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La procedura Exit (Ex Utero Intrapartum Therapy)


31 LUG - L’acronimo EXIT “Ex Utero Intrapartum Therapy" indica un trattamento del feto al di fuori dell’utero materno durante il periodo del parto. Tale procedura si basa sul presupposto che in un particolare gruppo di patologie malformative fetali (voluminose masse neoplastiche del collo o del polmone, anomalie delle laringe e della trachea, ernie diaframmatiche e cardiopatie congenite) esiste un’elevata probabilità di ostruzione delle vie aeree superiori tale da comportare, al momento del parto, l’impossibilità del neonato di respirare spontaneamente con il rischio di una severa riduzione dell’ossigenazione cerebrale e, conseguentemente, di danni permanenti quando non anche il possibile decesso.

La metodica EXIT trasforma un evento “critico” e ad alto rischio in una procedura controllata e sistematica, al fine di ridurre in maniera significativa la probabilità di gravi complicanze neonatali.

Il presupposto di questa procedura risiede nel fatto che la placenta fornisce al feto, attraverso il sangue del cordone ombelicale, il nutrimento e l’ossigenazione necessari alla sua sopravvivenza ed al suo benessere; normalmente, al momento del parto il cordone ombelicale viene reciso e il neonato inizia a respirare spontaneamente; se, al contrario, si tiene collegato il neonato alla placenta durante lo svolgimento del parto per un tempo più o meno lungo, si può sfruttare la circolazione placentare come una sorta di circolazione “extracorporea” che garantisce il fabbisogno di ossigeno e consente ai medici di operare in sicurezza per l’intubazione della trachea anche in condizioni particolarmente difficili, nonché di procedere, in casi altamente complessi e selezionati, a un intervento chirurgico più o meno radicale sulla lesione precedentemente diagnosticata.

Tecnicamente la procedura EXIT può essere riassunta nelle seguenti fasi:

1. programmazione del parto con taglio cesareo in un’epoca di gestazione molto prossima, se possibile, al termine naturale della gravidanza;

2. anestesia generale della madre per garantire un maggior rilassamento dei tessuti materni e, in particolare, dell’utero al fine di ostacolarne le contrazioni ed impedire il distacco della placenta e, nel contempo, ottenere un rilassamento del neonato grazie alla diffusione dei gas anestetici attraverso la placenta;

3. estrazione parziale del neonato dall’utero (in genere soltanto la testa e le spalle) per consentire il mantenimento di un certo volume all’interno dell’utero stesso (anche grazie all’infusione di una soluzione salina riscaldata nella cavità amniotica) ed impedire il distacco della placenta;

4. eventuale ulteriore anestesia del neonato mediante una puntura intramuscolare;

5. posizionamento del neonato sul campo operatorio in modo tale che il neonatologo, l’otorinolaringoiatra o il chirurgo neonatale (a seconda delle difficoltà crescenti dell’operazione) possano procedere, in rapida sequenza, alle manovre necessarie per intubare le vie aeree (intubazione tracheale);

6. legatura e taglio del cordone ombelicale con successiva estrazione totale del feto dalla cavità uterina;

7. distacco della placenta (secondamento) e completamento del taglio cesareo secondo la tecnica chirurgica tradizionale.

La procedura EXIT si caratterizza, inoltre, per il fatto di essere una metodica tipicamente multidisciplinare, che richiede cioè l’operato di un’equipe composta da specialisti di discipline diverse, quali: il ginecologo-ostetrico particolarmente esperto nel campo medicina perinatale, l’anestesista dell’adulto, l’anestesista neonatale, il neonatologo, l’otorinolaringoiatra, il chirurgo neonatale, il radiologo esperto di risonanza magnetica (RMN) fetale, il genetista, lo psicologo, il personale infermieristico ed il personale tecnico di sala operatoria specificamente preparati.

I componenti l’equipe EXIT devono essere particolarmente addestrati al “gioco di squadra”, devono cioè operare in perfetto sincronismo e con un elevato affiatamento che deriva necessariamente dall’addestramento e dalla scrupolosa programmazione di tutte le fasi della procedura stessa, fino alla “simulazione” in sala operatoria delle manovre e dei gesti che ognuno dovrà compiere al momento decisivo dell’intervento.

Le fasi preparatorie che precedono l’esecuzione di un taglio cesareo con procedura EXIT possono essere così riassunte.

Nel momento del sospetto diagnostico (generalmente nel corso di un esame ecografico) di una patologia fetale potenzialmente trattabile con procedura EXIT, la paziente in gravidanza deve essere inviata presso un centro di riferimento, cioè un ospedale particolarmente competente per questo tipo di metodica e dotato di tutte le strutture e il personale necessari per un’assistenza di questo tipo.

La paziente viene sottoposta a un’accurata e esaustiva indagine ecografica (ecografia di II livello ed ecocardiografia fetale) allo scopo di confermare il sospetto diagnostico e di evidenziare la presenza di altre problematiche fetali (malformative e non) eventualmente associate.

Il caso viene esaminato dal ginecologo (esperto di medicina perinatale), chirurgo pediatra, genetista e radiologo che richiedono eventuali ulteriori indagini diagnostiche (amniocentesi, risonanza magnetica nucleare).

Al termine della fase dell’accertamento diagnostico l’equipe EXIT si riunisce una prima volta per discutere dell’opportunità di proporre una procedura EXIT, cioè dell’esistenza dell’effettiva indicazione a procedere in tal senso.

Nel caso affermativo si procede ad un colloquio con la coppia dei futuri genitori che, dopo un adeguato intervallo di riflessione (eventualmente coadiuvati da uno psicologo esperto in diagnosi prenatale), firmano un documento attestante il loro consenso (consenso informato) all’effettuazione del parto con procedura EXIT.

La paziente e il feto vengono controllati periodicamente presso il centro di riferimento, allo scopo di rilevare eventuali modificazioni delle condizioni materno-fetali che potrebbero modificare l’andamento della gravidanza fino, talvolta, a compromettere le possibilità di offrire un’assistenza di tipo EXIT (come nel caso di un parto prematuro improvviso).

In prossimità della data prescelta per il parto (generalmente 2-3 settimane prima) l’equipe EXIT si riunisce nuovamente per prendere in esame ancora una volta la documentazione clinica del caso e per pianificare nel dettaglio la strategia assistenziale, cioè il preciso ruolo dei numerosi componenti dell’equipe, tutti i passaggi della procedura EXIT, i tempi previsti, le misure atte a fronteggiare eventuali complicanze, la disposizione degli operatori  e della strumentazione all’interno della sala operatoria.

Circa 3 giorni prima dell’intervento la paziente viene ricoverata in un reparto di osservazione ostetrica dove vengono effettuati tutti gli esami preoperatori e viene ripetuto un controllo ecografico del feto allo scopo di definirne l’esatta posizione in utero nonché la posizione della placenta, due elementi molto importanti ai fini della scelta della strategia chirurgica utilizzata per il taglio cesareo.

Dopo il parto, il neonato viene affidato all’assistenza del neonatologo che, di concerto con l’equipe chirurgica neonatale, decide la strategia clinica ottimale in preparazione del trattamento chirurgico richiesto, in emergenza o in elezione, a seconda del tipo di malformazione presente.

 

31 luglio 2012
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