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Medici in “fuga” dai Pronto soccorso

di Giovanni Leoni
28 GIU - Gentile Direttore,
nell’ambito della provincia di mia competenza e solo nel novero delle mie conoscenza dirette e negli ultimi mesi, quattro  colleghi,  tre esperti  medici di pronto soccorso ed un internista, tra i 50 ed i 60 anni, con decine di anni di carriera alle spalle (o sulle spalle …) laureati ante 1994 hanno perfezionato il passaggio alla medicina del territorio.
 
Hanno semplicemente dato le dimissioni con tre mesi di preavviso, senza se e senza ma, lasciando alla Direzione anche le ferie non godute, ed in qualche caso mesi, pur di essere liberi di chiudere con l’ospedale ed iniziare una nuova vita .
 
La normativa  lo contempla e, previa pregressa regolare domanda per la graduatoria regionale per la medicina del territorio, tutto si è compiuto, complice l’arcinota naturale uscita dei colleghi anche in tale branca  a livello di gobba pensionistica, e qualcuno ha potuto perfino scegliere dove andare.
 
Inoltre, stante la carenza di medici di medicina generale, questi colleghi non hanno  problemi a ottenere rapidamente o immediatamente il massimale di assistiti, orfani di uno o più medici pensionati .
 
La sinergia Ospedale - Territorio è quindi una realtà, anche se in effetti credo di ricordare che non fosse  proprio questa l’idea originale.
 
Del resto in un passato non proprio recente ma comunque ben vivido nel ricordo di chi ha qualche anno di più di carriera i medici di PS che erano anche mutualisti esistevano eccome.
 
Certo l’utenza è cambiata anche a livello del Territorio, ci saranno nuovi programmi per pc da apprendere,  nuove certificazioni, nuove incombenze burocratiche,  nuove problematiche , ma la medicina  è sempre quella, e  le situazioni presentano molte  analogie, in particolare penso ai codici bianchi risolti al contrario dai medici del territorio in Pronto Soccorso in alcune realtà ospedaliere.
 
Perché l’hanno fatto?  La prospettiva di avere almeno altri 10-15 anni di carriera davanti, lo stress non più sopportabile dovuto a ritmi esasperati, notti e festività lavorative con orari aggiuntivi pressoché obbligatori per coprire le caselle dei turni,  le denunce personali o arrivate al collega di reparto, le reperibilità per gli eventuali trasporti medicalizzati in alcune realtà, il difficile rapporto con una utenza sempre più esasperata in cerca di soluzioni a una varietà di problemi tendente all’infinito con magari con un caso subdolo e difficile  mimetizzato tra i tanti che si fa fatica a riconoscere adeguatamente.
 
Il disperato continuo bisogno di tempo per riflettere, per capire quello che stai facendo, che hai fatto e che devi fare.
 
Il pensiero di dover tornare al lavoro senza aver ancora recuperato adeguatamente dal turno precedente.
 
La scomparsa delle motivazioni originarie; va bene una vita professionale dinamica a contatto con la medicina d’urgenza , ma alla fine anche no, in fondo  esiste anche una vita di relazione.
 
 
 
Emerge progressivamente il  desiderio di avere più tempo per il nostro lavoro ,che è principalmente il rapporto con il paziente,  e l’attività diagnostica, il ragionamento clinico che si può svolgere benissimo anche in un ambulatorio perché fare il medico è principalmente una attività intellettuale.
 
Ho “intervistato” i colleghi  dopo il passaggio, sono felicissimi della scelta e di aver cambiato  la tipologia di attività pur restando nello stesso universo professionale, questi i fatti.
Il rapporto di fiducia e continuativo con i loro pazienti ha dato loro una nuova serenità professionale.
 
Ormai, dopo anni di articoli,  la carenza dei medici è uscita dall’ambito delle cronache di settore per salire agli onori delle cronache generali, vista l’importanza e  le ricadute  sulla qualità  di un servizio pubblico erogato direttamente per la sopravvivenza immediata del cittadino comune.
 
