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L’ospedale che cambia e diventa resiliente e flessibile. Arriva l’e-book di Asiquas

di Silvia Scelsi

Un e-book a cura di Asiquas per far riflettere su quali strumenti e modelli siano veramente possibili, e quali specificità oggi e per il prossimo futuro dovrebbero essere le caratteristiche di un ospedale che cambia e riesce ad essere flessibile. SCARICA L’E-BOOK

13 SET -

“Affrontare il problema degli ospedali, e soprattutto del loro futuro, comporta necessariamente una visione non limitata all’ospedale come struttura edilizia... ma estesa invece a molti altri fattori quali le linee di indirizzo della politica sanitaria, le modalità di finanziamento del sistema sanitario e degli ospedali ed anche il progresso scientifico e tecnologico e l’evoluzione demografica ed epidemiologica. Tutti fattori che determinano le esigenze e le priorità da affrontare da parte dei sistemi sanitari ed il ruolo che in questo contesto viene affidato all’ospedale..." E. Guzzanti

Le parole del professor Guzzanti di fatto sono ancora oggi a distanza di più di un decennio, le parole che riassumono le riflessioni che dovremmo fare nel sistema quando affrontiamo sia le scelte di politica sanitaria, che gli strumenti che mettiamo in campo per rispondere ai bisogni di salute.

Gli autori del quaderno, ciascuno con la sua competenza ed esperienza, hanno offerto il loro contributo per far riflettere su quali strumenti e modelli siano veramente possibili, e quali specificità oggi e per il prossimo futuro dovrebbero essere le caratteristiche di un ospedale che cambia e riesce ad essere flessibile. Questa sembra quasi una contraddizione: come può una struttura ospedaliera, caratteristicamente fortemente connotata sia in senso fisico che organizzativo, essere flessibile? Un concetto quello della flessibilità che mal si accosta a quello della struttura e dell’organizzazione ospedaliera come la conosciamo.

Siamo abituati a considerare gli ospedali come strutture complesse e spesso rigide per i loro modelli organizzativi basati su Dipartimenti e UUOOCC “verticalizzati” per specialità e per, quando va bene, area clinica omogenea.

Eppure la pandemia ha rapidamente ridefinito tutte le nostre convinzioni e ci ha insegnato che resilienza e flessibilità erano l’unica strada per sopravvivere e vivere. L’urgenza di dare risposte a tutela della salute pubblica ha costretto Ministero, ISS, AGENAS, Regioni e aziende sanitarie a mettere in discussione i modelli organizzativi e gestionali tradizionali e a sperimentarne di nuovi aprendosi in primis a nuove procedure decisionali “short time”. Questo anche in deroga alle procedure esistenti.

La prima questione è quella del ridimensionamento dell’offerta in tema di posti letto.

È un fenomeno mondiale, ma ancora oggi non sembra che i policy makers della sanità riescano a fare le scelte opportune per far crescere considerevolmente ed in modo nuovo l’offerta territoriale di primo, livello sia domiciliare che ambulatoriale o di residenzialità.

L’ospedale del futuro sarà sempre più tecnologico e la digitalizzazione così come l’uso dell’intelligenza artificiale, produrranno nell’ambito delle cure in fase acuta grandi risultati, a grandi costi, ma con sempre meno necessità di ospedalizzazioni lunghe nella fase acuta.

Se anche per gli ospedali si impone il tema dell’implementazione dei nuovi modelli organizzativi in sostituzione di quelli obsoleti e ormai inappropriati, occorre tenere a mente che le riconversioni produttive e di servizi nella fase di transizione dai vecchi modelli operativi ai nuovi, richiedono il mantenimento temporaneo del vecchio modello in parallelo con la prototipazione e il collaudo del nuovo per poi, consolidato il cambiamento, dismettere definitivamente quello vecchio.

Ci troviamo quindi a sostenere una situazione di doppia gestione che comporta costi sovrapposti, anche se in prospettiva, con l’attuazione del nuovo modello operativo si dovrebbe generare maggior valore, con un significativo risparmio gestionale. Però l’esigenza della sovrapposizione di “vecchio” e “nuovo” nella fase di sperimentazione e di cambiamento esiste ed è ineludibile.

Queste considerazioni, a cui i finanziamenti del PNRR in parte rispondono - o almeno rispondevano nella sua definizione originaria - richiedono anche però che per alcuni anni ci sia un investimento finanziario sul sistema sanitario che renda possibile la transizione ed eviti di farlo decadere come si teme che stia già accadendo.

