittimità e sulla coerenza dell’art. 49 del Codice Deontologico Infermieristico è stata, finalmente, affrontata da un Collegio Provinciale.
 
Il collegio di Pisa ha affrontato con chiarezza quello che il collega Daniele Carbocci, il Prof. Ivan Cavicchi e la Dott.ssa Marcella Gostinelli hanno più volte sottolineato nel tempo.
 
Non si può continuare ad utilizzare norme e codici rimasti ancorati nel passato, mai sostituiti o integrati, che non tengono conto dei cambiamenti radicali che vanno investendo il Sistema Sanitario Italiano e i cittadini che ne utilizzano i servizi.
 
Il malato è cambiato nel tempo: non è più il soggetto passivo delle cure, bensì è consapevole dei propri diritti, è ben informato sulla propria salute, riconosce e si confronta con le figure che lo assistono e prende decisioni in collaborazione con i professionisti sanitari.
 
Viceversa le professioni sanitarie sono tenute a cambiare, a migliorarsi, a discostarsi dal “tempo che fu”, a delineare in maniera sempre più specifica i propri ruoli e ambiti di competenza, plasmandosi ed integrarsi insieme per raggiungere obiettivi sempre maggiori e positivi per il malato.
 
Le professioni sanitarie in generale, e quella infermieristica, nello specifico, devono essere tutelate nell’esercizio delle proprie competenze, evitando gli “scambi” di ruolo, il demansionamento e la de-professionalizzazione.
 
Tutto questo è possibile partendo dalla disapplicazione dell’art 49 del CDI, articolo presente solo all’interno del nostro regolamento etico, che viene puntualmente utilizzato per far fronte alle necessità organizzative delle strutture sanitarie, senza tener conto del rispetto del ruolo e delle competenze che ogni infermiere detiene.
 
Il nostro codice comportamentale non deve contenere l’eccezionalità ma deve necessariamente  rappresentare la nostra opera professionale e garantire la possibilità ad ogni infermiere di comportarsi di conseguenza, senza essere impegnato in ciò che non gli compete, togliendo così tempo prezioso alla propria autorità decisionale e soprattutto ai pazienti che assiste.
 
In teoria la Legge n° 42 del 1999 ha abrogato definitivamente il mansionario, abolendo di fatto dal nostro vocabolario di professione la parola “ausiliaria”, il CCNL Comparto Sanità 1998-2001 stabilisce, sulla carta, che l’infermiere “appartiene ad una categoria di lavoratori che ricopre posizioni di lavoro che richiedono, oltre che a conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazioni ai titolo di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa”, infine, la Legge n° 251 del 2000 definisce le professioni sanitarie infermieristiche […] “professioni in cui gli operatori svolgono attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione”.
 
Nonostante tutto questo corollario di norme in cui si sottolinea la nostra autonomia decisionale e la nostra libertà di ruolo, un solo articolo ci rende “prigionieri” delle necessità organizzative delle strutture nelle quali lavoriamo, sempre pronti a sopperire alle carenze di personale, a limitare le nostre competenze e la nostra capacità di scelta.
 
In molte sentenze giudiziarie e all’interno del CC, il demansionamento è stato ritenuto dequalificante e inappropriato in diversi contesti temporali.
 
L’art. 2103 del Codice Civile stabilisce che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito […] senza alcuna diminuzione della retribuzione”.
 
Il 5 febbraio 2000 la Cassazione Sezione Lavoro n. 1307 decretava che “l’organico del personale deve essere adeguato alle normali esigenze aziendali affinché i dipendenti in servizio non siano sottoposti ad abnormi prestazioni lavorative che esulino dalle proprie competenze”.
 
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione Sentenza n. 24293 del 2008 ha stabilito che “richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte al riguardo, la modifica delle mansioni […] non può avvenire in maniera dequalificante ma deve essere mirata al perfezionamento e l’accrescimento del corredo di esperienze, nozioni e perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto”.
 
Tutto questo nella pratica viene meno a causa dell’ esistenza dell’art. 49 che vincola “l’infermiere a compensare le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera”, così che ad oggi  l’eccezionale è diventato la regola, le carenze sono la regola, i disservizi sono la regola.
Il punto da analizzare è che l’art. 49 e il corrispondente demansionamento rendono anomala la prassi e rendono le carenze organizzative una consuetudine.
 
L’art. 49 è stato concepito per sottolineare, in maniera peraltro inopportuna, il senso di responsabilità dell’infermiere nei momenti in cui la struttura “traballa” e necessita di mani piuttosto che di competenze, per giustificare il demansionamento in caso di carenze abituali e per porre rimedio al disservizio, che da anormale sta diventando normale usanza.
 
Il fatto di mantenere in vigore un Codice Deontologico da riformulare determina uno sfruttamento professionale notevole, che genera disservizi non solo per l’operatore stesso ma anche per il cittadino.
Diventa così inutile formulare nuove norme per rimarcare la nostra autonomia di professione intellettuale e le nostre competenze specialistiche ( vedi Comma 566 della Legge di Stabilità 2015) se poi siamo vincolati ad un Codice Deontologico immodificato nel tempo e demansionante nel volerlo rispettare.
 
Il Collegio Ipasvi di Pisa ha colto il punto: realizzare un nuovo CDI è un obiettivo importante per ogni singolo infermiere, è una risorsa da utilizzare in futuro e una “polizza a vita” che può migliorare il nostro lavoro.
Ogni Collegio dovrebbe rivedere quali condizioni deontologiche sono necessarie per lo svolgimento della professione, dovrebbe difendere i propri infermieri dallo sfruttamento e proteggerli dagli abusi professionali a cui sono sottoposti oggi.
 
E quindi giusto ripensare il Codice Deontologico, è giusto riscriverlo, è giusto abolire l’art. 49. “Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare dell’interruzione un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte, del bisogno un incontro”, Fernando Pessoa.
 
Per risolvere le immense problematiche della nostra professione occorre che ogni infermiere si renda conto anche dei propri diritti e non solo dei propri doveri, che i sindacati si assumano la responsabilità di difendere tali diritti e che ogni Collegio Ipasvi stabilisca obiettivi concreti per il futuro, uno di questi è riesaminare e correggere il CDI.
 
Per tutti i motivi sovra citati, come già precedentemente detto da Emiliano Carlotti, è altrettanto importante avviare un dibattito partecipato tra tutti i portatori di interesse rispetto alla professione infermieristica su queste tematiche, che diventano di fondamentale rilievo se vogliamo cambiare/migliorare il nostro lavoro.
 
Elisa Ceciarini
Infermiere e studente magistrale

15 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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