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Sardegna. Federazione Rete Diabete lancia il progetto: ‘Narrare e Narrarsi come cura della mente e del corpo’ 

di Elisabetta Caredda

A partire dal mese di settembre il progetto prenderà avvio con l’università iglesiente della Terza Età. Trentin: “L’approccio narrativo, come strumento di terapia, agisce a 360 gradi, nell’ottica di una presa in carico globale della persona sia dal punto di vista medico che della salute mentale”. Tanda: “Non si può fare a meno di fare ricorso a tutte le risorse culturali che è necessario mettere in campo per frenare la deriva culturale di una medicina solo tecnologica”.

26 LUG - ‘Narrare e Narrarsi come cura della mente e del corpo’ è il titolo dell’iniziativa che il presidente della Federazione Rete Sarda Diabete, Riccardo Trentin, avvierà con l’università iglesiente della Terza Età a partire dal mese settembre, e che annuncia a Quotidiano Sanità. Il progetto vede anche la collaborazione della psico-pedagogista Valentina Tanda.

“Il diabete e l’ipertensione arteriosa - spiega al nostro giornale Riccardo Trentin, presidente della Federazione sarda - rappresentano oggi uno dei principali problemi di Salute Pubblica in Sardegna ed il sistema sanitario regionale si trova ad affrontare un’emergenza a carattere sociale ed economico, dovuta sia all’elevato tasso di prevalenza di queste patologie nella nostra isola che alla gestione delle sue complicanze. Il binomio ipertensione-diabete è una delle condizioni patologiche più diffuse tra gli anziani. In particolare si stima che in Sardegna circa il 20% della popolazione di ultra 65enni sia affetta da diabete mellito di tipo 2, mentre l'ipertensione arteriosa colpisce più della metà degli anziani e la sua prevalenza continua ad aumentare con l’età. La diffusione di questo fenomeno è legata all’invecchiamento della popolazione ma anche ad uno stile di vita non adeguato”.

“Importanti e crescenti complicanze di queste patologie coinvolge il sistema cognitivo - sottolinea il rappresentante dell’associazione -. Vi sono infatti diverse evidenze cliniche che dimostrano come le persone che abbiano l’ipertensione arteriosa e/o diabete siano esposte ad un rischio superiore di sviluppare quadri di declino cognitivo molto più alti rispetto alla popolazione che non è affetta da queste patologie. In modo particolare per l’ipertensione arteriosa, la correlazione tra questa patologia e il declino cognitivo è dimostrata da numerosi studi clinici. Per quanto riguarda le persone con diabete, ad oggi sono forti le evidenze scientifiche che dimostrano come i pazienti siano soggetti al rischio di sviluppare quadri di demenza di Alzheimer e vascolare molto più elevati rispetto a chi non ha questa malattia”.

“I ‘responsabili’ del decadimento cognitivo legato al diabete – prosegue Trentin - sembrano essere le complicanze acute come l’iperglicemia e l’ipoglicemia, l’insulino-resistenza e la vasculopatia. Il monitoraggio della pressione sanguigna e della glicemia se fatto in continuo con un sensore si configura come un fondamentale approccio di tipo preventivo per le persone con diabete insulino trattate che dovranno convivere con queste patologie per lungo tempo. La modifica degli stili di vita, mirata alla promozione dell’esercizio fisico e di una alimentazione equilibrata, associata a percorsi di educazione alla prevenzione si configurano ad oggi come strumenti efficaci nel contrasto di tali complicanze”.

“Parlare di prevenzione in ambito sanitario – evidenzia ancora il presidente della Federazione -significa progettare dei piani di intervento per la promozione della salute a livello territoriale in grado di incidere sulla qualità della vita delle persone sia a livello individuale che collettivo, come indicato nel Piano Nazionale della Prevenzione 2020-25, adottato il 6 agosto 2020 con Intesa della Conferenza Stato-Regioni. Alla base del PNP si pone il punto fermo della centralità della persona, che si esprime attraverso azioni finalizzate a migliorare l’alfabetizzazione sanitaria e dirette ad accrescere la capacità degli individui nell’interagire con il sistema sanitario attraverso relazioni basate sulla fiducia, sulla consapevolezza e sull’agire responsabile, secondo un approccio “life course” mirato al mantenimento del benessere in ciascuna fase dell’esistenza. In proposito, negli ambiti legati alla prevenzione, ad oggi le Scienze Umane stanno dando un importante contributo utilizzando la narrazione come strumento terapeutico. Già nel passato molti studiosi hanno messo in luce come “l’azione stessa del narrare, è connaturata alla condizione umana, essendo il più biologico modo di rappresentare la realtà a sé e agli altri; esiste un pensiero narrativo che si associa agli altri stili del lavoro mentale”.