Cambiare vuol dire comprendere l’oggi e valutare quanto gli strumenti normativi che definiscono l’organizzazione dei servizi siano adeguati all’attualità. Da questo punto di vista, urge probabilmente una riforma del DM 70 perché le condizioni per una rete ospedaliera efficiente sono mutate.

In Italia, la gran parte dei nostri attuali nosocomi risale agli anni 30, anni in cui gli ospedali furono costruiti a padiglioni, allo scopo di poter meglio limitare il diffondersi delle malattie infettive, all’epoca ancora preponderanti nei confronti delle malattie acute o cronico degenerative.

Tale separazione logistico strutturale, se da una parte è servita a ostacolare il diffondersi delle malattie infettive, dall’altra ha contribuito ad accentuare la frammentazione, lo sviluppo di organizzazioni a silos, la crescita delle varie branche specialistiche e super specialistiche che, man mano negli anni, hanno determinato frammentazione, rigidità e ridondanze.

Nel tempo, a tale gestione per specialità e super specialità, che ha comportato la perdita della visione olistica del paziente, si è tentato di porre rimedio con vari provvedimenti e strumenti di clinical governance, correttivi in grado di agire sia a livello professionale sia organizzativo, di cui quattro, a nostra opinione come ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale, sono quelli essenziali:

  1. I PDTA, con i quali si è cercato di realizzare quella necessaria integrazione multiprofessionale e multidisciplinare, sia in ambito ospedaliero che Ospedale-Territorio, per consentire il passaggio dalla gestione per specialità alla gestione per processo di cura;
  2. Le Reti Cliniche, tra cui: le Reti Oncologiche Regionali; le Reti tempo dipendenti per il Trauma, per l’Ictus e per l’IMA; le Reti a integrazione verticale “Hub e Spoke”. Anche per le Reti Cliniche, così come per i PDTA, gli obiettivi perseguiti sono quelli di creare un più facile accesso alle cure, garantire la necessaria continuità assistenziale e migliorare l’efficienza delle risorse e la qualità professionale degli operatori;
  3. I Dipartimenti, ossia un’organizzazione composta da Unità Operative omogenee, affini o complementari, sia a livello territoriale sia ospedaliero, nonché interaziendale, per ottenere maggiore integrazione ed efficienza. La gestione comune di personale, attrezzature e spazi ha sicuramente favorito l’utilizzo flessibile degli stessi, ma i Dipartimenti non hanno dato gli esiti sperati in quanto è mancato quello spirito di squadra basato su un comune rafforzamento culturale e una condivisa crescita professionale anche multidisciplinare, fondamentali per una forte integrazione clinica e gestionale;
  4. L’ospedale per intensità di cura, che parte dall’assunto che le risorse tecniche e professionali non mediche non sono più “proprietà” dell’Unità Operativa, ma messe a disposizione di aree dove anche i letti diventano funzionali in ragione delle caratteristiche assistenziali dei malati. Con l’ospedale per intensità di cura, per la prima volta in Italia, si esce dagli schemi rigidi dei letti di reparto - peraltro non sempre assegnati ai singoli Direttori sulla base delle contingenti effettive necessità - per dare una più facile e adeguata risposta organizzativa alle reali e diverse esigenze di ricovero e per dare una risposta articolata ed esaustiva a pazienti poli patologici che necessitano di consulenze di numerosi medici appartenenti a discipline diverse.

Le ragioni di questa pubblicazione e gli sforzi di chi vi ha partecipato nascono dalla consapevolezza che gli ospedali dovranno essere resilienti ai cambiamenti economici, sociali e sanitari e, nello stesso tempo, in grado di garantire che il sistema, i servizi e le attività rispondano alle esigenze in costante evoluzione e alle specificità dei diversi pazienti, indipendentemente dalle differenze sociali e geografiche.

Questo significa occuparsi oggi di ospedali - se così spesso si usa l’aggettivo “flessibile” è perché il termine rappresenta al meglio quello di cui avremo sempre più bisogno -, ovvero strutture in grado di “adeguarsi facilmente a situazioni o esigenze diverse, in tempi brevi e quindi strutture duttili, elastiche, non rigide” per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività assistenziali in caso di emergenze, consentire la continuità delle attività programmate ad un livello accettabile, gestire i picchi di ricovero in aree dedicate specialistiche (semintensive e intensive, in particolare).

