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Sanità pubblica e sanità privata: scenari attuali e prospettive future

di Giorgio Banchieri e Andrea Vannucci

Chi se non il “pubblico” può e deve svolgere questo lavoro di riallineamento degli interessi “privati” presenti nelle filiere assistenziali su obiettivi di salute generali? Chi se non il “pubblico” ha i dati e la visione di insieme per svolgere analisi di “stratificazione dei bisogni di salute”? Chi se non il “pubblico” può elaborare e proporre policy di “medicina di popolazione”, di “medicina di comunità”, di “medicina di prossimità” e di “continuità assistenziale”?

08 GEN -

Prosegue l’aumento della spesa sanitaria italiana; quella pubblica ha toccato quota 129,2 mld cui vanno sommati altri 40 mld di spesa out of pocket per arrivare ad un totale di quasi 170 mld. Lo dice un recente rapporto della Ragioneria Generale dello Stato sulla spesa sanitaria che segnala anche che i conti delle regioni vanno male, tanto che vedono aumentare il disavanzo (ante coperture) a 1,4 miliardi. Nonostante ciò la rinuncia alle cure si aggrava nelle fasce sociali svantaggiate, raggiungendo il 37% tra coloro che riferiscono di avere molte difficoltà ad arrivare alla fine mese con le risorse di cui dispongono.

A fronte a questa situazione, che vede il servizio sanitario pubblico “in affanno” nel mantenere quei risultati che da decenni lo hanno visto all’apice delle graduatorie internazionali, da più parti ci si interroga sulla opportunità, e quindi i benefici ed i rischi possibili, di prevedere nuovi rapporti ed equilibri tra erogatori pubblici e privati.

A questo proposito afferma Don Berwick in una intervista recente che “…negli ultimi anni ho riflettuto intensamente sul problema centrale dei costi crescenti e insostenibili dell'assistenza sanitaria americana e sul suo rapporto con la qualità. Ho descritto il fenomeno, invocando cambiamenti e cercando di tenere d'occhio il miglioramento come metodologia, ma c'è anche la necessità di contemplare le risposte ad alcune domande chiave: come siamo finiti in questo pasticcio? Perché i costi sono così fuori controllo?”.

Berwick, da uomo di grande visione qual è, non pensa che “ il capitalismo sia sempre una cosa terribile” ma dice “ che per alcuni bisogni sociali come l’assistenza sanitaria e la gestione del cambiamento climatico o delle minacce alla salute pubblica, ad esempio, dobbiamo agire collettivamente e non in modo competitivo” ma pensa che “ I mercati non sono la risposta, ma piuttosto un ostacolo al miglioramento. In effetti, i mercati possono creare una cortina di fumo per non agire…”.

Ricordiamo però che Berwick guarda alla realtà degli USA, dove la spesa sanitaria di un sistema sostanzialmente rappresentato da finanziamento ed erogazione privati è pari al 16% del PIL e la stima degli sprechi alias “inappropriatezze” è stimata tra il 21% e il 47,6% della spesa sanitaria globale. In Italia, in un contesto del tutto diverso, alcuni anni fa si stimavano circa 25 mld di Euro di sprechi sugli allora 112 mld del FSN. Questo per dire che la presenza di un sistema pubblico non è di per sé garanzia di spesa efficiente.

Il privato in sanità oggi
Come già abbiamo già scritto in precedenza (“la sanità privata ha molte facce” QS, 29 luglio 2023) gli erogatori privati in Italia operano in regime di “accreditamento” con il SSN per le attività di ricovero e cura, in “outsourcing” nella gestione di servizi e strutture o partecipano nell’ambito della sanità cosiddetta “integrativa” in base al “Jobs Act”. Ci sono infine i soggetti della sanità privata “privata”. La sommatoria di queste diverse presenze costituisce una rilevante quota dell’offerta sanitaria in diverse regioni

Secondo gli ultimi dati dell'Annuario Statistico del Ministero della Salute (relativi al 2021) le strutture sanitarie censite sul nostro territorio sono: 995 per l’assistenza ospedaliera, 8.778 per l’assistenza specialistica ambulatoriale, 7.984 per l’assistenza territoriale residenziale, 3.005 per l’assistenza territoriale semiresidenziale, 7.064 per l’altra assistenza territoriale e 1.154 per l’assistenza riabilitativa (ex. art. 26 L. 833/78). Di queste, le strutture private che erogano assistenza ospedaliera sono il 48,6% del totale mentre quelle che erogano altra assistenza territoriale il 14%.

