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Il Pnrr e le infezioni ospedaliere

di Claudio Maria Maffei

12 MAG - Gentile Direttore,
grazie a Quotidiano Sanità, che ha messo a disposizione il documento con le schede tecniche in inglese sulla Mission 6 sulla salute del Pnrr, è possibile adesso farsi una idea più precisa sugli investimenti previsti e sulle loro motivazioni. Tra i tanti punti meritevoli di una discussione ce n’è uno che è rilevante in sé per le sue dimensioni  e significato ed è rilevante perché documenta in modo inquietante i limiti culturali di alcuni passaggi del Pnrr: si tratta delle “infezioni ospedaliere”.
 
Un programma di formazione sulle infezioni ospedaliere rappresenta infatti uno dei quattro  item dell’investimento 2.2 all’interno della linea progettuale “Innovazione. Ricerca e Digitalizzazione del SSN”, investimento che nella versione italiana definitiva del Pnrr è indirizzato allo  sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario.  Purtroppo in questo caso le schede tecniche in inglese cui facevo riferimento prima poco aggiungono a quello che troviamo nel Pnrr.
 
Si tratta di un intervento  formativo destinato a 293.000 operatori da raggiungere tra il 2022 e il 2024 con un costo unitario di 300 euro per un totale complessivo di 88 milioni di euro circa. I 293.000 operatori corrispondono al 60% stimato degli operatori che lavorano in ospedale, il che fa pensare ad una ipotesi di immunità formativa di gregge nei confronti delle infezioni ospedaliere.
 
L’impatto economico di questo  Progetto formativo dentro le cifre complessive della Mission 6 del  Pnrr è dunque limitato, ma ciononostante suscita molte perplessità. Non certo per le dimensioni del fenomeno, perché le “infezioni ospedaliere” (tra un attimo spiego l’uso ripetuto delle virgolette al loro riguardo) come già ricordato sono un problema dai costi sanitari e sociali molto alti e sono tradizionalmente un indicatore importante di qualità dell’assistenza.
 
Le perplessità nascono dal fatto che di “infezioni ospedaliere” non parla più nessuno essendo ormai invalso nell’uso il termine molto più appropriato di “infezioni correlate all’assistenza” o di “infezioni nelle organizzazioni sanitarie”. Il motivo di tale passaggio sta nel fatto che ormai le infezioni contratte in rapporto alla assistenza ricevuta nelle organizzazioni sanitarie riguardano tutti i livelli assistenziali. Il bello (si fa per dire) è che lo stesso Ministero della Salute ha una pagina dedicata alle infezioni correlate alla assistenza.
 
Copio l’incipit di questa pagina: “Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono infezioni acquisite che costituiscono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria e possono verificarsi in ogni ambito assistenziale, incluso gli ospedali per acuti, il day-hospital/day-surgery, le strutture di lungodegenza, gli ambulatori, l’assistenza domiciliare, le strutture residenziali territoriali.
 
C’è fra l’altro in Italia una attivissima Società Scientifica, la SIMPIOS (Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie), che si dedica a questo tema. Una idea di quanto siano frequenti le infezioni correlate alla assistenza, a solo titolo di esempio, nelle strutture residenziali rispetto a quelle in ospedale ce li danno due studi condotti nel biennio 2016-2017 in molte Regioni/Province autonome italiane - coordinate dalla Regione Piemonte nell'ambito di un progetto affidato alla Regione Emilia-Romagna e finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, Ministero della Salute. Si tratta di due studi di prevalenza, di cui uno condotto negli ospedali per acuti (PPS2) e un altro nelle strutture sociosanitarie residenziali (HALT-3).
 
Lo studio di prevalenza italiano sulle infezioni correlate all’assistenza e sull’uso degli antibiotici negli ospedali per acutiè stato condotto nel periodo di ottobre-novembre 2016 con la partecipazione di 135 ospedali da 19 Regioni/Province autonome per un totale di 28.157 pazienti arruolati. Da questi è stato selezionato un campione di 56 strutture, che comprendeva un totale di 14.773 pazienti, rappresentative del paese. La prevalenza di pazienti con almeno una infezione correlata all'assistenza è stata dell’8%, mentre la prevalenza osservata di pazienti con almeno un trattamento antibiotico è stata pari a 44,5%.
 
Lo studio HALT-3 sulle strutture sociosanitare residenziali è stato condotto invece nel periodo aprile-maggio 2017. Su base volontaria, hanno partecipato 418 strutture da 14 Regioni italiane per un totale di 24.132 ospiti inclusi. Nel giorno dello studio, la prevalenza di ospiti con almeno una infezione correlata all’assistenza è stata del 3,9% (941 ospiti). La prevalenza osservata di ospiti in trattamento antibiotico è stata pari al 4,2% (1.022 ospiti).
 
Quindi l’immunità formativa di gregge nei confronti delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) non si può limitare al solo ambiente ospedaliero. Su come garantire in tema di lCA l’immunizzazione formativa degli operatori e su quale sia il rapporto tra questa misura e le altre misure nei confronti del problema non entro nel merito. Ci saranno altri che autorevolmente potranno dare suggerimenti.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On

12 maggio 2021
© Riproduzione riservata

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