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Malattie rare. L’impegno dei pazienti porta risultati

di Cristina Da Rold

Dall’esperienza di una famiglia italiana “di persone normali”, il messaggio di fiducia per tutti i malati sofferenti di patologie rare: la strada è in salita, ma la consapevolezza può aiutare a percorrerla

17 LUG - Fino al 2012 l’emiplegia alternante, una malattia rara dello sviluppo neurologico che colpisce 1 bambino su 111.111 nei 18 mesi di vita, poteva essere diagnosticata solo con metodo clinico, cioè esaminando i sintomi del paziente e procedendo per esclusione: se tutti gli esami per la diagnosi di altre malattie associate a quei sintomi erano negativi, allora probabilmente si trattava di emiplegia alternante.
 
Nel 2012 finalmente arriva il momento di svolta. Viene scoperto il gene mutato responsabile della malattia, grazie a una collaborazione internazionale Usa, Francia, Olanda e Italia: la mutazione responsabile si trova nel gene atp1a3 che codifica una proteina con funzione di pompa ionica sodio-potassio a livello neuronale.
 
Fino a qui pare una storia normale quella raccontata nell’ultimo approfondimento di Forward, il progetto che il Dipartimento di Epidemiologia del SS della Regione Lazio conduce da due anni insieme a dieci importanti aziende farmaceutiche: una storia simile a quella di molte altre malattie. Dopo anni di ricerca si riesce a capire finalmente qual è la sua causa.
 
E invece questa storia – la storia di Alberto e dei suoi genitori, in particolare di sua madre Rosaria – è una storia straordinaria. Se nel luglio del 2012 si è arrivati finalmente a scoprire il gene responsabile i questa malattia rara, il merito è delle associazioni di pazienti, fra cui quella italiana fondata da Rosaria, che da decenni non smettono di combattere per mandare avanti la ricerca sull’emiplegia alternante.
 
In Italia è iniziato tutto nel 1998, con un primo incontro proprio in casa di Rosaria riunendo pazienti con la stessa diagnosi del figlio, che ha portato un anno dopo alla nascita dell’Associazione italiana sindrome di emiplegia alternante (Aisea), formata da sette famiglie e da un comitato scientifico. Nel 2001, a Perugia, si tiene il primo meeting organizzato dall’associazione che vede per la prima volta confrontarsi famiglie, medici e ricercatori, su una malattia di cui ancora si sa poco, e due anni dopo, siamo nel 2003, viene organizzato il primo meeting internazionale.
 
Nel frattempo Rosaria e l’associazione mettono insieme una prima biobanca per la malattia e inizia ad attivarsi per raccogliere i fondi necessari per quello che rimaneva il principale ostacolo: finanziare la ricerca sulla causa della malattia. E ancora una volta è la cooperazione internazionale fra genitori a fare la differenza.
 
“In Austria, una mamma aveva ottenuto dei finanziamenti dal Sesto programma quadro dell’Unione europea per costruire un registro europeo coinvolgendo i centri clinici e genetici di nove nazioni tra cui l’Italia e – per la prima volta – anche le associazioni di pazienti, la nostra e la sorella francese” racconta Rosaria. “Nel giro di tre anni abbiamo raccolto i dati completi di 160 pazienti in Europa: un successo incredibile considerato che l’emiplegia alternante ha una prevalenza di un caso su un milione di persone. Eravamo nel 2005-2007 e non era mai stato fatto nulla di simile per nessun’altra malattia rara.”
 
Gli sforzi dei pazienti portano risultati: l’associazione, che nel frattempo era cresciuta, riesce a costruire un consorzio europeo con i genetisti italiani, francesi e olandesi con l’obiettivo di sequenziare l’esoma dei pazienti, unica strada per capire quale fosse il gene che conteneva la mutazione responsabile della malattia. Grazie ai contatti che avevano allacciato negli anni addietro, alcuni ricercatori della Duke University negli Stati Uniti, che stavano conducendo una ricerca su 8 pazienti, hanno interpellato Rosaria ed è nato un progetto internazionale tra centri clinici e laboratori genetici. “In questo modo, grazie alla nostra biobanca siamo riusciti a screenare 105 pazienti, di cui 35 italiani, numeri che hanno permesso di individuare la mutazione nel gene atp1a3.”
 
“Gli interessi nella ricerca contro le malattie rari sono scarsi, sia da parte delle aziende farmaceutiche, sia degli organismi internazionali, che difficilmente pubblicano bandi per la ricerca di base sulle malattie rare, eventualmente lo fanno per le fasi finali, quando la cura è ormai a portata di sguardo, mentre a noi servono fondi per avviare le prime ricerche, per smuovere le acque. Serve dunque indipendenza, creare consorzi dove siano rappresentati equamente tutti i portatori di interesse, pazienti compresi. A questo proposito stiamo lavorando al primo registro indipendente sull’emiplegia alternante”.
 
Anche dopo il 2012 le mamme e i papà di questi ragazzi non si fermano. Nel 2014 decolla il consorzio internazionale Iahcr che riunisce centri clinici e laboratori di ricerca genetica e molecolare impegnati nella ricerca e nella cura dell’emiplegia alternante e di tutte le malattie rare del gene atp1a3, e il progetto di costruire un cloud per la condivisione dei dati degli studi multicentrici. Insieme al gruppo di informatica dell’Istituto Iemest di Palermo, Rosaria oggi sta sviluppando la piattaforma Iahcrc-Cloud per la raccolta e la condivisione dei dati degli studi multicentrici realizzati dal consorzio.
 
“Il messaggio più importante che mi sento di divulgare è che noi eravamo e siamo persone normali, come lo è la maggioranza dei genitori di figli con malattie rare” afferma Rosaria. “Ci siamo impegnati, imparando ogni giorno cose nuove e mettendoci in gioco su una serie di attività che non facevano parte del nostro mestiere. E siamo riusciti a cambiare le cose, accelerando un processo di ricerca che forse altrimenti non si sarebbe mai strutturato.
 
Oggi Alberto ha 25 anni, è impiegato in una cooperativa che accoglie persone con difficoltà e dà loro la possibilità di lavorare e sentirsi attivo. Ma la strada, per un giovane con una malattia rara invalidante come quella di Alberto e per la sua famiglia è sempre in salita, attanagliata dalla domanda sul “dopo”, dalla precarietà dell’offerta assistenziale che un anno c’è e l’anno dopo chissà.
 
Ma soprattutto restano ancora tante le battaglie sul fronte della burocrazia. “Nonostante da marzo 2017 siano entrati in vigore i nuovi LEA che hanno riconosciuto 109 nuove malattie rare fra cui la nostra, sebbene in 16 anni dagli ultimi LEA le nuove malattie rare individuate siano oltre 1000, ad oggi Alberto non ha ancora l’esenzione a cui avrebbe diritto.”
 
Insomma, i farmaci Rosaria e suo marito continuano a pagarseli come hanno fatto negli ultimi 25 anni. “So che alcuni pazienti l’hanno ottenuta, ma noi e altre famiglie no, ed è solo l’ultimo esempio di una disparità da regione a regione di cure, possibilità, attuazione delle leggi.”
 
Cristina Da Rold
Giornalista scientifica

17 luglio 2018
© Riproduzione riservata

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