Le strutture private invece sono la maggioranza di quelle che erogano l'assistenza territoriale residenziale (84,0%), semiresidenziale (71,3%) e l'assistenza riabilitativa ex art.26 833/78 (78,2%).

Poi abbiamo avuto la stagione dei “Piani di Rientro” delle Regioni non “virtuose”, che con oltre 25 miliardi di tagli al FSN ha dato un contributo sostanziale alla riduzione della presenza “pubblica” in sanità.

Registriamo 10.000 posti letto “pubblici” in meno, senza toccare invece quelli “accreditati” e una perdita progressiva di alcune decine di migliaia di operatori sanitari (medici, infermieri, tecnici, amministrativi, etc) ... e poi la pandemia ha fatto venire fuori tutte le criticità esplicite e latenti nei SSR.

A conferma di quanto detto nel 2020 sono state aperti 12 ospedali (di cui 11 nel “privato”) per un totale di 1.004 ospedali rispetto ai 992 del 2019 [Annuario SSN 2020, del Ministero Salute, 2022].

Nel complesso i posti letto per ogni 1000 abitanti sono a livello nazionale 4, di cui 3,4 dedicati all’attività per acuti. Un rapporto che ci colloca agli ultimi posti in ambito europeo.

Questo processo di contrazione dell'offerta è iniziato da oltre due decenni, a seguito delle politiche di tagli lineari. In particolare tra il 2010 - 2020 le strutture sanitarie che sono state chiuse furono 111, con una riduzione di posti letto pari a 37.000 unità.

I tagli alla sanità pubblica quindi partono da lontano, dal 1997 e, secondo il Rapporto OASI 2008, videro passare i PL “pubblici” da circa 270.000 a 170.000, mentre quelli “privati accreditati” restavano sostanzialmente costanti.

Chi fa cosa tra “pubblico” e “privato” in sanità
La sanità pubblica, e in generale le pubbliche amministrazioni, gestiscono anche la maggioranza delle attività di prevenzione, quelle che fino ad oggi non hanno mai interessato i soggetti privati: la politica di tutela del clima, dell’ambiente, degli alimenti, delle acque, la medicina scolastica.

Per la medicina dello sport e del lavoro, invece, abbiamo una presenza molto significativa di operatori sanitari autonomi ma in convenzione (medici delegati) o privati.

Man mano che ci si allontana dall’area della “acuzie/emergenza/ospedalità”, ancora prevalentemente presidiata dalla sanità pubblica, aumenta il numero dei soggetti terzi non pubblici che operano nelle filiere assistenziali: RSA, residenze di vario tipo e genere, centri diurni, ambulatori e laboratori di analisi, “accreditati” con le ASL. Nel mondo dell’ADI poi abbiamo oltre l’80% di erogatori “accreditati”.

Anche i MMG, i PLS, i “medici di continuità assistenziale”, i SUMAI, e le “guardie turistiche” sono tutti “convenzionati” con i vari SSR, come per altro i farmacisti. Ognuno di questi soggetti è portatore d’interessi specifici che vanno riconosciuti e mediati con l’interesse generale di salute.

Il peso della sanità “accreditata” nella spesa complessiva del Servizio Sanitario Nazionale nel 2018 è stato pari a €. 392,00 per abitante, pari al 20,3% della spesa complessiva del SSN in aumento rispetto al 2017 (€.362,00, 18,8%).

Secondo la ricerca “Pubblico e Privato nella sanità italiana” dell’Università degli Studi di Milano, il SSN fornisce con “gestione diretta” il 63% dei servizi richiesti (€. 69,8 mld), mentre “acquista” dal settore privato “accreditato” il restante 37% (€. 41,5 mld),

Secondo il Rapporto Censis sulla sanità pubblica e privata tutto questo crea disservizi e disuguaglianze.

In media, secondo i dati Censis, bisogna aspettare più di 60 giorni per poter accedere alle strutture del SSN, mentre si ricorre spesso a visite specialistiche e ad analisi sia in strutture private “accreditate”, che spesso hanno il doppio regime, sia private “private” perché non si trova posto nel pubblico, o non lo si trova nei tempi che servono, spendendo circa €. 580,00 all’anno per cittadino.

