non è che siamo messi molto bene in Sanità pubblica, al punto che, oltre ai pazienti, se ne sono accorte addirittura le Regioni che quindi avanzano numerose proposte per far fronte alla carenza di personale sanitario (una condizione attribuita all’età elevata degli operatori, al burnout, alle condizioni di lavoro, alla migrazione professionale, alla richiesta di prestazioni sempre maggiore, sia a causa dell’età sempre più anziana della popolazione sia per le aspettative aumentate da parte dell’utenza) di fatto certificando la attuale crisi del sistema pubblico e suggerendo la necessità di risorse aggiuntive, oggi apparentemente non disponibili.
Sarebbe necessario, sempre secondo le Regioni, rivedere le retribuzioni dei professionisti della sanità pubblica, riordinare le professioni sanitarie (attualmente a compartimenti stagni), acquisire personale sanitario all’estero e, da ultimo, puntare sulla trasformazione digitale. Il tutto ovviamente senza tenere conto che l’attuale modello di sanità pubblica avrebbe la necessità almeno di un ripensamento/revisione, come sostenuto ed argomentato efficacemente e da tempi immemorabili non solo da Ivan Cavicchi sulle pagine di QS.
Tuttavia, dal momento che non ci sembra di scorgere alcuna volontà (capacità?) politica di modificare/migliorare la condizione attuale del SSN e tantomeno di ripensare il modello gestionale e amministrativo in corso, come sempre si finisce per parlare di soldi, intendendo con questo termine i fondi da destinare alla Sanità pubblica. Che però non ci sono per migliorarne l’organizzazione (anche se stupiscono gli ingenti stanziamenti finanziari per abbattere strutture ospedaliere perfettamente funzionanti e costruirne di nuove appena di fianco – vedi il progetto per un nuovo Ospedale a Cremona, Lombardia) e neppure per rendere più attrattive le professioni sanitarie.
Potremmo osservare che finalmente si manifesta una proposta di intervento concreta e reale per la soluzione dei nostri problemi, anche se alcune domande sorgono spontanee: a parte la necessità di finanziamenti per la realizzazione di tutto questo (ma allora i soldi ci sono o non ci sono?) varrebbe la pena di fermarsi a riflettere non tanto sulle buone intenzioni, quanto sui possibili risultati degli interventi proposti.
Spiace scomodare nuovamente la letteratura medica al proposito, però la nostra pessima abitudine è quella di basare le nostre dichiarazioni sull’evidenza scientifica e di evitare quanto più possibile le affermazioni, tanto più opinabili quanto più gridate. A questo proposito varrebbe la pena di scorrere un po’ di letteratura scientifica a proposito delle prove di efficacia dei trattamenti proposti, magari anche il database Cochrane, oggi un pò trascurato. Magari anche la rivista World Psychiatry (IF 79,683) che non molto tempo fa (2022 Jan 11;21(1):133–145. doi: 10.1002/wps.20941) ha eseguito una valutazione (Umbrella review) delle metanalisi sulla psicoterapia concludendo per un quadro generale di limitato beneficio aggiuntivo sia per le psicoterapie che per le farmacoterapie rispetto al placebo o al trattamento normale affermando che “dopo oltre mezzo secolo di ricerca, migliaia di RCT e milioni di fondi investiti, la "fuga di cervelli da mille miliardi di dollari" (i costi dei problemi legati alla salute mentale in Europa) non è sufficientemente affrontata, in termini di efficacia, dai trattamenti disponibili” e concludendo “Fingere che tutto vada bene non farà di certo progredire il settore”.
Si potrebbe quindi pensare che, a fronte degli enormi problemi attuali della sanità pubblica, della carenza dei fondi necessari per farla funzionare meglio e per attirare personale sanitario, delle liste di attesa ormai un problema insormontabile, delle necessarie riforme di cui non parla nessuno, sarà necessario darsi da fare per trovare i fondi per lo psicologo di base, una figura ritenuta necessaria ma la cui attività non pare soggetta a prove di efficacia. E’ pur vero che oggi la medicina basata sull’evidenza scientifica è soggetta a critica da parte di molti, ma forse non è questa una buona ragione per impiegare i fondi disponibili per la Sanità pubblica a favore di pratiche con prove di efficacia abbastanza esitanti.
Pietro Cavalli
Medico