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“Non mi illudo ma voglio essere ottimista. Ora al lavoro su rinnovo convenzione, formazione e rapporti con le professioni”. Giacomo Milillo a tutto campo dopo l’intesa di Palazzo Chigi

di Luciano Fassari

Il segretario dei medici di famiglia Fimmg definisce l'agenda dopo l'accordo con il Governo. Su formazione attacco alle Università: “Si è dimostrata oggettivamente inadeguata”. E sulla nuova convenzione: “Bene assistenza H16 ma non sia standard unico”. Segnali di apertura nei rapporti con le professioni: “Credo si possa trovare soluzione”

11 MAR - “Dobbiamo vedere la realizzazione concreta degli impegni che sono stati assunti, ma voglio essere ottimista”. Il segretario della Fimmg Giacomo Milillo conferma che il livello di allarme tra la categoria e il Governo dopo l’intesa di Palazzo Chigi di mercoledì è sceso. E nei prossimi due mesi da parte dei camici bianchi ci sarà una tregua nella protesta più dura per consentire ai tavoli confronto “non lavorare sotto costante minaccia”.
 
Ma il leader del sindacato dei medici di famiglia entra anche nel vivo degli impegni. Sui rapporti con gli infermieri: “Credo che la Presidente Mangiacavalli sia una persona con cui si può ragionare”. E poi sulla formazione non usa giri di parole: “Ho avuto la netta impressione che anche gli esponenti del Governo durante l’incontro abbiano capito che così com’è oggi siamo allo sbando e che l’Università si è dimostrata inadeguata”.
 
Milillo parla anche della nuova convenzione dopo le proposte di ‘nuovo’ atto d’indirizzo. “L’h16 va bene ma non diventi uno standard unico. Serve flessibilità”.
 
Segretario, insomma è tornato il sereno con il Governo dopo l’intesa di Palazzo Chigi. Avete seppellito l’ascia di guerra. Ma quanto durerà?
Chiariamoci: da ‘Defcon 1’ (livello massimo di emergenza dell’esercito Usa in una scala da 1 a 5) siamo passati a ‘Defcon 2’. E' stato un momento importante e un risultato per i sindacati. È chiaro che dobbiamo vedere la realizzazione concreta degli impegni che sono stati assunti, ma voglio essere ottimista. Non mi illudo certo che risolveremo tutte le questioni ma che qualcuno, tra i tanti temi che abbiamo presentato, trovi soluzione sì. Che poi le soluzioni richiedano anche altre azioni di protesta è possibile.
 
Avete rinviato lo sciopero di 60 giorni. Vi siete dati una ‘dead line’ per decidere o meno se revocarlo?
Ma guardi, non la metterei che tra due mesi vediamo cosa si è concretizzato e decidiamo in maniera netta per questioni che richiedono perlomeno tutto l’anno per una verifica che abbia senso. Sulle risorse vedremo il Def, sui rinnovi contrattuali vedremo se si sbloccheranno gli atti di indirizzo per la riapertura delle trattative e via dicendo. Insomma, tra due mesi vedremo l’andamento dei lavori e quindi, a seconda di come staranno le cose, valuteremo se revocare lo sciopero o meno. Chiaramente permarremo in stato di agitazione perché come le dicevo prima siamo scesi da un livello di allerta massimo a quello inferiore, ecco magari tra due mesi scendiamo un altro gradino. Ma come le dicevo sono ottimista e per questo le dico che in questa fase vogliamo evitare che i tavoli istituzionali lavorino sotto costante minaccia. In ogni caso la nostra rendicontazione agli iscritti sarà continua e le iniziative della Vertenza proseguiranno. Dev’essere chiaro che siamo pronti a riprendere la protesta più dura di fronte a questioni o ritardi ingiustificabili.
 
Tra gli impegni più rilevanti dell’intesa con il Governo vi è la valorizzazione della professione medica. Lunedì ci sarà la riunione sull’articolo 22 del Patto per la Salute su accesso, formazione e carriere senza dimenticare i rapporti con le altre professioni sanitarie in scia al comma 566. Come se ne esce?
Ho un mio pensiero ma credo sia abbastanza condiviso tra i colleghi. Sicuramente l’Art. 22 è un’occasione e potrebbe diventare l’occasione anche per un dialogo con le professioni sanitarie. Noi abbiamo l’esigenza di una valorizzazione dell’atto professionale medico inteso come momento di diagnosi e coordinamento della cura anche in un lavoro di équipe. Fermo restando che quando si lavora in équipe ci possa essere una ripartizione dei compiti, ciascuno dei quali comporta una precisa responsabilità.
 
Ma come la mettiamo con le nuove competenze?
I livelli di autonomia credo che vadano definiti in base alle esigenze dell’assistito e credo che ci siano le massime premesse per un lavoro di squadra e di collaborazione. Resta il fatto che il medico, fino a che non cambia l’ordimento, è l’unico soggetto che è abilitato a formulare la diagnosi con la ‘D’ maiuscola e quindi a formulare il progetto terapeutico complessivo. La questione della responsabilità prevalente del medico dev’essere affrontata definendo quali sono gli spazi particolari delle altre professioni sanitarie.
 