È verosimile (e misurabile, volendo) che il privato tenda verso una situazione in cui si minimizzano i costi e si massimizzano i profitti. Per il sistema nella sua globalità ciò costituisce una distorsione che diventa sempre più inaccettabile alla luce della crisi di copertura dei servizi del nostro SSN. Situazione che dovrà necessariamente trovare una soluzione nel riequilibrio tra costi e profitti e in un maggiore impegno assistenziale del privato, a partire dal circuito dell'emergenza/urgenza, in grandissima difficoltà per la carenza di strutture e personale dedicato.

In un lavoro di Anaao sui servizi di emergenza e urgenza e sul contributo dato dalle strutture accreditate e pubbliche a livello nazionale in termini di posti letto disponibili e numero di accessi si può osservare come il “privato” con il 40,4 % delle strutture di ricovero per acuti e il 23,4 % dei posti letto abbia soltanto il 9,7% degli accessi in DEA/PS lasciandone il 90,3% al “pubblico".

Già prima della pandemia nelle filiere assistenziali sociosanitarie e sociali la presenza “pubblica” era minoritaria. In conseguenza dei tagli finanziari alla sanità nella logica dei pareggi di bilancio la maggioranza dei servizi semiresidenziali e residenziali e di ADI in quasi tutte le ASL sono ormai in “outsourcing” e svolti da enti del privato sociale o da soggetti privati.

Questo non sempre ha garantito la qualità dei servizi per due motivi:
- I tagli ai bilanci delle ASL hanno portato ad una riduzione degli organici dei servizi di ispezione, controllo e auditing e pertanto della capacità di monitoraggio della qualità dei requisiti organizzativi, professionali e assistenziali che i “terzi fornitori” s’impegnavano per contratto a garantire nel tempo. È accaduto in più di un’occasione che tali garanzie si siano ridotte perché i fornitori di servizi riducevano progressivamente la qualità delle prestazioni perseguendo logiche di massimizzazione dei loro margini operativi;

- Le ASL, pur avendo dovuto bandire di nuovo tutte le gare di affidamento di servizi a terzi, come da Circolare ANAC, spesso avevano reiterato vecchi capitolati di gara senza cogliere l’opportunità per adeguarne i criteri tecnici dei Capitolati di Gara, perdendo così l’occasione di aggiornarli sia alla evoluzione delle cure e delle prassi assistenziali che alla evoluzione di bisogni di salute delle popolazioni.

Inoltre in più occasioni non si trova l’aderenza ai criteri di accreditamento delle varie leggi regionali, che ancora troppo spesso sono in uno stallo nel recepimento del “Disciplinare per l’accreditamento delle strutture sanitarie”, come emanato dal Ministero della Salute dopo un lungo lavoro coordinato tra AGENAS e Regioni.

Se la sanità pubblica non recupera, non tanto la gestione diretta - non è questo il punto -, ma una buona capacità di governance grazie ad efficaci azioni di monitoraggio e di verifica dei servizi erogati da “terzi fornitori”, una dinamica pubblico - privato moderna, efficiente e trasparente non sarà mai raggiunta.

Una idea ricorrente è quella che una “sana competizione” tra sanità pubblica e sanità privata avrebbe fatto crescere il livello di qualità della gestione delle strutture pubbliche. In realtà non abbiamo ancora visto politiche virtuose su questo fronte. Soprattutto non sembra ci sia la consapevolezza che “pubblico” e “privato” non hanno gli stessi vincoli gestionali e che i manager pubblici non possono combinare i fattori produttivi in loro disponibilità come dovrebbero per raggiungere gli obiettivi a loro assegnati.

Quote capitarie del FSN e “deducibilità fiscale” delle polizze della “sanità integrativa”
Una riflessione a parte è richiesta per la “sanità integrativa”. Uno dei punti di maggior vantaggio dei Fondi Integrativi Sanitari è la loro deducibilità fiscale, fissata a €. 3.615,20 al 2013, questo mentre l’investimento medio pro-capite pubblico in Italia per la sanità è di circa €. 2.470,00 contro i circa €. 3.473,00 pro-capite della Francia e i circa €. 4.477,00 pro capite della Germania.

Lo Stato italiano consente alla “sanità integrativa” un tetto pro-capite di spesa deducibile fiscalmente, ovvero pagata con le tasse, che è circa 2,5 volte il tetto di spesa pro-capite previsto nel FSN per tutti i cittadini.

