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Recovery Plan. Speranza: “Nove mld per la sanità sono pochi, mi farò sentire in Cdm”. La “speranza” che non sia solo un déjà vu

di Cesare Fassari

Doccia fredda per il ministro della Salute alla lettura della bozza del Recovery Plan ancora all’esame del Governo mentre infuriano le polemiche anche sulla governance del budget di 209 miliardi. Ma Speranza assicura: “Per me non è una questione di metodo (mi fido di Conte) ma 9 miliardi non bastano”. Se non ci fosse il Covid che fa strage sembrerebbe un dèjà vu della sanità, vaso di coccio tra tanti vasi di ferro in Cdm

09 DIC - Il messaggio affidato questa mattina dal ministro della Salute Roberto Speranza ai due più grandi quotidiani nazionali (Repubblica e Corriere della Sera) se non ci fosse il Covid a fare strage sembrerebbe un appannato déjà vu degli innumerevoli analoghi appelli che quasi tutti i ministri della Salute negli ultimi anni hanno lanciato ai loro colleghi di Governo e in primis al Mef: “Alla sanità servono più soldi”.
 
Ma questa volta è diverso: se la sanità italiana, nonostante i continui tagli che ne hanno fatto una delle “più povere” d’Europa sembrava, prima del Covid, comunque e nonostante tutto ancora in grado di reggere, pur con mille difficoltà e con personale stanco e sfiduciato, dopo il Covid ha dimostrato tutte le sue debolezze e a dirlo non siamo noi, i soliti addetti ai lavori che vorrebbero sempre di più.
 
Leggete queste righe qui sotto e poi ne parliamo: “Il sistema è giunto alla prova del Covid-19 manifestando elementi di relativa debolezza rispetto ai principali partner europei, e, in maniera non trascurabile, anche il permanere di un forte divario tra le Regioni italiane. La risposta del sistema sanitario all’avanzata della pandemia, infatti, è stata ostacolata da carenze nell’approvvigionamento di dispositivi medici e sanitari adeguati, nella disponibilità di organico, nella dotazione di infrastrutture, in particolare tecnologica e digitale, ma soprattutto riguardo una risposta assistenziale adeguata dell’assistenza territoriale, oltre a quella ospedaliera, sebbene quest’ultima, seppure con alcuni limiti, abbia mostrato nel complesso una buona capacità di risposta e di tenuta”.
 
L’analisi impietosa non è di qualche centro studi o di qualche sindacato di settore, quelle parole le ha messe nero su bianco sulla bozza di Recovery Plan questo Governo, lo stesso che, contrariamente a tutte le aspettative, sembra deciso a destinare alla sanità solo 9 miliardi degli oltre 200 che arriveranno dall’Europa.
 
Una doccia fredda, che ora, leggendo i virgolettati del ministro Speranza riportati da Repubblica e Corriere, sembrano aver colpito anche lui come un fulmine a ciel sereno.
 
Lui, di miliardi, nella prima fase della progettualità per il Recovery (quella dove tutti i ministeri avevano presentato il loro libro dei sogni) ne aveva richiesti 68 (vedi qui il dettaglio dei progetti presentati durante la scorsa estate) per poi scendere, leggiamo oggi, a 25, ma alla fine si è accorto che la bozza del Piano gliene assegnava solo 9.
 
“Porterò con forza la questione dell'aumento dei fondi per la sanità al Consiglio dei ministri”, dice oggi Speranza, aggiungendo che la questione “non è di governance” (per la quale ribadisce la sua fiducia a Conte e ai ministri competenti), ma “una questione di merito” e per questo, dice, “chiederò con forza ulteriori risorse”, perché “la cifra di 9 miliardi deve assolutamente crescere”.
 
Se non ci fosse il Covid, dicevamo, ci troveremmo di fronte a un déjà vu e su come siano andati a finire i precedenti appelli dei tanti ministri della Salute insoddisfatti dei budget loro assegnati lo sappiamo: ha sempre vinto il Mef e alla fine ha sempre vinto quella visione che mette la sanità all’angolo, trasformandola, la definizione non è mia ma di effetto, in un “bancomat” a disposizione del Governo.
 
Del resto a dire che la sanità viene spesso e, non solo in Italia, considerata tutt’ora prevalentemente un costo e quindi una partita da attaccare e tenere sotto stretta osservazione è stata la stessa Ocse nel suo ultimo report sullo stato di salute dei servizi sanitari europei alla prova del Covid, dove leggiamo che, “malgrado si parli molto di come la spesa sanitaria si configuri come un investimento piuttosto che come un costo le decisioni politiche prese prima dell’arrivo di questa crisi non si sono in realtà allineate in maniera significativa a questa visione”.
 
La pandemia da COVID-19 – aggiunge l’Ocse - ha evidenziato la necessità impellente di inserire la resilienza dei sistemi sanitari fra le dimensioni chiave di valutazione della performance dei sistemi sanitari, alla stregua dell’accessibilità, della qualità delle cure e dell’efficienza”.
 
Belle parole, musica per chi, come noi, sostiene da sempre la teoria della sanità come un investimento per la ricchezza complessiva del Paese, ma che evidentemente non sono riuscite ancora una volta a bucare la cortina di ferro del Mef.
 
Postilla social: tra i vari commenti letti questa mattina su facebook all’appello/allarme di Speranza ne ho letto uno che adombrava come questa alzata di scudi del ministro della Salute, potesse essere funzionale a rilanciare il Mes sanità con la sua dote di 36 miliardi. Mah…Vedremo.
 
Cesare Fassari

09 dicembre 2020
© Riproduzione riservata

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