Tutti i mezzi di informazione  generalisti del settore si stanno occupando del problema  ed il mezzo  mediatico è una leva potente per fare cambiare idea a chi ha realmente il potere di modificare la situazione: i politici.
 
Il Pronto Soccorso viene citato spesso nelle cronache come esempio negativo, puntando il dito sul sovraffollamento, sugli accessi inappropriati, sulle attese per un ricovero per mancanza posto letto .
 
A proposito, belle le nuove linee guida, tutte da leggere con calma e dedizione, ma senza personale dedicato e motivato chi le metterà in pratica e senza letti in ospedale cosa cambia per i ricoveri e cosa per le dimissioni difficili senza le lungodegenze? I pazienti comunque continueranno ad arrivare e qualcuno dovrà assisterli, come sempre.
 
Il carico di lavoro nasce da una difficoltà di accesso alla specialistica pubblica  in tempi congrui, e le visite “forzate” delle “liste di galleggiamento” sono diventate un surplus costante per il lavoro ambulatoriale per esterni a livello ospedaliero.
 
Inutile qui rielencare le motivazioni delle carenze in PS, pensiamo alle soluzioni:
 
1. Aumento straordinario  dei posti in Specialità per la Medicina d’Urgenza a livello nazionale  perché la situazione è straordinaria e quindi anche la soluzione deve essere correlata . Servono medici dedicati e preparati per tale attività, con aumento relativo anche per i posti per docenti di  settore; .
 
Ho vissuto in prima persona con  tutta la mia generazione la magica moltiplicazione di reparti, cattedre e posti da professore associato e ricercatore negli anni 80 all’Università sulla spinta dell’afflusso degli studenti con relativa pletora medica , mai come in tale caso volere è potere.
 
2. Aumento dello stipendio con indennità importanti  dedicate (ad esempio il disagio) ed intendo fino al 30% in più di un medico di  pari livello in reparto.
Che nessuno si agiti, non dico niente di nuovo, una volta, ai miei tempi, sono  stato in PS dal 1988 al 1991, esistevano le compartecipazioni e chi faceva il PS guadagnava di più dei colleghi di reparto, visto anche che non esiste di fatto  in tale specialità la libera professione.
 
Non nascondiamoci dietro ad un dito, ne vedo e ne leggo troppe, in particolare in  questi ultimi tempi.
 
La qualificazione ed il rispetto di un lavoratore emergono anche dallo stipendio percepito commisurato alla difficoltà del lavoro svolto e lavorare in PS è difficile, molto difficile e non da tutti.
 
I turni aggiuntivi o la libera professione di équipe  sono altra cosa ed aumentano con notti e domeniche e festivi in più  lo stress da lavoro per una cifra sempre identica da decenni e mai rivalutata. 
 
Inutile girare attorno al problema con appalti  a cooperative dove lavorano colleghi costretti a turni continuativi indicibili, sono liberi professionisti ma spesso non per scelta, con tutte le negatività possibili di questa condizione, senza tutele istituzionali.
 
Questo tipo di servizio per essere svolto in modo corretto e moderno necessita di medici preparati, motivati e con turnistica rispettosa non solo delle regole contrattuali ma della natura umana.
 
I cittadini sono avvisati, non siate violenti a livello verbale e fisico con chi avete davanti e  vi sta comunque aiutando al meglio delle sue possibilità nelle condizioni in cui si trova ad operare  e su cui non ha voce in capitolo, solo perché un giorno ha  fatto questa scelta volontariamente.
 
E’ pressante e fortemente motivata la richiesta del Presidente FNOMCeO  Anelli  su inasprimento delle pene e procedibilità d’ufficio per gli atti di violenza  a tutela di tutti gli operatori
sanitari  ma “dobbiamo pensare a una ristrutturazione organizzativa”.
 
Vi consiglio di andate a tirare la giacchetta ai vostri referenti politici e chiedete, ognuno nella sua area e colore di pertinenza,  cosa stanno facendo loro per la tutela della vostra salute.
 
Provateci, vi conviene.
 
Dott. Giovanni Leoni
Presidente OMCeO Provincia di Venezia

28 giugno 2019
© Riproduzione riservata

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