Quindi il lavoratore con un CCNL in cui è previsto un tetto di deducibilità delle polizze collettive da “sanità integrativa” può accedere al SSN per un contributo pro-capite pari a €. 2.470,00 come tutti i cittadini residenti più fino a circa €. 3.615,20 di tetto di spesa media delle polizze collettive della sanità “integrativa” = €. 6.085,20! E QUI sarebbero da fare delle considerazioni sui “garantiti” e sui “precari” a proposito di diseguaglianze di salute.

WHO Europe – Observatory on health systems and policies - Policy Brief 56 “Coinvolgere il settore privato nella fornitura di beni e assistenza sanitaria - Lezioni di governance dalla pandemia di COVID-19”
WHO Europe propone una riflessione sul rapporto pubblico e privato affermando che “l’obiettivo principale per sfruttare bene le capacità del settore privato è quello di migliorare la fornitura di beni e servizi sanitari, e di farlo in modo da coinvolgere efficacemente il settore privato in linea con gli obiettivi e le priorità del sistema sanitario. Pertanto, dal punto di vista delle politiche pubbliche, l’allineamento degli obiettivi e la compatibilità dovrebbero essere i fattori chiave per stabilire i potenziali impegni del settore privato. Questo è un requisito minimo e può fungere da fondamento per qualsiasi ulteriore sviluppo che possa essere perseguito dai politici e dagli enti attuatori nell’allineare le strutture istituzionali e normative che promuovono o integrano più attivamente gli impegni del settore privato nei sistemi sanitari a fornitura mista. Le evidenze che derivano dai casi di studio sottolineano inoltre come la coerenza e la prevedibilità degli impegni sono elementi chiave per mantenere la fiducia e costruire relazioni pubblico-private di successo”. WHO ritiene che sia necessario affrontare esplicitamente l’equa condivisione del rischio per proteggere i pagatori pubblici e rafforzare la responsabilità dei fornitori del settore privato.

Le esperienze pandemiche forniscono lezioni preziose per i futuri impegni del settore privato che ha dato un contributo importante alla fornitura e al mantenimento di beni e servizi sanitari essenziali durante la pandemia di COVID-19 Le strutture e le risorse del settore hanno svolto un ruolo chiave nelle risposte dei paesi alla pandemia di COVID-19, compresa la fornitura delle attrezzature necessarie e dei dispositivi di protezione individuale (DPI), la fornitura di strutture e personale ospedaliero per curare i pazienti COVID-19 e non-COVID, lo sviluppo del digitale, strumenti sanitari e di altro tipo per supportare il tracciamento dei contatti, fornire servizi diagnostici e di laboratorio per eseguire test COVID-19 di livello superiore e fornire strutture di quarantena e siti di vaccinazione. Le imprese private sono state cruciali anche per lo sviluppo e la fornitura di vaccini contro il Covid-19. Per il futuro si propongono da parte del WHO le seguenti raccomandazioni:
- Le risorse e le competenze del settore privato possono migliorare la fornitura di beni e servizi sanitari anche assumendo un ruolo più ampio nei servizi sanitari essenziali e nel garantire la resilienza del sistema sanitario.
- Imparare dall'esperienza del coinvolgimento del settore privato durante il COVID-19 può aiutare i paesi a evitare possibili trappole e garantire che gli obiettivi politici e le priorità del sistema sanitario siano raggiunti. L’esperienza ha inoltre generato prove utili su come sostenere il successo operativo e mantenere l’integrità finanziaria nell’allocazione e nella spesa delle risorse.
- Un impegno efficace nel settore privato richiede buone pratiche di governance. I successi e i fallimenti politici durante la pandemia hanno evidenziato le principali sfide di governance e hanno fornito lezioni ai paesi su come coinvolgere efficacemente il settore privato nei loro sistemi sanitari.
- Rendere esplicita la natura della collaborazione nel settore privato è un elemento importante per pianificare e gestire relazioni efficaci.