“Queste premesse – rileva il rappresentante dell’associazione - ben si sposano con la logica di una cultura della prevenzione volta appunto a promuovere il benessere sociale e psicologico della persona in tutte le sfere della sua vita personale e in tutti i contesti in cui è inserita. Fare prevenzione significa “educare” a corretti stili di vita, funzionali all’empowerment del benessere soggettivo e sistemico in un’ottica di salute bio-psico-sociale. Questo significa che l’approccio narrativo, come strumento di terapia, agisce a 360 gradi, nell’ottica di una presa in carico globale della persona sia dal punto di vista medico, biologico, sia dal punto di vista della salute mentale che si riflette poi sul benessere del corpo”.

“Ciò che è stato appena delineato - interviene Valentina Tanda, psico-pedagogista che collabora all’iniziativa - si può collocare come sfondo teorico e pratico nel progetto dell’ U.I.T.E. (Università Iglesiente della Terza Età), ed il titolo che abbiamo pensato ‘Salute; Benessere e Memoria’ nasce proprio con l’obiettivo di “prendersi cura” della salute psicofisica nella fascia della terza età. Garantire il benessere psicofisico in questa particolare fase di vita, funge da fattore protettivo particolarmente significativo in quanto esso esercita un effetto altamente positivo sulla salute. Oggi infatti diverse evidenze scientifiche dimostrano che il processo di invecchiamento implica modificazioni e riequilibri funzionali a carico di organi e apparati; si riduce il margine di sicurezza, aumenta la vulnerabilità agli agenti stressanti, fisici e psicosociali, e incrementano i rischi sulla salute e sull’autonomia correlati al verificarsi di varie, possibili situazioni di disadattamento”.

Relativamente all’asse portante del progetto, Tanda puntualizza che lo stesso “si articola principalmente sulla ‘salute e benessere psicofisico della persona e memoria condivisa’, tematica che verrà impartita attraverso una metodologia didattico/pedagogica definita appunto come narrazione, e che svilupperemo attraverso incontri formativi tenuti da esperti (medici, psicologi, pedagogisti, docenti specializzati nell’inclusione) con l’obiettivo di mettere al centro la “storia di vita” della persona, valorizzando gli aspetti emotivi, cognitivi e restituendo senso al bagaglio esperenziale di ognuno. Non si tratterà di semplice trasmissione di contenuti, ma di una didattica laboratoriale che si servirà della narrazione come strumento di scambio, di incontro, di meta-riflessione e condivisione. Tale scelta è motivata da una serie di riflessioni di carattere scientifico, che fanno della narrazione uno strumento ad hoc nel lavoro con la terza età”.

“La narrazione – sottolinea la pedagogista - utilizzata come strumento nella terza età, consente alla persona di ripercorre le trame del suo vissuto, di lavorare al miglioramento delle sue abilità mnestiche, scoprendo prospettive nuove inesplorate, scorgendo significati impliciti e richiamando alla memoria i “ricordi” che sono i pezzi di puzzle che compongono le storie di vita personali. Inoltre, la narrazione promuove il benessere psicologico proprio in virtù delle sue funzioni: comunitaria perchè produce appartenenza, coesiva poiché produce vissuti, emozioni, valori, significati condivisi, cognitiva perché la trama crea modelli e suggerisce interpretazioni; ancora, identitaria in quanto costruisce un sé, un noi, mnestica in quanto salva dall’oblio e potenzia attraverso i ricordi l’accesso alla memoria, educativa poiché permette di ritornare su se stessi e di ripensarsi ed offre materiale linguistico spesso originale e sorprendente”.

“Si può quindi affermare che la narrazione si esplicita come uno strumento terapeutico e pedagogico in quanto, attraverso il racconto, ci si prende cura di sé e questo non fa altro che incrementare una consapevolezza maggiore rispetto ai vissuti, alle storie, alle ragioni verso le quali ci si incanala in un destino frammentato e ri-componibile. Prendersi cura di sé significa intraprendere un percorso che migliora la qualità della vita anche nell’ambito delle patologie croniche come il diabete, malattia spesso presa in carico dal punto di vista prevalentemente medico e poco dal punto di vista psicologico che, come detto in precedenza, interessa non solo la terza età, ma anche le nuove generazioni. Nell’ambito di questo dialogo interdisciplinare tra pedagogia, psicologia e medicina si aprono nuovi scenari e nuovi approcci come la Medicina Narrativa che si pone la “mission” di recuperare il significato più profondo della narrazione all’interno di ogni atto terapeutico e, per essere ancora più chiari, all’interno di ogni azione che riguardi una condizione di sofferenza legata a malattia. Non si può fare a meno di fare ricorso a tutte le risorse culturali che è necessario mettere in campo per frenare la deriva culturale di una medicina solo tecnologica” - conclude Tanda.

Elisabetta Caredda

26 luglio 2023
© Riproduzione riservata

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