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La manifesta responsabilità della classe politica italiana sulla carenza dei medici

di Giovanni Leoni

23 MAR - Gentile Direttore,
nel 2018 sono state 67.005 per 9.779 posti disponibili le domande di accesso ai test di ingresso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, una selezione importante con una proporzione tra posti disponibili e numero di iscritti alla prova di ingresso di medicina ancora molto bassa, la concorrenza quindi altissima. 
 
Sul fronte della specializzazione nel 2014 si sono iscritti 12.168 candidati a fronte di 5.504 posti totali; nel 2015 si sono iscritti 13.188 candidati a fronte di 6.363 posti; nel 2016 si sono iscritti 13.802 candidati a fronte di 6.725 posti; nel 2017 si sono iscritti più di 15.000 candidati a fronte di 6676 posti. Nel 2018 16 mila laureati si sono presentati all’esame di ammissione.
 
Come è noto le borse assegnate continuano ad essere insufficienti, perché inferiori a quelle stabilite dagli Accordi Stato-Regioni che per il 2018 ha indicato il numero di 8.569. Quelle decretate dal Miur il 12 luglio 2018 scorso sono state 6.934, con 1.635 in meno (-24%). 
 
Questo determina un preoccupante “imbuto formativo” evidenziato dal Presidente dell’Intercollegio di Area medica, Andrea Lenzi, secondo cui occorrerebbe che da Miur, ministero della Salute e ministero dell’Economia e Finanze (Mef) arrivasse una copertura economica appropriata per garantire l’accesso di un numero di candidati adeguato, considerato l’aumento degli stessi rispetto alle altre edizioni dei concorsi.
 
Tutto questo per sottolineare che le condizioni che hanno portato alla carenza di specialisti che sta arrivando agli onori della stampa sempre più di frequente con titoli e spazio sempre più ampi è ben noto da anni agli addetti ai lavori che non hanno minimamente cambiato la loro posizione. Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, Ministero dell’Economia e Finanze hanno cambiato il colore politico ma non l’atteggiamento nella pratica e quindi hanno responsabilità equamente condivise in questa realtà di carenza di personale medico specializzato.
 
Questa condizione era inoltre ampiamente prevedibile e deriva allo stato solo dal normale pensionamento dei colleghi in servizio con la legge Fornero a fronte di un rallentamento importante del ricambio generazionale del personale. Quota 100 infatti deve ancora entrare in azione con effetti potenzialmente aggiuntivi e negativi al già grave problema.
 
La Regione Veneto resta a tutt’oggi l’unica regione italiana con un deficit di 1300 medici su dati certificati su circa 8000 medici dipendenti teorici in servizio. Non ci sono dati per il resto del territorio nazionale che potrebbe avere carenze analoghe.
 
Il servizio all’utenza svolto in deficit di personale è stato realizzato con migliaia di ore di servizio straordinario prestate dai medici dipendenti e mai recuperate come pure sarebbe possibile a livello teorico, con pacchetti di ore extra in libera professione di equipe, concordato per guardie e ambulatori e sale operatorie aggiuntive sempre a carico delle stesse persone, tutto sempre in aggiunta al normale servizio istituzionale e senza ipotesi di inversione di tendenza, anzi virando al peggio.

Oltre le 250 ore di straordinario in servizio le ore aggiuntive non sono più possibili e non vengono remunerate per regole contrattuali in teoria a tutela del lavoratore, le ore accumulate a fine anno, a volte parecchie centinaia per singolo medico, vengono semplicemente azzerate (ma non cancellate): questo a tutto vantaggio delle amministrazioni ed a detrimento dei medici, in pratica il danno e la beffa. L’alternativa è una causa per il recupero di un lavoro comunque svolto semplicemente perché era impossibile non farlo.
 
Questo è un passaggio fondamentale per sottolineare lo sforzo prestato nel tempo dei nostri colleghi per dare risposta alle continue richieste dei cittadini in tempi di minori risorse umane.
 
Si deve sottolineare anche in tale occasione che la libera professione non ha rapporti né influisce con l’attività di servizio ordinario ed è praticata da una assoluta minoranza dei medici ospedalieri fuori orario istituzionale nel loro tempo libero.
 
Nell’immediato il congruo aumento della borse di studio a livello nazionale, la garanzia di un percorso completo per chi ha superato il test di ammissione con la garanzia del numero adeguato di posti per la specializzazione o il triennio formativo per i medici di medicina generale sono alla base dell’evoluzione della sanità italiana riguardo alla classe medica.
 
Sempre nell’immediato sarebbe auspicabile l’impiego sistematico degli specializzandi degli ultimi anni negli ospedali riconosciuti a supporto delle carenze di organico.
 
Sarebbe la soluzione più diretta previo aumento di quelli all’ingresso al primo anno per garantire la continuità di servizio e di ricerca a livello delle Università. Esistono già convenzioni operative da molti anni fra Università ed Ospedali con rotazione semestrale degli specializzandi per la parte clinica, con incardinamento per lezioni e status a livello universitario.
 
Attendiamo soluzioni adeguate perché la tutela dei nostri ragazzi neolaureati sia reale nel garantire specializzazione e posto di lavoro nel loro paese senza trasformali in emigranti intellettuali.
 
Lo attendono i cittadini italiani che progressivamente si stanno rendendo conto che senza medici molti reparti dovranno essere chiusi per unire gli organici residui e fare delle dure scelte organizzative.
 
Appare difficile sopperire con medici stranieri in quanto l’Italia non è attrattiva per stipendi e condizioni di lavoro rispetto al resto d’Europa, l’importazione di medici extracontinentali, ammesso e non concesso che ci sia la volontà personale, appare molto difficile per la necessità di un adeguato riconoscimento del corso di studi che deve essere omogeneo a quello della Comunità Europea.
 
Questo è l’ennesimo articolo sull’argomento negli ultimi anni, la situazione peggiora e come rimedio sentire proporre riassunzioni di pensionati nel servizio pubblico ed ipotetici reclutamenti di colleghi esteri e’ profondamente avvilente.
 
Tirare fuori i soldi per le borse di studio resta un tabù neanche da nominare per chi di dovere.
 
Tanto si doveva per opportuna conoscenza.
 
Dott. Giovanni Leoni  
Segretario Cimo Regione Veneto 

23 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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