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Piemonte. Reti oncologiche, Pdta e dati di real life per garantire l’innovazione terapeutica in oncologia

Ma anche attivazione di sistemi informativi che leghino dati di appropriatezza prescrittiva ed efficienza economica all’esito delle terapie. Si è svolto a Torino il quarto incontro che vede istituzioni, oncologi, farmacisti e anatomopatologi a confronto sui modelli di governo dell’innovazione farmaceutica. Il Piemonte conferma l’efficienza della sua rete oncologica

25 LUG - Diffusione delle reti oncologiche, definizione dei Percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (Pdta), selezione dei Centri prescrittori, attivazione di sistemi informativi che “parlino la stessa lingua” e leghino i dati di appropriatezza prescrittiva e di efficienza economica all’esito delle terapie. E ancora, ricorso alla Hta, coinvolgimento di gruppi di lavoro di valutazione del farmaco in seno alle Commissioni terapeutiche regionali, individuazione delle Unità farmaci antitumorali centralizzate (Ufa) e poi diffusione dei dati real life, ricorso al Vial sharing, attuazione del Drug day e inserimento del Test diagnostico di selezione biomolecolare all’interno del Pdta.
 
Sono questi solo alcuni dei molti strumenti che le Regioni potrebbero adottare per garantire da un lato il governo della spesa per l’assistenza farmaceutica, quindi sostenibilità ed equità d’accesso alle cure, dall’altro innovazione e sperimentazione di nuovi farmaci che migliorino esiti e qualità dell’offerta sanitaria. Per aprire le porte anche alla sostenibilità delle innovazioni terapeutiche che si affacceranno nei prossimi anni.
 
Ma il cammino è ancora in salita per molte realtà locali. I percorsi da seguire non sono stati delineati in tutte le Regioni come dimostrano i risultati preliminari del progetto di ricerca “La governance dell’innovazione farmaceutica in Italia” della Scuola Superiore Sant’Anna realizzato in dieci Regioni italiane - presentati da Francesco Attanasio, Bruna Vinci, rispettivamente Consulente e ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa - nel corso del workshop “Il governo dell’innovazione farmaceutica: modelli di gestione sostenibile dei farmaci oncologici innovativi ad alto costo” organizzato nei giorni scorsi da Motore Sanità a Torino. Il quarto incontro di una serie di confronti che si terranno nelle principali città italiane per capire come sostenere l’innovazione farmaceutica alla luce della difficile sfida della sostenibilità economica.
 
Gli scenari in Piemonte. Sul fronte delle cure oncologiche il Piemonte è una tra le realtà più virtuose d’Italia. È stata infatti la prima Regione ad aver individuato i Centri di riferimento per la cura di 16 patologie tumorale, alla fine del 2015 con un provvedimento ad hoc e nell’ambito del proprio Dipartimento di rete oncologica, anche questo unico in Italia. Modelli organizzativi, volumi di attività appropriati, expertise degli operatori e dotazioni tecnologiche sono stati i requisiti utilizzati per selezionarli. Un passo fondamentale sul fronte dell’assistenza che ha lasciato comunque ai pazienti la libertà di scegliere dove curarsi. Non solo, è stata anche avviata la ridefinizione delle attribuzioni dei Centri abilitati alla prescrizione dei farmaci oncologici sottoposti a Registro Aifa per le singole patologie tumorali,
 
Inoltre il Piemonte, insieme a Toscana, ed Emilia Romagna ha previsto finanziamenti formali per il miglioramento del sistema e per fare ricerca all’interno della rete. È stato infatti eliminato il prontuario regionale per velocizzare l’accesso al farmaco e viene utilizzata la target teraphy.
Ma altre iniziative sono in cantiere proprio sul fronte dei farmaci innovativi: è stata infatti costituita, su iniziativa di Loredano Giorni, Direttore della farmaceutica della regione Piemonte, una commissione oncologica che in collegamento con la rete oncologica andrà a valutare i farmaci per le neoplasie.
Rimane il fatto che la coperta economica è corta, nonostante la sanità nella Pubblica amministrazione sia stato il settore che ha dato il maggiore contributo al risanamento della finanza pubblica.
 
“Negli ultimi due anni sono stati tolti 6 miliardi dalla sanità rispetto a quanto previsto dal Patto della saluteha sottolineato Fulvio Moirano, Direttore Generale Sanità Regione Piemonte. “La spesa sanitaria rispetto al Pil sta diminuendo – ha spiegato – la prima voce di spesa pubblica italiana sono le pensioni con circa 500 miliardi, la seconda è quella sanitaria con 111 miliardi e la terza sono gli interessi sul debito pubblico, pari a circa 70 miliardi. Ma se la prima e l’ultima non sono comprimibili, solo la sanità è comprimibile. C’è quindi una forte pressione. In questi scenario penso che la spesa farmaceutica possa anche crescere rispetto alle percentuali attuali ma non può crescere fornendo farmaci la cui innovatività non è così certa. Il nodo è quindi cercare di capire quello che è veramente innovativo in termini di efficacia. In oncologia stanno arrivando farmaci sempre più efficaci, ma bisognerebbe che questa innovatività diventi misurabile”.
 
Moirano ha quindi ricordato le proposte sulla governance farmaceutica presentate dalle Regioni al Governo. “Le Regioni – ha aggiunto –sono disponibili a discutere aumenti percentuali della spesa farmaceutica, sono anche disposte ad eliminare il pay back e attuare accordi prezzo volume, ma bisogna capire cosa si sta acquistando. Capire appunto cosa sia veramente innovativo”.
 