È qualcosa di ancora distante da quello che oggi abbiamo a disposizione e che siamo convinti, e vogliamo convincere i lettori, dovremo invece rapidamente cambiare, suggerendo alcune soluzioni.

Sempre più ci si chiede se un ospedale non debba essere, oltre che flessibile, in continuo adattamento, anche resiliente.

Resilienza è, secondo il Dizionario Treccani, “la velocità con cui una comunità o un sistema ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposto alla ‘forza d’urto’ che l’ha allontanata da quello stato”.

È, per l’ospedale, capacità di resistere alla “perturbazione” assistenziale e rispondere a improvvisi e significativi aumenti della domanda dei pazienti, presupposto essenziale per continuare a fornire servizi vitali e ridurre al minimo l'impatto sulla comunità nei disastri o nelle emergenze, come per esempio nella pandemia da SARS-COV-2 tutt’ora persistente anche se con varianti di attenzione diverse da quelle precedenti.

Tuttavia, flessibilità e resilienza rimandano ad uno stare sempre “in attesa”, quando l’altro elemento in questione, la complessità dei sistemi, richiede un approccio creativo e proattivo.

I sistemi complessi mostrano comportamenti imprevedibili, dati da effetti sinergici di combinazione non lineare di più input nel sistema, con causalità multiple.

Conciliare qualità e complessità oggi implica abbandonare la vecchia concezione delle organizzazioni sanitarie come “strutture gerarchiche lineari”. I sistemi sanitari sono sempre più entità complesse governate da leggi di interazione e auto-organizzazione, spesso soggette a fenomeni emergenti, come lo è stato la stessa minaccia pandemica.

Per noi questa sarà la chiave per riformare l’assistenza, facendo convergere la pluralità di attori su un unico obiettivo: “aumentare la flessibilità del sistema”.

Tutto il contrario della logica di “una singola causa genera un singolo effetto”, alla base delle ricette di semplificazione e riduzionismo.

Gli ospedali sono comunque gli “hub” dei sistemi sanitari presenti nei territori con l’esigenza di diffuse reti di strutture “spoke” e di reti di cure primarie, di assistenza domiciliare e di varie forme di residenzialità in grado di “filtrare” la domanda dei bisogni delle popolazioni e di dare livelli differenziati di offerta “integrati”, sanitari, sociosanitari e sociali.

Con il PNRR e il DM 77 sono stati proposti modelli di riorganizzazione uniformi in tutti i territori della medicina territoriale, delle cure primarie, della domiciliarità in una logica di integrazione con i servizi sociali e le comunità.

Parimenti, sempre nel PNRR sono previsti importanti investimenti in tecnologie e digitalizzazione anche negli ospedali. Questo però non basta se non si affronta anche il tema dei loro modelli organizzativi per “processi di cura” e della loro “governance clinica”.

Gli ospedali insistono sempre su dei territori e su delle comunità e, quindi si pone con forza il tema dell’”integrazione” e della multidisciplinarietà e della multi professionalità.

Sul tema dell’integrazione come ASIQUAS abbiamo prodotto una Raccomandazione scientifica nel 2013 sui “Requisiti di qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, edito con Franco Angeli Editore, prima raccomandazione sul tema a livello internazionale e UE, citata e ripresa da OMS Europa e dall’OECD nel suo studio sulla qualità nei sistemi sanitari nazionali. Raccomandazione che riteniamo sia ancora attualissimi nei contenuti proposti.

Più di recente nel 2021 abbiamo presentato l’aggiornamento del nostro Framework scientifico con il volume “La qualità nell’assistenza sanitaria e sociosanitaria”, Editore COM SRL, in cui abbiamo aggiornato la rivisitazione e la validazione dei modelli, delle metriche e dei sistemi di validazione e valutazione e degli strumentari per la “governance” dei siatemi sanitari, sociosanitari e sociali e delle aziende sanitarie.

Questo ebook, quindi, vuole essere un ulteriore contributo al dibattito in atto e vuole nel contempo proporre stimoli ed elementi di riflessioni derivati da esperienze gestionali concrete realizzate negli ultimi anni anche in permanenza di pandemia.

Ci auguriamo lo sviluppo di un dibattito e di un confronto che ci aiutino ad enucleare proposte concrete e utili per elevare le capacità di resilenza e di sviluppo dei nostri sistemi sanitari regionali ed in essi degli ospedali.

Silvia Scelsi

Presidente Nazionale ASIQUAS, Istituto “Gaslini”, Genova.



13 settembre 2023
© Riproduzione riservata

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