Sono trascorsi giusti sette anni dal quartultimo Governo ed è tempo di “vendemmia”. Dal 23 marzo del 2018 è iniziata l’era Conte I e II, seguita dall’esperienza di Draghi sino ad arrivare all’attuale Esecutivo guidato dalla Meloni e la “raccolta” non è affatto granché. Il peggioramento è la caratteristica nella erogazione della salute. La Grillo e Speranza, quest’ultimo chiamato ad affrontare il Covid, sono stati due ministri che si ricorderanno per le peggiori potature delle “viti” chiamate ad esprimere e garantire il diritto alla tutela della salute.
Nessun “vitigno” pregiato “innestato” nell’assistenza sociosanitaria e nessun intervento di pregio in tema di finanziamento, se non quello di dare qualche miliardo in più da buttare in un Ssn che, a ritenerlo un sistema obsoleto, significa usargli una grande delicata cortesia. Dunque, sette anni buttati al vento e senza generare raccolto. Anzi, generando danni alla collettività nazionale, sino ad arrivare a realizzare politiche destabilizzanti sistemiche nel Sud del Paese, privo di sistemi regionali della salute, che si caratterizza per istanze creative ma indebite di uscita dai piani di rientro e per iniziative più vicine alla luna che alla terra che i meridionali maledicono.
Cambiare è fatica ma è indispensabile
Le lamentele che portano al nulla
Dunque, invece di lamentare la scarsità delle risorse statali, perché misurate in termini assoluti piuttosto che rapportate al Pil, necessita mettere in piedi una spending review che riesca ad essere nel contempo una better delivery strategy. Una modalità che se, per un versante, evita sprechi e danni da malagestio, dall’altra, prevede l’insediamento a regime di metodologie assistenziali dirette a risultato anche differito.
Il ministro Schillaci lo ha capito, tanto da avere preteso l’incremento all’8% della «Prevenzione collettiva e Sanità pubblica», quel macro-livello assistenziale bistrattato negli ultimi cinquanta anni da una politica del welfare state che non ha saputo interpretare concretamente quanto messo su carta dalla legge 833/1978.
Al di là della profilassi internazionale, che rimane nelle competenze esclusive statali (art 117, comma 2, lett. q), non sufficiente oggi a tal punto da doverlo sviluppare in un contesto europeo quale elemento utile ad avviare l’UE ad assumere la dimensione di Stato, una prevenzione spalmata uniformemente sul territorio nazionale darebbe al Ssn un rispettabile valore aggiunto a cura della centralità e continuità che assicurerebbe, al riguardo, il Governo e, per esso, il ministero della salute. La ratio di una siffatta iniziativa risiederebbe nel progetto di generare ricchezza in salute vissuta, attraverso la prevenzione delle patologie che affliggono sistematicamente la comunità non solo nazionale, tutt’altro.
Gli alert
Diabete su tutte, è una malattia invalidante e auto-generativa di altre. L’obesità è una condizione veicolo di patologie multiple. L’alimentazione è un difetto strutturale cui occorrono indirizzi e abitudini sociali. Il fumo, l’alcol e il ricorso alle droghe sono i fattori negativi che imprigionano la società a partire dai giovanissimi. La sedentarietà è una façon d'être et de vivre che abbisogna di tutela educativa.
Prendersi presto cura solo di questi temi, assicurerebbe un grande risultato a cominciare da subito, non solo sotto il profilo della diminuzione delle malattie ma anche in termini di spesa pubblica, con particolare riferimento alla erogazione dei Lea ospedalieri. Questi ultimi da rendere esigibili in strutture accreditate, stando bene attenti che in alcune regioni, tipo la Calabria, non lo è alcuno (perché privi dei requisiti richiesti!), tanto da fare pensare che sarebbe stato molto meglio dedicare ad hoc le spese milionarie già fatte e quelle miliardarie impegnate per il Ponte sullo Stretto.
Continuare così com’è oggi, con una prevenzione lasciata in mano ad inutili Dipartimenti aziendali, spesso occupati da imboscati e pieni di dipendenti del Ssn che non hanno voglia di impegnarsi in altro, implementerebbe la storia di un brutto fallimenti iniziato 47 anni e destinato a non finire mai.
Poi c’è la riabilitazione, che è un altro dei temi da affrontare, magari portando a ricavi del Ssn le prestazioni assicurate dalla previdenza contributiva garantita ai disabili.
Le spregiudicatezze che uccidono l’assistenza territoriale
Il Ddl sulle prestazioni sanitarie, al di là della intelligente sanatoria delle 29 sedicenti aziende ospedaliero-universitarie (qui articolo del 3 marzo), è la chiara dimostrazione di come, attraverso l’inondazione di emendamenti approvati in Senato, si fanno (malissimo) le leggi nel nostro Paese. La folla delle proposte a mano (troppo) libera dei parlamentari è facile a concretizzare agguati legislativi, degni di sovvertire le regole, di negare i contenuti di quelle esistenti (persino con ricadute negative sui desiderata UE), di fare girare la testa ai cittadini che diventano sempre di più clienti maltrattati.
Terribile sul piano della ratio l’emendamento rubricato al nr. 13.0.600. Introduttivo dell'articolo 13-bis (Modifiche all'articolo 1, comma 279, della legge 30 dicembre 2024, n. 207).
Il testo: «L’incremento del limite di spesa per l’acquisto di prestazioni dalla sanità privata si applica, anche in deroga agli standard relativi al numero di posti letto, solo ed esclusivamente nelle discipline di medicina generale, di riabilitazione, e di lungodegenza previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, in un arco di tempo necessario alla completa messa in esercizio degli ospedali di comunità e, comunque, entro e non oltre il 31 gennaio 2028.
Le strutture sanitarie che svolgono attività di assistenza specialistica ambulatoriale in regime di accreditamento istituzionale con il Servizio Sanitario Nazionale, compresa la diagnostica radioimmunologica, la medicina nucleare e la fisiokinesiterapia per le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 settembre 2017 sono riconosciute quali presidi sanitari di prossimità del Servizio Sanitario Nazionale nell'ambito dell'assetto complessivo dell'assistenza territoriale e partecipano anche all'erogazione di prestazioni di prevenzione e di emergenza territoriale secondo le indicazioni della programmazione sanitaria e le specifiche regole di ingaggio definite in coerenza con il sistema di autorizzazione, accreditamento istituzionale e convenzionamento».
Due le finalità che preoccupano: gli ospedali di comunità, non prima del 31 gennaio 2028, alla faccia del PNRR; gli accreditati privati in diagnostica per immagini e fisiokinesiterapia diventano presidi sanitari di prossimità, abilitati pertanto all’erogazione di Lea destinati alla prevenzione ed emergenza territoriale.
Il modo per curare l’assistenza territoriale? Pare l’esatto contrario!
Ettore Jorio