In questo senso come pensate di ricucire il dialogo con gli infermieri?
Credo si possa trovare soluzione con le professioni e gli infermieri. Credo che la Presidente Mangiacavalli sia una persona con cui si può ragionare. Ma il punto base è che questi livelli di organizzazione devono competere ad un livello nazionale di contrattazione e non ad un livello locale. Non conosco il caso di Bologna ma credo si debba fare un’intesa Stato-regioni condivisa con le professioni che definisca le specifiche deleghe. È chiaro che se un infermiere si trova in un’autoambulanza che per qualche ragione non ha il medico e si trova ad affrontare una situazione in cui è per esempio determinante la somministrazione di un farmaco non possiamo pensare di sacrificare una vita.
 
Altro tema è lo sblocco del precariato. Tutti sembrano essere d’accordo.
Le dico solo che la questione è semplicemente doverosa. Non dare strutturazione significa non creare continuità assistenziale e non creare legami stabili con l’équipe.
 
C’è poi la questione della formazione professionale.
Durante l’incontro con il Governo ho avuto l’impressione, sia chiaro mia personale, che sia il Ministro della Salute, che quello della Pa Madia e anche il Sottosegretario De Vincenti abbiano compreso che la formazione dei medici è allo sbando e ha bisogno di interventi strutturali. Ci sono forti resistenze dell’Università. Noi diciamo no a guerre di contrapposizione ma crediamo sia arrivata l'ora di un confronto serio, perché così non va.
 
Mi fa qualche esempio.
Prima le dico che nessuno vuole mettere in dubbio l’autonomia delle Università o la rilevanza del Miur. Le nostre richieste si fondano su quella che è la formazione dei medici oggi. Un ambito in cui l’Università si è dimostrata oggettivamente inadeguata.
Guardiamo all’Europa, nelle specialità per lavorare c’è bisogno di una certificazione reale. Da noi non c’è. Bravi nella teoria ma non nella pratica. La specialità, all’estero è un traguardo curriculare, non accademico. Il percorso è vario e non è tutto in un ambiente. Insomma c’è bisogno di una certificazione reale delle competenze e di un’apertura alla pratica. In medicina generale abbiamo tre anni sottopagati ed è ingiustizia. Ma non possiamo negare anche che durante i 3 anni i tirocinanti sono di fatto spettatori mentre si potrebbe unire la formazione al lavoro. Le famose attività professionalizzanti previste dalla Legge Balduzzi. All’estero, le ripeto, il medico in formazione lavora ed è supervisionato e valutato periodicamente e acquisisce competenze manuali sul campo.
 
Atto d’indirizzo. Ha detto che la riapertura dei tavoli sui rinnovi sarà un elemento fondamentale. Come valuta le prime novità sul documento? Sull’Assistenza H16 che ne pensa? Sembra essere uno dei nodi da sciogliere.
Valuto molto positivamente la proposta ma va chiarito che l’H16 non dev’essere visto come il nuovo standard unico o la riduzione delle ore di assistenza. Noi crediamo che la flessibilità organizzativa debba essere massima anche a livello aziendale. Allora l’h16 ha senso laddove sposta risorse professionali dalla notte ad aspettare una visita, all’assistenza diurna dei cronici e laddove la statistica, l’esperienza, le caratteristiche orogeografiche, etc. non dimostrano una grande richiesta di continuità assistenziale. Il problema da chiarire è sapere però che le 24 ore siano coperte in modo coordinato e organico con il 118. In certe metropoli potrebbero aver senso per esempio le h24 ambulatoriali. Il punto è che bisogna dare ai cittadini i servizi nella misura in cui servono.
 
Sul Fondo delle AFT invece?
È un fondo virtuale. Ed è un meccanismo che si realizzerà pienamente tra qualche anno ma è chiaro che dovrà prevedere un percorso. Con la Sisac abbiamo condiviso nei nostri incontri la volontà di scrivere una convenzione nuova e snella, che avrà in allegato della misure che consentiranno la trasformazione.
In questa fase il Fondo va visto come un passaggio graduale dall’indennità strutturale o per attività alla costituzione dei fattori di produzione. Un passaggio brusco non era possibile ma questo meccanismo si alimenterà nel cambio generazionale. Nel senso che le risorse destinate ai fattori di produzione di chi lascia saranno a messe disposizione degli altri medici attraverso nuovi parametri. Certo speriamo in ogni caso che arrivino altre risorse fresche.
 
Segretario, due cose infine: appropriatezza e poi i rapporti con le Regioni. Visto che negli ultimi anni sono state il vostro principale bersaglio.
Sull’appropriatezza siamo in attesa di una circolare Fnomceo che garantisce le modalità di comportamento in attesa che il decreto sia semplificato e perfezionato. Con le Regioni il conflitto lo abbiamo avuto sempre con la Conferenza. Sempre rappresentata da un’Emilia Romagna che ha avuto un approccio rigido e ideologico. I cambi sono ancora da valutare ma sono cambiati alcuni atteggiamenti. Staremo a vedere.
 
Luciano Fassari

11 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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