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Cure domiciliari Covid. Chi ha ragione tra Tar Lazio e Consiglio di Stato? Lo abbiamo chiesto a Daniele Rodriguez (Un. Padova) e a Filippo Anelli (Fnomceo) 

di Giovanni Rodriquez

Il decreto firmato ieri dal neo presidente Franco Frattini è stato nelle ultime ore contestato con la seguente motivazione: è vero che i medici restano liberi di scostarsi dalle raccomandazioni ministeriali, ma così facendo si esporrebbero a possibili contenziosi in caso di eventi avversi. Una tesi tanto debole quanto capziosa. Rodriguez (già Ordinario di medicina legale a Padova): "Le linee guida non sono uno strumento di medicina difensiva". Anelli (Fnomceo): "Non esiste nessuna costrizione per i medici, neanche indiretta"

20 GEN - Ieri il Consiglio di Stato, con decreto monocratico, ha sospeso la sentenza con la quale nei giorni scorsi il Tar Lazio aveva annullato il contenuto della circolare del Ministero della Salute in merito alla gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-Cov-2, nella parte in cui si prevede una "vigile attesa" e la somministrazione di Fans e Paracetamolo. Secondo il parere del Consiglio di Stato, il documento ministeriale “contiene, spesso con testuali affermazioni, ‘raccomandazioni’ e non ‘prescrizioni’ cioè indica comportamenti che secondo la vasta letteratura scientifica sembrano rappresentare le migliori pratiche, pur con l’ammissione della continua evoluzione in atto”.

Il decreto firmato dal presidente Franco Frattini è stato nelle ultime ore contestato con la seguente motivazione: è vero che i medici restano liberi di scostarsi dalle raccomandazioni ministeriali, ma così facendo si esporrebbero a possibili contenziosi in caso di eventi avversi. Un po’ come a far intendere che la sola presenza di quelle raccomandazioni si traduca, di fatto, in un obbligo indiretto per i medici di seguirle. E, soprattutto, si lascia intendere che la mera esecuzione acritica di una linea guida esenti automaticamente il professionista da ogni addebito. Una tesi tanto debole quanto capziosa. Vediamo perché.

La legge Gelli sulla responsabilità professionale e la sicurezza delle cure (24/2017) prevede che gli esercenti la professione sanitaria si attengano, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida. Le linee guida di riferimento che fanno capo all’articolo 590-sexies del Codice penale, sono quelle riconosciute dall’Istituto superiore di sanità e pubblicate sul Sistema nazionale linee guida. L’articolo 590-sexies sopracitato spiega che, “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Ora ci sono due elementi da valutare. Innanzitutto, l’articolo del Codice penale, così come la stessa legge Gelli, richiamano ad una libera valutazione medica del singolo caso specifico. Si spiega infatti che le linee guida debbano essere applicate solo qualora “adeguate alla specificità del caso concreto”. Già questo lascia intendere non solo l’inesistenza di alcun automatismo che esenti il medico da ogni tipo di colpa, visto che spetta a lui la valutazione del caso, ma anche come la volontà del legislatore non fosse certo quella di ingessare o comprimere la libertà del medico nell’esercizio della propria funzione.
 
Oltre a questo va inoltre sottolineato un altro aspetto. La circolare del Ministero della Salute sulla gestione dei pazienti Covid a domicilio non è stata recepita né tra le linee guida né tra le buone pratiche pubblicate sul Sistema nazionale linee guida dell’Istituto superiore di sanità. Il che rende ancora più complicato considerare quelle indicazioni come “vincolanti”, sia pure indirettamente, ai fini dell’esenzione dalla responsabilità medica. La norma, inoltre, fa esplicitamente riferimento all’imperizia. Al che c’è da chiedersi: si può definire come “imperizia” la prescrizione di un farmaco diverso da quelli indicati nella circolare ministeriale? Possiamo in tal senso fare l’esempio dello Zitromax: nonostante gli antibiotici siano espressamente non raccomandati dalle indicazioni ministeriali, il farmaco è al momento introvabile in Italia per l’elevato numero di confezioni vendute.

“Direi che assolutamente non si può parlare di imperizia in questo caso perché vi sono degli elementi concreti per ritenere che vi sia una sovraesposizione batterica. Il fatto che di norma non sia raccomandato l’antibiotico per questi casi non si traduce nel fatto che non lo si debba prescrivere in nessun caso. E questo ragionamento si può estendere anche ad altri farmaci. Sia la legge Gelli che il codice penale richiamo ogni volta la necessità di adeguare le linee guida al caso concreto. Il mero rispetto delle indicazioni non esenta mai di per sé dalla possibile colpa”, spiega Daniele Rodriguez, medico legale e già professore di Medicina legale all’Università di Padova.

“Il riferimento alle linee guida non cancella la libertà ed anche il dovere del medico di interpretarle nel caso concreto. Se da medico mi limito ad applicarle con il paraocchi, senza modularle rispetto alle specificità dei pazienti, ciò non mi esime in alcun modo da possibile colpa in caso di evento avverso - aggiunge Rodriguez -. Queste non sono uno strumento di medicina difensiva. Troppo spesso si interpretano le linee guida come un salvacondotto, eliminando in tal modo impropriamente qualunque senso critico nell’esercizio della professione. La professione medica nasce dalle evidenze scientifiche, e linee guida sono un distillato di queste evidenze scientifiche. Si configurano dunque uno strumento di lavoro e non di coartazione. Si deve far sì riferimento ad esse, ma applicando sempre la propria competenza”. 
 
Ma a livello pratico, cosa hanno comportato queste indicazioni ministeriali per i medici? “Non esistono terapie specifiche domiciliari per il Covid. Il medico ha come alternativa il monitoraggio clinico - ossia la vigile attesa - oppure l’utilizzo di alcuni farmaci per contenere i sintomi della malattia. Il Ministero della Salute si è limitato a questo. E in tal senso nessun medico si è sentito limitato nell’esercizio della sua professione. Il Consiglio di Stato ribadisce che quelle ministeriali rimangono blande raccomandazioni, non esiste nessuna costrizione, neanche indiretta”, spiega il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli.
 
“A me pare si stia creando una tempesta in un bicchier d’acqua al solo fine di giustificare la prescrizione di farmaci come l’idrossiclorochina. All’inizio abbiamo provato a prescriverla off label per questa malattia, salvo poi abbandonarla dal momento che, come dimostrato da diversi studi anche internazionali, non dava i risultati sperati. I medici, in ogni caso, devono usare i farmaci guardando sempre sia alle indicazioni che, come specificato nel Codice deontologico, alla loro appropriatezza. E, in ogni caso, la responsabilità resta sempre in caso al medico, a prescindere dalle linee guida, sia che decida di usare o di non usare un determinato farmaco”, conclude Anelli.
 
Giovanni Rodriquez

20 gennaio 2022
© Riproduzione riservata

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