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La Sanità italiana al bivio tra il nord e l’est dell’Europa

di Alessandra Spedicato (Anaao Giovani)

16 MAG - Gentile direttore,
il mese scorso Anaao Assomed e SNR hanno organizzato a Genova un convegno, con la partecipazione di rappresentati delle organizzazioni mediche europee (FEMS, UEMS, AEMH), su temi rilevanti nel nostro attuale panorama politico-sanitario italiano, quali responsabilità professionale, progressione di carriera, orario di lavoro, attività privata.

I numerosi dati e le informazioni raccolte hanno evidenziato la marcata eterogeneità dei sistemi sanitari in Europa, frutto di scelte politiche, economiche ed organizzative estremamente variegate. Tanta disparità permette a noi italiani di guardare all’Europa come ad una sfera di cristallo dove possiamo immaginare il nostro futuro (almeno in sanità), a seconda delle scelte che decideremo di fare.

Pensiamo, per esempio, al nodo del gap formativo tra numero di laureati in medicina e numero di posti disponibili nella formazione post laurea. Senza nuovi oneri economici a carico del SSN, è possibile che si crei una figura professionale medica di transizione, tra lo specializzando e lo specialista, con stipendio pari al primo e carico di lavoro pari al secondo. Potrebbe essere di aiuto sapere che in Portogallo, dove il numero di laureati in medicina che non ha accesso alla scuola di specializzazione non supera le 600 unità annue (ben poca cosa rispetto alle stime nostrane che vedono la possibilità di oltre 20.000 medici italiani per il 2020 senza un posto in formazione), i giovani camici bianchi senza specialità hanno la possibilità di lavorare per gli Emergency Department degli ospedali pubblici. Certo il guadagno è esiguo (15 euro l’ora, con contratto a chiamata diretta e a prestazione) ma l’alternativa è lavorare negli ospedali privati oppure trasferirsi all’estero. Come fanno, peraltro, anche i medici italiani: nel triennio 2013-2015, 3068 dottori si sono trasferiti oltralpe per lavoro (molti di più i colleghi che hanno fatto richiesta del certificato di good standing, primo passaggio per ricercare un lavoro all’estero). Se lo stato italiano calcolasse i soldi persi per ogni professionista che ha deciso di emigrare (circa 130000 euro cadauno, per l’intero percorso educativo), potrebbe adottare le drastiche misure presenti altrove.

In Montenegro ed in Croazia, i soldi investiti sul medico in formazione sono interpretati come un credito che il governo vanta nei suoi confronti. Qualora il medico decida di trasferirsi all’estero, dovrà pagare una cifra di circa 100.000 euro, pari al costo del suo percorso formativo. La Slovenia si è dimostrata più generosa nei confronti dei suoi connazionali: sono giunti ad un accordo per cui lo specialista che si trasferisce deve pagare solo il 10% del suo ‘debito’ (circa 10.000 euro). Molto più severa la posizione della Turchia: il medico che al termine del percorso formativo, decida di non lavorare nel training hospital che l’ha educato per almeno due anni, vedrà revocato il proprio tesserino professionale.

Alla luce di questi numeri risulta comprensibile, anche se non eticamente accettabile, la scelta della Germania di assoldare manodopera straniera. Nonostante numerosi ospedali segnalino carenza di personale disponibile, i tedeschi hanno deciso di non incrementare i posti a disposizione per gli studenti di medicina (circa 8.700 dal 2008, con un trend di inesorabile discesa iniziato nel 1995) ma di rivolgersi a medici formati in altri paesi, soprattutto Europa dell’est. Nel 2012, Il numero di medici stranieri in Germania era pari a circa 30.000 unità (il 10% della forza lavoro disponibile), numero in costante ascesa e triplicato rispetto ai dati del 1995. Anche la Francia vede tra le sue fila un crescente numero di medici stranieri. Un interessantissimo lavoro dell’Osservatorio europeo di demografia medicale sui flussi migratori, presentato a Novembre 2014, ha rivelato che circa il 30% dei medici operanti nell’Hexagone sono di origine straniera, con una quota notevole proveniente dai paesi extra UE dell’area mediterranea (Marocco, Tunisia, Algeria e Siria) e consistenti flussi da Romania e Italia. Lo Stivale risulta il secondo fornitore, nella categoria paesi UE, di medici che lavorano in Francia (dopo la Romania) e deve far riflettere il dato che le due fasce di età più rappresentate nella scelta di emigrare sono al di sotto dei 40 anni e al di sopra dei 60anni. Come si può leggere questo dato? Le nuove generazioni cercano prospettive per se e per la propria famiglia, le vecchie generazioni non si riconoscono più nell’attuale SSN italiano e, liberati dai vincoli familiari (figli grandi, maggiore disponibilità economica), cercano nuove soddisfazioni lavorative e migliore qualità di vita nella terza età al di fuori dell’Italia.

