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Arriva la valutazione nazionale degli esiti delle cure


Le prime sorprese: la Campania non è più “maglia nera” per i cesarei
Istituita presso l’Agenas una nuova task force. Si chiama “Programma nazionale esiti” e alla sua direzione scientifica è stato chiamato l’epidemiologo Carlo Perucci che, in questa intervista esclusiva a “quotidianosanità.it”, anticipa obiettivi e metodi del nuovo sistema. E non mancano le sorprese… di Ester Maragò e Lucia Conti

25 MAG - “Stavolta si fa sul serio e presto avremo dati accurati e puntuali con indicatori selezionati e coerenti e in grado di valutare ogni singolo aspetto delle attività sanitarie”. Non ha dubbi il professor Carlo Perucci, appena nominato direttore scientifico del Programma nazionale esiti dell’Agenas, che abbiamo intervistato all’indomani della sua nomina avvenuta il 17 maggio scorso: “il monitoraggio e la valutazione degli esiti delle cure e delle prestazioni erogate dai servizi sanitari saranno finalmente realtà anche in Italia”.
Tutto nasce dalla nuova task force voluta dal Ministro Fazio e istituita presso l’Agenas, che avrà il compito di sviluppare le attività di valutazione comparativa degli esiti nel Ssn nell’ambito delle funzioni di valutazione del Ssn.

Professore Perucci, è la prima volta che a livello nazionale si parla di valutazione degli esiti delle cure e delle prestazioni erogate dal Ssn.
Si. Abbiamo finalmente intrapreso la via già sperimentata con successo dai paesi anglosassoni. E cioè quella di misurare con indicatori selezionati e coerenti le reali capacità di risposta assistenziale delle strutture. Gli esiti delle cure, per l’appunto. È un programma che procede sul solco di positive esperienze già realizzate in molte Regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Toscana ed anche Lazio, con il programma P.Re.Val.E., che ho avuto l’opportunità di coordinare in questi anni

Sapremo quindi tutto dei nostri ospedali, così da scegliere dove andarci a curare?
Al momento non prevediamo l’accesso universale ai dati. Prima abbiamo bisogno di  mettere in linea tutte le conoscenze sin qui acquisite per la valutazione delle performance del sistema sanitario, prendendo il meglio da ognuna delle esperienze allo scopo di valutare ogni singolo aspetto delle attività sanitarie. Quindi per il momento i dati saranno montati su una piattaforma web e resi accessibili esclusivamente con username e password ad uso esclusivo di un tavolo tecnico che il Ministero istituirà con le Regioni. Ma l’obiettivo è certamente quello di rendere questi dati accessibili a tutti perché, come dimostrano le esperienze americana e britannica, la “pubblic disclosure” della valutazione degli ospedali innesca una competizione virtuosa tra i medici.

Virtuosa?
Senz’altro. Guardi cosa è successo con i cardiologi del Lazio: dopo la diffusione della valutazione nel programma  P.Re.Val.E., si è aperta una fase di audit clinico e organizzativo per individuare sia i fattori che determinano le eccellenze, per estenderli, sia quelli che causano criticità, per modificarli. Nella maggior parte dei casi però, in Italia, queste informazioni restano sulla scrivanie degli assessori, e non vengono utilizzate per indurre il sistema a competere. Mi aspetto ora un cambio di atteggiamento stimolato dal confronto tra Regioni e Governo sui dati che emergeranno grazie al Programma nazionale esiti. Certamente ospedali ed Asl con risultati non soddisfacenti riceveranno una bella scossa.

La decisione di rendere disponibili i dati anche per i cittadini da chi dipende?
Dalla politica. Se in questo Paese c’è una parola poco amata, da destra e da sinistra, è la parola competizione. La competizione, con una regolazione efficace e trasparente, può indurre a una maggiore efficacia e a una maggiore equità dell’offerta.

A questo proposito i dati sulla mobilità suggeriscono già qualcosa …
La mobilità interregionale non deve essere letta necessariamente come un fenomeno negativo e dipende anche dalle caratteristiche territoriali ed urbanistiche di ciascuna Regione. La mobilità di confine può benissimo essere considerata fisiologica: un cittadino che abita ai confini del Lazio può benissimo rivolgersi a strutture più vicine a lui, come quelle in Toscana. La mobilità va smitizzata e pensata per bacini non per confini regionali. Ben venga, per i cittadini, inoltre, la possibilità di recarsi verso centri di eccellenza di altre Regioni piuttosto che farsi curare in strutture regionali che non offrono garanzie di efficacia, ad esempio per l’esiguo volume di attività. Se devo sottopormi ad un intervento di cardiochirurgia non mi rivolgo a una struttura che esegue meno di 200 interventi di bypass all’anno solo perché è nella mia Regione. Anche perché quel tipo di strutture che non dovrebbero nemmeno essere accreditate, quindi meglio spostarsi.

Quando si avranno i primi risultati della nuova task force?
Prestissimo. A giugno Fulvio Moirano, direttore di Agenas, consegnerà al Ministro e alle Regioni i risultati nazionali basati su una lista di indicatori, già sviluppati nei programmi nazionali Mattoni e Progressi con l’Iss, che abbracciano il periodo dal 2003 al 2008. Dati simili a quelli già pubblicati con il programma P.Re.Val.E., ma arricchiti dagli avanzamenti metodologici suggeriti soprattutto dalle esperienze della Lombardia e dell’Emilia Romagna, e ricavati dal Sistema informativo del ministero della Salute. Riguarderanno tutti gli ospedali e le Asl di Italia. Non saranno quindi stime di confronto tra una Regione e l’altra, ma tra tutte le strutture ospedaliere italiane e le Asl, responsabili della committenza. E questo è l’aspetto importante: per la prima volta sarà possibile conoscere, con una metodologia accurata, gli effetti sulla salute dei servizi ospedalieri in Italia. Le posso anticipare infine che, grazie al supporto del Ccm del ministero della Salute e al forte incoraggiamento del Ministro Fazio, l’Agenas, assieme ad alcune Regioni, sta già lanciando una nuova parte del Programma nazionale esiti, che affronterà i temi della valutazione comparativa della cura dei tumori e delle cure primarie.

