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‘Quota 100’ rischia di dare un colpo definitivo al Servizio pubblico

di D.Naccari Carlizzi, D.Marino

30 NOV - Gentile direttore,
nelle settimane scorse il segretario nazionale dell’Anaao Assomed Carlo Palermo aveva lanciato un fondato monito sul rischio di collasso per il SSN determinato dall’introduzione della cosiddetta Quota 100 e dal conseguente pensionamento di 25 mila medici. Tale analisi è stata ripresa sempre il 2 ottobre da Antonio Saitta, nella qualità di coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e Provincie autonome, che sottolineava anche la mancanza nella manovra di risorse per le nuove assunzioni.

Saggiamente la ministra Grillo aveva condiviso gli allarmi in relazione all’assenza di “capitale umano” pronto per colmare i vuoti e aveva annunciato “paletti” alla originaria misura per non “mettere in ginocchio” il SSN.

Il rischio di fuga dal SSN con Quota 100 si sovrappone oltretutto al problema della sostituzione dei medici già in uscita per la curva demografica e il pensionamento della generazione dei Baby Boomers (45 mila medici in pensione nei prossimi 5 anni sempre secondo Anaao-Assomed).

Se è vero che sono venute meno nel testo della manovra presentata alle Camere le anticipazioni più estreme che si spingevano addirittura ad una declinazione tecnica completa della Quota 100, condita da incentivi al riscatto a prezzi di saldo degli anni di laurea, rimane pacifico che si interviene su un sistema che ha già dovuto affrontare politiche di razionamento del personale che hanno indebolito la capacità del sistema di continuare a garantire nel tempo buona sanità.

La declinazione degli impatti sulle Regioni della formula proposta e ancora impropriamente denominata Quota 100, nonostante non sia più aritmeticamente tale, non è però eguale sul territorio nazionale. In particolare, sul piano geografico la differente età media dei medici in servizio nelle diverse regioni determinerebbe un effetto catastrofico soprattutto sulla sanità delle regioni meridionali per gli effetti del blocco del turn over determinato dai piani di rientro delle regioni commissariate che già oggi sono in grave sofferenza a causa dell’età media avanzata dei medici e degli infermieri. Il dato è sostanzialmente collegato alla sopravvivenza del SSN e dei Livelli Essenziali di Assistenza ormai ridotti ad una maschera deformante nelle Regioni in piano di rientro. In queste Regioni l’età media del personale sanitario è di 53,02 anni contro una media nazionale di 50,72 (fonte Conto Annuale Ragioneria Generale dello Stato 2016). Se si considera che i medici hanno la possibilità di riscattare fra laurea e specializzazione fino a 11 anni di studi universitari è facile rendersi conto come un’età media di 53,02 anni faccia presagire un esodo di massa in presenza della cosiddetta Quota 100.  

Se poi concentriamo la ricerca sulle due Regioni che dalla Griglia LEA 2016 risultano inadempienti nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e cioè su Campania e Calabria scopriamo che la situazione è ancora peggiore. Infatti la Campania vanta un’età media dei medici in servizio di 54,21 e la Calabria di 54,53 (vedi grafico 1). Entrambe quindi sopra la media delle Regioni in piano di rientro e lontanissime dalla media nazionale.
 
Figura 1 - Età media dipendenti SSN (anno 2016)


L’approvazione della Quota 100 determinerebbe uno scivolamento ulteriore dei servizi in contesti che già oggi sono difficilmente assimilabili ad una visione unitaria del SSN. È facile immaginare la difficoltà di coprire i vuoti di organico rispetto ad una professione medica oggetto di una cattiva programmazione del numero chiuso e sempre più usurante e bistrattata contrattualmente, con la conseguenza di lasciare interi reparti sostanzialmente sguarniti di personale.

Ancor più grave è la situazione se riferita al personale infermieristico il cui lavoro a causa dei pesanti carichi può sicuramente esser considerato un lavoro usurante. Il probabile utilizzo della Quota 100 avrebbe delle conseguenze intuitive che tuttavia sembrano sfuggire ai redattori della manovra. Se consideriamo per esempio la Regione Calabria che ha oggi un personale infermieristico per mille abitanti che è di circa il 34% inferiore a quello della Toscana (figura 2), ci rendiamo facilmente conto che in questo settore l’approvazione della quota 100 comporterà un fondato rischio di chiusura per molti reparti.
 
Figura 2 - Distribuzione categorie dipendenti SSN– Confronto Calabria Vs Toscana (anno 2016)
 

 
Se poi si studiasse la distribuzione territoriale tra centro e periferia si vede come le strutture che più soffriranno di questo esodo saranno quelle marginali, già ampiamente penalizzate che però dovrebbero giocare un ruolo fondamentale di presidio del territorio per garantire se non una sanità uguale per tutti, che nelle regioni meridionali è un esercizio retorico, ma almeno una sanità dignitosa per una quota consistente della popolazione nazionale.

Sono poi facilmente prevedibili le scelte dei medici specialisti che potranno valutare in quali contesti lavorare, visto il fallimento delle politiche di programmazione del personale e di formazione.  Lasciando da parte il problema delle risorse e delle politiche restrittive al reclutamento, diventerà impossibile per taluni contesti attrarre i pochi medici liberi che naturalmente sceglieranno i contesti più confortevoli. In una logica selettiva, le destinazioni delle regioni del Mezzogiorno, costantemente in bilico tra la maschera dei LEA e la realtà dei servizi, saranno delle scelte residuali. Chi accetterebbe di studiare oltre un decennio medicina per poi lavorare in ospedali di frontiera?

Da tempo la dottrina giuridica più avveduta ha abbandonato l’idea di rileggere in maniera formale il principio di eguaglianza e il concetto stesso di livelli essenziali delle prestazioni e di livelli essenziali di assistenza. La quota 100 però rischia di dare il colpo di grazia definitivo all’idea di sanità nazionale intesa come insieme di prestazioni diseguali ma almeno confrontabili e assimilabili a diseguaglianze sostenibili. Saremmo di fronte a politiche improvvide che concorrono alla cancellazione della sanità meridionale, condannata ad una marginalità che farà sempre di più aumentare la mobilità sanitaria. Curarsi cesserà di essere un diritto nazionale e diventerà un diritto geografico ad azionabilità differenziata!
 
 
Demetrio Naccari Carlizzi
(University Campus of Malta) 

Domenico Marino
 (Università Mediterranea di Reggio Calabria)

30 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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