Se intendiamo trasferire su un piano operativo tali raccomandazioni serviranno:
- definire chiaramente gli obiettivi degli attori del settore pubblico e privato;
- identificare come entrambe le parti possono raggiungere i propri obiettivi all'interno di una collaborazione;
- soppesare gli obiettivi condivisi e le ragioni dell'impegno del settore privato, nonché esplorare altri mezzi per raggiungere gli obiettivi dichiarati;
- l'allineamento e la compatibilità degli obiettivi con il settore privato che dovrebbero essere collegati a incentivi adeguatamente mirati;
- la trasparenza e la responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, per garantire che i contratti del settore privato siano governati in modo solido;
- un'informazione aperta e trasparente, che è strettamente legata alla fiducia del pubblico ed è necessaria per salvaguardare l'integrità degli enti governativi che erogano grandi quantità di fondi pubblici;
- disegnare e mettere in atto processi chiari e trasparenti per identificare e considerare potenziali partner del settore privato e per giustificare le scelte effettuate nell'aggiudicazione dei contratti per fugare le preoccupazioni sul rischio di potenziale corruzione. Ciò è particolarmente critico nel settore degli appalti pubblici;
- stabilire anticipatamente linee guida sugli appalti di emergenza per i "contratti di crisi" per proteggere i Paesi nelle emergenze future
effettuare controlli preliminari dei potenziali fornitori utilizzando solidi criteri di selezione definiti da esperti (primi fra tutti quelli di affidabilità e qualità) per garantire la fiducia;
- rendere visibili pubblicamente una serie di informazioni, come i registri dei bandi di gara e degli appalti aggiudicati per rafforzare la correttezza delle modalità di appalto;
- garantire l'allineamento con gli obiettivi strategici del sistema sanitario nel costruire partenariati affidabili tra il settore pubblico e quello privato;
raggiungere accordi ben strutturati che definiscono chiaramente ruoli, responsabilità e aspettative e aiutano a rafforzare i rapporti con i partner del settore privato;
- stabilire in anticipo le modalità per un'efficace risoluzione delle controversie, un’attenzione che favorisce la fiducia;
- l’equa condivisione del rischio, che è importante per la responsabilità e la protezione, protegge i contribuenti pubblici e rafforza la responsabilità del settore privato;
- la copertura dell'intera gamma di rischi, compresi i rischi sanitari, i rischi finanziari (per garantire i rendimenti attesi sugli impegni finanziari contro potenziali passività o perdite) e i rischi di adempimento (per garantire gli obblighi di fornitura e gli standard di qualità.

Ripensare il SSN nel rapporto con la “sanità privata”
Polillo e Tognetti hanno scritto su Quotidiano Sanità il 12 settembre scorso dal titolo “La collaborazione pubblico privato non è la privatizzazione del Ssn”… “ragionare sulla relazione pubblico/ privato nel SSN significa ripensare il SSN, la sua operatività, la sua sostenibilità, il ruolo dei diversi attori che entrano nel campo della salute, con le potenzialità, i limiti e gli interessi di ogni attore, senza nasconderci che cosa è realmente successo in questi 45 anni di SSN e cosa più importante cercando di definire, se possibile, quali debbono essere le strategie future per continuare a garantire un Servizio Sanitario Pubblico, senza nascondere nulla sotto il tappeto. Un pubblico ed un privato competitivo e collaborante che condivide una progettualità valutabile, verificabile, rimodulabile sulla base dei risultati operativi e dei bisogni di salute, da dati di fonte ufficiale alla mano, è una delle strade che consentiranno di continuare a garantire il diritto alla salute dei cittadini, tutti i cittadini a partire dagli ultimi”.

Facciamo nostro il loro pensiero e aggiungiamo: chi se non il “pubblico” può e deve svolgere questo lavoro di riallineamento degli interessi “privati” presenti nelle filiere assistenziali su obiettivi di salute generali?

Chi se non il “pubblico” ha i dati e la visione di insieme per svolgere analisi di “stratificazione dei bisogni di salute”, vedi anche l’incipit del PNRR?

Chi se non il “pubblico” può elaborare e proporre policy di “medicina di popolazione”, di “medicina di comunità”, di “medicina di prossimità” e di “continuità assistenziale”?

In conclusione futuri sviluppi, ineluttabili, non prevedono necessariamente una diminuzione di ruolo per il SSN ma nuove visioni, nuove competenze, nuove responsabilità e pari, anzi accresciuto, ruolo nella tutela della salute dei cittadini.

Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma, Docente LUISS Business School Roma.

Andrea Vannucci
Socio ASIQUAS, Professore a contratto DISM Università di Siena, socio Accademia Nazionale di Medicina, Genova.



08 gennaio 2024
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