Nel febbraio 2025 l’architetto Lorenzo Innocenti di 37 anni ha ucciso con 24 coltellate la sua compagna di 34 anni Eleonora Guidi, a Rufina in provincia di Firenze, dove vivevano insieme al figlio di un anno e mezzo, ora affidato alla sorella della vittima. Dopo aver inferto le coltellate, l’uomo si è gettato dal secondo piano e per i traumi fisici, è stato ricoverato in coma ed operato all’ospedale di Careggi e poi al don Gnocchi per la riabilitazione. Avrebbe anche detto, più volte, di non ricordare nulla dell’accaduto.
Secondo una prima perizia di maggio 2025, disposta a seguito delle conseguenze per le ferite alla testa riportate per l’essersi defenestrato, l’uomo non sarebbe stato in grado di affrontare il processo per deficit cognitivo. Quindi il giudice, come misura di sicurezza provvisoria in Casa di Cura e Custodia, ha disposto il ricovero nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) dell’Ospedale Santa Maria Annunziata di Ponte a Niccheri, nel Comune di Bagno a Ripoli in provincia di Firenze, dov’è tuttora dopo diversi mesi.
Il caso ha sollevato diverse proteste da parte da parte della sorella della vittima e di tanti cittadini con organizzazioni di manifestazioni e la costituzione di un gruppo facebook, “Giustizia per Eleonora” con oltre mille iscritti, con un notevole riscontro sui mass media locali. In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne il 25 novembre il caso ha assunto un rilievo nazionale nell’ambito della trasmissione RAI 1 “Storie Italiane” con il servizio intitolato “Omicidio Eleonora Guidi: l’ex compagno libero di girare, ricoverato in psichiatria, senza alcuna restrizione”. Nel corso del servizio la sorella della vittima ha raccontato che “si aggira nell’ospedale, prende ascensori, gira tra i vari piani, prende il caffè da asporto, riceve visite nelle panchine dell’ospedale” e l’avvocato ha detto “lui si è ripreso al punto tale che gli stessi medici del reparto di psichiatria hanno scritto ai magistrati dicendo che non è un paziente psichiatrico. Che non ha nessun tipo di terapia da seguire, che quel reparto non è idoneo ad ospitare un soggetto con misure di sicurezza”. Nelle settimane precedenti in ben due occasioni analoghi servizi sul caso sono stati mandati in onda dalla trasmissione “Chi l’ha visto”.
Comunque, la procura ha chiesto e ottenuto una nuova perizia, che dovrà valutare se l’uomo è in grado di affrontare il processo. Il risultato arriverà a gennaio 2026, con la prima udienza dinanzi al giudice delle indagini preliminari fissata per inizio febbraio.
Certamente si tratta di una storia unica, ma ha in comune con tante altre il “ricovero giudiziario” in Spdc, previsto dall’art. 73 del codice di procedura penale. Si tratta di una prassi sempre più frequente dopo la giusta chiusura degli ex ospedali psichiatrici giudiziari, decretata dalla legge 81 del 2014.
Due le motivazioni più frequenti: l’incompatibilità con la detenzione in carcere e la lista di attesa per le Residenze per le Misure di Sicurezza (Rems).
Il “ricovero giudiziario” in Spdc, che può prolungarsi anche oltre un anno, determina un uso clinicamente improprio di posti letto destinati alle persone con disturbi mentali in stato di acuzie e ripercussioni negative nei confronti degli altri ricoverati, in particolare quando si tratta di persone con disturbi antisociali spesso con patologie da dipendenza. Alimenta sia il pregiudizio che vede associare automaticamente la violenza alla malattia mentale, sia il ritorno al mandato custodialistico ai dipartimenti di salute mentale.
È tempo di una riflessione comune, a partire dai mondi della giustizia e della sanità.
È ora di chiedere con forza alle istituzioni di mettere in atto tutti i necessari correttivi, peraltro in gran parte già indicati dalla Corte Costituzionale con le sentenze 99/2019 e 22/2022, riprese dal Piano Nazionale Azioni per la Salute Mentale 2025-2030.
Per evitare la fuga degli operatori dai servizi pubblici con una posizione di garanzia sempre più correlata alla custodia rispetto alla cura. Per dare una risposta al sovraccarico di lavoro e ai fenomeni di burn out degli operatori dei dipartimenti di salute mentale, per i quali, al di là dei finanziamenti per la realizzazione delle Rems, con la chiusura degli OPG non state previste ulteriori risorse, rimaste sostanzialmente sempre ferme al 3% del Fondo Sanitario Nazionale.
Prima del ritorno al passato, dove il mandato alla psichiatria era il controllo sociale piuttosto che la cura.
Massimo Cozza
Direttore Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 2