Torniamo al lavoro che la impegna più direttamente in questi giorni, quello del monitoraggio degli esiti delle cure ospedaliere. Ci sono novità rispetto alle esperienze già realizzate?
La metodologia utilizzata è stata affinata rispetto ai precedenti sistemi, sui quali è stato possibile apportare alcune correzioni maturate anche grazie al confronto con i colleghi clinici.

E i famosi “bersagli”?
Rispetto ai “bersagli”, elaborati dai colleghi del sant’Anna di Pisa, cambia soprattutto il tipo di indicatori e anche la stessa valutazione dei dati monitorati. Nei “bersagli” si assume che ciascun indicatore abbia lo stesso valore di un altro, assunzione che non rappresenta il valore relativo delle diverse attività sanitarie ma del loro insieme, dando luogo a una sorta di indicatore unico sintetico e generale che però non consente la valutazione su ogni singolo aspetto delle attività ospedaliere. Noi lavoreremo proprio su quest’ultimo elemento mirando soprattutto agli esiti finali del lavoro dei medici e della struttura per ogni singola tipologia di intervento.

Lei osserva il sistema da decenni. Ci conferma la visione ormai accreditata di un’Italia della sanità divisa in due?
L’Italia più che divisa in due è frammentata. E il dato più eclatante non è tanto quello delle differenze regionali, che per altro già conosciamo, quanto quello delle divergenze tra le strutture appartenenti spesso allo stesso territorio come abbiamo evidenziato in alcune rilevazioni recenti.

E cioè?
Ad esempio alcune osservazioni riguardano i cesarei e gli interventi al femore entro le 48 ore, per i quali abbiamo utilizzato indicatori differenti da quelli che vengono maggiormente conosciuti. Mi spiego meglio. Il tasso dei cesarei in Italia viene calcolato sulla base di tutti i cesarei effettuati, quindi anche quelli ripetuti: in Italia una donna che ha avuto un precedente cesareo ha una probabilità media, peraltro non completamente giustificata, superiore al 90% di avere un altro cesareo al parto successivo. Avviene nella stragrande maggioranza dei casi, con le uniche eccezioni della provincia di Trento e del Friuli dove il 15% delle donne partorisce con un comune parto vaginale anche dopo un cesareo. Se stimiamo la proporzione di cesarei tra tutti i parti otteniamo così un tasso del 39%, ma se invece il calcolo viene fatto solo sui parti cesarei “primari”, tra le donne cioè che non hanno avuto un precedente cesareo, la percentuale media nazionale è del 29%.

Questo cambia profondamente il confronto regionale?
Assolutamente sì. Tant’è che la Campania da sempre maglia nera, vede ridurre la sua proporzione di cesarei e si posizione con il 36% dei cesarei dietro a Abruzzo (40%), Sicilia e Calabria (39%), ma anche dopo la Puglia (38%), e addirittura quasi al pari della Liguria (35%).
La stessa cosa accade per gli interventi al femore entro le 48 ore: il calcolo non deve essere effettuato sul numero di interventi eseguiti, ma su quello dei pazienti con frattura del femore ricoverati nella struttura. Solo così abbiamo la reale dimensione del numero di casi non operati. Sono stati recentemente diffusi dati sul trattamento delle fratture del femore che calcolano l’indicatore di valutazione come proporzione di interventi eseguiti entro 72 ore sul totale degli interventi. Al di là dell’errore nel considerare le 72 e non le 48 ore, come indicato dalle linee guida cliniche, questo indicatore produrrebbe il paradosso di giudicare eccellente un ospedale che eseguisse l’intervento chirurgico solo nel 10% delle persone con frattura del femore, ma sempre entro le 48 ore!

Avete elaborato anche dati su singole strutture?
Sì e da essi emergono molte sorprese.

Ad esempio?
Emerge che al top delle strutture con le migliori perfomance sul fronte dei cesari primari c'è un ospedale in provincia di Milano con il 3% di tasso aggiustato e che al secondo (questa è una vera sorpresa!) troviamo una struttura della provincia di Napoli, con un tasso del 3,5%. Un fiore all’occhiello di un’area che ha performance mediamente basse, con punte dell’87%. Tra le dieci migliori strutture, per ridotto tasso di parti cesarei primari, ci sono certamente 5 ospedali della Lombardia, ma anche tre della Campania. I confronti tra ospedali vanno fatti su base nazionale, come su base nazionale dovrebbe essere promossa una competizione regolata virtuosa per migliorare i risultati di salute di tutti i servizi sanitari.

Lei parla giustamente di risultati di salute. Ma non pensa che, alla fine, si guardi sempre e comunque solo ai risultati di tipo economico?
Credo che gli indicatori di esito vadano costruiti, stimati e diffusi principalmente in relazione alle conoscenze mediche e cliniche, con l’obiettivo di attivare processi di audit clinico per migliorare la cura delle persone. Gli ospedali, i servizi sanitari, non sono “aziende” qualunque, il loro prodotto finale non sono “prestazioni”, ma guadagni di qualità e quantità della vita dei pazienti. Ed è rispetto a “questi” obiettivi di produzione, vanno quindi valutati e indotti a competere.


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25 maggio 2010
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