E nella partita dell’innovazione, la governance dei professionisti è fondamentale, ha detto Oscar Bertetto, Direttore Dipartimento internazionale interregionale rete oncologica Piemonte Valle d’Aosta, Aou Città della Salute e della Scienza di Torino.
 
“In questi anni la durata di terapia media è passato da 118 a 263 giorno – ha detto – e il costo della terapia giornaliera è passata da 42 euro a 203, quindi è quintuplicata e quello medio da 3.853 euro è arrivato a 44.900 euro. Dobbiamo quindi rendere sostenibile tutto questo. Una delle modalità per arrivare alla sostenibilità è ragionare per percorsi di cura e non per silos puntando all’appropriatezza. Per questo il primo compito della Rete oncologica è uniformare i dati a disposizione per rendere sempre più appropriato quello che viene fatto. Soprattutto la rete attraverso i suoi professionisti può aiutare a capire la reale innovatività delle terapie. La governance dei professionisti è quindi fondamentale, da loro può arrivare anche una rivisitazione degli studi registrati”.
 
“Uscire dalle logiche ragionieristiche e ragionare sul lungo periodo, favorire la ricerca indipendente, puntare sulla diagnostica molecolare magari spendendo di più nell’immediato ma risparmiando alla distanza”. È questa la formula per rendere rendere sostenibili i sistemi suggerita da Giorgio Vittorio Scagliotti Professore di oncologia medica, Università di Torino.
 
“Per analizzare gli scenari attuali occorre valutare la qualità e il valore dell’innovazione questo porta appunto alla sostenibilità del sistema sanitario – ha affermato Scagliotti – il sistema sanitario statunitense ha costruito un network che considera l’innovatività del farmaco attraverso vari parametri: tossicità generata con i trattamenti, beneficio clinico, aspettativa di vita, e costo. Questo però potrebbe portare ad una limitazione delle linee di trattamento dei pazienti, soprattutto in un ambiente liberista come quello americano”.
 
Allora cosa fare? Capire innanzitutto dove inizia l’innovazione e guardare avanti non facendo solo la foto dell’esistente. “Basterebbe – ha aggiunto – che la comunità accademica si rifiutasse di partecipare a studi registrativi dove si immaginano benefici minimi, non dimentichiamo infatti che il beneficio minimo di un farmaco è verificabile nell’immediato. Così come le società scientifiche dovrebbero rifiutare la pubblicazione di lavori a minimo impatto. Se agissimo in quest’ottica anche le aziende farmaceutiche porterebbe a ripensare le proprie strategie”. Per Scagliotti occorrerebbe invece puntare sulla ricerca indipendente: “Se fosse finanziata dieci volte di più si potrebbe verificare la bontà di un trattamento”.
 
E ancora, ha osservato Scagliotti “noi navighiamo da 13 anni nella medicina di precisione e credo che su questa dobbiamo puntare. Bisognerebbe nella prima fase investire nella diagnostica molecolare magari spendendo di più nell’immediato ma risparmiando nel lungo termine. Questo garantirebbe la sostenibilità del sistema. Siamo davanti ad una rivoluzione diagnostica, i sequenziamenti di prossima generazione, e su questa dobbiamo investire anticipatamente uscendo fuori dalle logiche ragionieristiche”.
“È molto probabile che nei prossimi 10 anni, l’industria sforni molteplici farmaci per i quali bisogna essere preparati nella scelta terapeutica più appropriata – ha concluso – e la biologia molecolare aiuterà a trovare quei pazienti ad alto rischio per aumentare l’efficienza dello screening”.

 
Per Massimo Boni, Dirigente Farmacista Aou Maggiore della Carità Novara la parola chiave è appropriatezza. “Il farmacista vive un ruolo un po’ scomodo così come l’oncologo. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una diminuzione dei fondi e si è rischiato di lasciare qualcuno senza terapia. Nell’attesa di trovare strumenti di governance che superino queste problematiche dobbiamo ragionare in termini di appropriatezza. E il lavoro del farmacista è quella di rilevare con il medico l’appropriatezza del farmaco. Bisogna anche domandarsi se l’investimento è una cosa ben fatta al di là della restrittività del budget. Stabilire il reale impatto della real life. Sarebbe corretto anche analizzare l’intero percorso diagnostico terapeutico che può essere d’aiuto per valutare l’aspetto economico nella sua completezza e non guardare soltanto al farmaco”.

Confronto multidisciplinare, conoscenza, tecnologie di ultima generazione e alta qualità diagnostica, sono questi gli atout da giocare per Anna Sapino, Professore di Anatomia patologica presso l’Università degli Studi di Torino Irccs Candiolo. Che ha rimarcato l’importanza strategica dell’anatomia patologica nel percorso diagnostico, e come nonostante l’impatto della diagnostica sia ottimale in regione Piemonte, sulla diagnostica predittiva ci sia ancora molto da fare: “Dovrebbe essere presa in carico anche a livello nazionale e non solo a livello locale”.
“Per poter eseguire tutte le metodiche fondamentali in fase di diagnosi – ha detto – è necessario che la struttura di anatomia patologica sia dotata di adeguata tecnologia di ultima generazione in grado di assicurare la necessaria qualità tecnica. Ogni patologo deve conoscere standard, linee guida nazionali ed internazionali e partecipare ai programmi di controllo di qualità nazionali o regionali. Intervenire nella discussione dei casi con tutto il gruppo e alle riunioni per il controllo di qualità. La struttura di anatomia patologica deve partecipare a programmi per il controllo della qualità interna ed esterna, qualità delle procedure, dei test e della diagnosi”.

25 luglio 2016
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