La nuova stagione contrattuale che si profila all’orizzonte per l’Italia, potrebbe essere l’opportunità per rispondere alle esigenze dei medici insoddisfatti.

Molto interessante è sapere che in paesi come Olanda, Francia, Spagna, UK, l’organizzazione dell’orario di lavoro non tiene in considerazione l’attività di guardia. Le guardie sono effettuate in extra orario (sempre in accordo con la EWTD) con una aggiuntiva retribuzione economica legata al disagio di lavorare di notte o nei giorni festivi. In questo modo viene riconosciuto un diverso peso economico a specialità che presentano carichi di lavoro più gravosi nella turnistica.

Anche la progressione di carriera si articola in passaggi più serrati: in Francia ogni due anni si supera uno scalino economico, in Spagna sono presenti 5 livelli di anzianità, in Slovenia si accumulano punti ogni anno e ogni 3 anni si passa ad uno scaglione economico successivo. Insomma, un’articolazione più ricca rispetto ai meri 5 e 15 anni del sistema italiano. In Olanda non esiste un percorso di carriera codificato: ogni medico ha la possibilità di sviluppare e decidere in accordo con i propri interessi. Vi è un attento monitoraggio sull’aggiornamento continuo in medicina al fine di mantenere sempre aggiornate e allenate le proprie capacità. Sarà per questo che spingono fortemente verso una standardizzazione europea del Continuous Professional Development e una registrazione elettronica del percorso formativo che parta dagli anni di specializzazione per terminare alla pensione? Anche i giovani medici della European Junior Doctors sostengono questa evoluzione culturale e tecnologica per omologare il percorso formativo a livello europeo e rendere più semplice il movimento di professionisti medici all’interno dell’Europa. Probabilmente questo diverrà un passaggio obbligato al riconoscimento della tessera professionale europea anche per i medici.

In tema di responsabilità professionale, il crescente numero di contenziosi è un problema trasversale a tutti i paesi europei. Solo la Germania sembra, al momento, non riferire preoccupazioni in tal senso. Per una popolazione di 82.5 mln di abitanti, nel 2015 ha riportato circa 40.000 richieste di risarcimento. L’85% di queste è risolto a livello assicurativo con premi assicurativi non elevati. Il restante 15% trova una soluzione tramite i centri di mediazione, gestiti da medici ed avvocati, e solo una minima quota si rivolge ad un giudice.

A togliere risorse alla sanità italiana sono anche i fenomeni di corruzione valutati, sia pure con molta cautela, in almeno 6 mld di euro. Condividiamo questo problema con paesi quali Lituania, Ungheria, Portogallo, Bulgaria, Croazia (per citarne solo alcuni) mentre UK e Olanda si fanno forti di un rigido codice etico e comportamentale, regolato dal locale ordine dei Medici, che definisce gli standard minimi di comportamento per ogni medico e che prevede la revoca della licenza in caso di comportamenti che tradiscano il codice etico.
 
Una survey condotta dalla EJD attribuisce le possibili cause della corruzione alla lunghezza delle liste di attesa, ad un salario non soddisfacente, ad un atteggiamento culturale ma soprattutto alla presenza invasiva della politica nel sistema sanitario dei paesi in questione. Sarà un caso se l’Olanda, che ha allontanato i politici dai processi decisionali in sanità, coinvolgendo invece personale sanitario (medici, infermieri e gli altri operatori) e cittadini, risulta il primo paese nella European Health Consumer Index da ormai tre anni mentre la Bulgaria o il Montenegro, il cui governo volontariamente tiene lontano i medici da qualunque problema decisionale, si attestano dopo la 30a posizione nella graduatoria?

Ho molto apprezzato la dichiarazione di Katrin Fjeldsted, CPME past president, che ha ricordato che i medici sono la categoria professionale più onesta che abbia mai incontrato nella sua lunga carriera, sia medica che politica. Sarà perché quelle del giuramento di Ippocrate sono le prime parole che recitiamo nel momento in cui siamo dichiarati medici?
L’Europa ci presenta una ampia varietà di scenari in sanità. L’Italia può decidere se investire e tornare ad avvicinarsi ai virtuosi modelli dei paesi del Nord o proseguire nella destrutturazione di risorse e diritti per allinearsi con i Paesi dell’Est, consapevole dei problemi che si troverà ad affrontare: migrazione sanitaria, peggioramento della qualità dell’assistenza erogata, peggioramento degli indicatori di salute, aumento delle diseguaglianze, solo per citarne alcuni.

Il 9 maggio si è celebrata la Festa dell’Europa. Una festa difficile data l’eterogeneità di realtà geografiche, culturali ed economiche. Chiediamoci, noi Italiani, quale Europa vogliamo essere.

Alessandra Spedicato
Vice Coordinatore Nazionale Anaao Giovani

16 maggio 2016
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