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Cgil: “E’ ora di cambiare. Via le Asl spazio all’Asac". Più ruolo per operatori e cittadini


Cozza: “L’attuale contenitore aziendale non funziona più e va cambiato, ma non abbattuto”. Serve un nuovo assetto che garantisca il governo clinico dei professionisti e la partecipazione attiva dei cittadini nella valutazione della qualità dei servizi. Ecco la proposta presentata oggi a Roma.

31 MAG - Asac, ovvero “ Azienda sanitaria di comunità”. Per la Cgil funzione pubblica, medici compresi, dovrebbe essere questa la nuova sigla delle attuali Asl. Ma non si tratta, ovviamente, di cambiare solo il nome.

A spiegarlo è Massimo Cozza, segretario nazionale della Cgil Medici in apertura del convegno nazionale del sindacato “Per la salute bene comune. Quale governo clinico?”, svoltosi oggi a Roma. “Quello che vogliamo è un nuovo modello aziendalistico per rilanciare il servizio pubblico e per la ricostituzione del senso di appartenenza e di condivisione di tutti gli attori, con al centro la persona che soffre”.
“Un’ azienda – ha proseguito - dove le decisioni con rilevanza clinica sono condivise in organismi istituzionali come un Collegio di Direzione rappresentativo delle diverse figure professionali. Dove i Comitati di Dipartimento, con la componente elettiva, svolgono un ruolo fondamentale nelle decisioni organizzative”.

Ma non basta. Nella nuova azienda sanitaria ipotizzata, i cittadini dovranno avere un ruolo centrale che si concretizza nella loro partecipazione attiva nella valutazione dell’azienda insieme agli operatori in un’Assemblea della Salute, composta da rappresentati degli operatori e dei cittadini, che annualmente si riunisce per dare una valutazione sull'Asac, della quale la Regione tiene conto nel giudizio della direzione generale.che li vede uniti a trarre un bilancio delle attività e della qualità dei servizi.

Tutto questo, spiega Cozza, perché “l’attuale contenitore aziendale non funziona più e va cambiato, ma non abbattuto”. “La sua eliminazione – sottolinea - rischierebbe sia di dare un colpo distruttivo al servizio pubblico, già in una fase di estrema difficoltà, sia di ritornare al passato della spartizione partitica”.
Ma anche immaginare nuovi scenari per il personale, secondo Cozza, è velleitario. “Ipotizzare nuovi stati giuridici rappresenta una illusoria fuga senza alcun sbocco reale, anzi pericolosa" ."Perché – ha sottolineato - potrebbe portare al definitivo totale inglobamento dei professionisti nelle norme legislative dettate dal Parlamento, senza più nessuna capacità contrattuale”.

Nell'Asac si dovrà comunque garantire la libera professione degli operatori, ma "in spazi pubblici adeguati senza costringere ad andare nel privato, con prenotazioni e riscossioni gestite direttamente, con una piena trasparenza rispetto alle liste di attesa".
 
Nella nuova azienda sanitaria dovrà infine vincere un nuovo modello di relazioni tra le varie professioni saniutarie. "Si devono implementare le competenze e valorizzare le diverse professionalità - sottolinea la proposta - nella chiarezza delle responsabilità sia delle funzioni assistenziali (infermiere), sia dei singoli atti diagnostici e terapeutici (le diverse professionalità sanitarie) nell'ambito dell'unitarietà del percorso clinico diagnostico-terapeutico (medico), avendo come stella polare la salute dei cittadini".

Su questa via si può dare, secondo la Cgil, una risposta adeguata anche alle esigenze di bilancio, ma senza ulteriori tagli. “La spending review – ha detto Cozza - dovrebbe riqualificare la spesa, non tagliarla.
Non dobbiamo spendere meno, dobbiamo spendere meglio”. E aggiunge, “ben venga l'eliminazione degli sprechi, a partire dalla giusta individuazione dei prezzi di riferimento per gli acquisti. Ma quando si afferma che si possono rivedere 97 miliardi di spesa sanitaria, si blocca il riparto del fondo sanitario 2012, si sostiene la possibilità di rimandare attività pubbliche verso il settore privato, allora non ci stiamo”.
“Diminuire ulteriormente la spesa pubblica, scaricando costi maggiori sulle tasche dei cittadini – conclude Cozza – significherebbe la fine del principio prezioso dell’universalità del sistema, a danno della tutela della salute ma anche dei costi complessivi della salute”.

31 maggio 2012
© Riproduzione riservata

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