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L'appropriatezza prescrittiva


24 SET - Una prescrizione farmacologica può essere considerata appropriata se effettuata all’interno delle indicazioni cliniche per le quali il farmaco si è dimostrato efficace e all’interno delle sue indicazioni d’uso (dose e durata del trattamento). Qualsiasi monitoraggio del consumo di medicinali non può prescindere dall’analisi dei profili di appropriatezza d’uso dei medicinali attraverso l’individuazione di indicatori idonei a sintetizzare sia le scelte prescrittive del medico, sia le modalità di utilizzazione del farmaco da parte del paziente.
A riguardo, nella sezione 4 del Rapporto, oltre ai dati epidemiologici sulle principali malattie croniche in Italia, sono descritti gli indicatori relativi alla prescrizione nell’ambito della medicina generale e nell’ambito della prescrizione specialistica dei medici diabetologi. Infine, il Rapporto introduce il monitoraggio dei profili di utilizzazione dei medicinali sia in funzione delle caratteristiche geografiche, demografiche e cliniche del paziente, sia in funzione dell’aderenza al trattamento.
 
Farmaci per la prevenzione del rischio cardiovascolare
Le malattie cardiovascolari rappresentano in Europa la maggiore causa di decesso: il 43% sono uomini ed il 55% donne. In Italia l’onere finanziario per il Servizio Sanitario Nazionale dovuto ai costi sanitari, alla produttività persa e alle cure informali equivale ad un costo pro capite di 293 euro all’anno, pari a circa il 15% della spesa sanitaria complessiva nazionale. Tuttora si stima che circa l’80% degli eventi cardiovascolari che insorgono prima dei 75 anni è prevenibile. L’ipertensione arteriosa rappresenta il più importante fattore di rischio per le malattie coronariche, ictus celebrale, scompenso cardiaco ed insufficienza renale.  Pertanto il controllo della pressione arteriosa rappresenta uno dei più importanti obiettivi della prevenzione del rischio cardiovascolare che si raggiunge con un adeguato e continuativo trattamento antiipertensivo.
Dalle analisi contenute nel Rapporto, emerge che in Italia il 27% della popolazione assistibile in carico ai Medici di Medicina Generale, pari a circa 16 milioni di italiani, risulta affetto da ipertensione. La maggior parte (circa 10 milioni, pari al 64,7% degli ipertesi) di questi italiani è affetto esclusivamente da ipertensione arteriosa, e di questi poco meno di 8 milioni assume antiipertensivi.
L’analisi dei dati ASL mostra che in poco più della metà dei pazienti (53,7%) il trattamento antipertensivo viene assunto con continuità (bassa aderenza); sebbene questo indicatori evidenzi un andamento negli ultimi anni che si muove nella direzione dell’appropriatezza. L’analisi geografica evidenzia una certa variabilità tra le diverse aree, con una minor livello di aderenza al Sud (50,8%) rispetto al Nord (54,2%) e Centro (55,3%). Si rilevano minime differenze di genere, con gli uomini che evidenziano una maggiore aderenza (55,5%) rispetto alle donne (52,3%). Si conferma il pattern di una crescente aderenza alle terapia antipertensiva al crescere dell’età, nei pazienti politrattati e in quelli con pregresso evento cardiovascolare o diabete.
 
Farmaci per la depressione
Alcuni recenti studi internazionali” commenta il Prof. Pani“indicano che nel 2020 la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute. Ed inevitabilmente gli antidepressivi rappresentano ad oggi una delle principali componenti della spesa farmaceutica pubblica. Nell’ultimo decennio il consumo di antidepressivi è cresciuto in maniera drammatica: da una parte, per l’aumentata prevalenza di depressione ed altri disturbi psichiatrici di comune riscontro nella popolazione generale, quali ansia ed attacchi di panico; dall’altra, per la maggiore maneggevolezza di altri antidepressivi di recente commercializzazione e degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). La prevalenza di depressione è più alta nelle donne rispetto agli uomini ed aumenta in maniera rilevante all’aumentare dell’età, con un picco vicino al 15% negli ultra 75enni, valore probabilmente sottostimato a causa dei casi di depressione frequentemente non diagnosticati in età avanzata.
 
Indipendentemente dall’antidepressivo utilizzato (SSRI o antidepressivi triciclici), le linee guida raccomandano un trattamento di almeno 6 mesi nei pazienti affetti da depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva a cui si attribuisce gran parte dei costi economici e sociali della depressione. Precedenti studi osservazionali hanno tuttavia dimostrato che quasi il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende il trattamento nei primi tre mesi di terapia ed oltre il 70% nei primi 6 mesi.
Dai dati epidemiologici provenienti dalla Medicina Generale emerge che la depressione maggiore risulta colpire il 12,1% della popolazione assistibile (pari circa a 7,2 milioni di italiani), di cui solo il 34,9% assume farmaci antidepressivi.
I dati provenienti dai Database amministrativi delle ASL mostrano che nel 2011 la percentuale di pazienti aderenti risulta solo del 37,7%, sebbene in lieve aumento rispetto agli anni precedenti (+4,2% rispetto al 2010).
Il livello di aderenza risulta inferiore al Sud (29,5%) rispetto al Nord (40,0%) e al Centro (39,7%). Le donne (38,3%) mostrano livelli di aderenza leggermente più elevati rispetto agli uomini (36,2%). Analogamente ad altre categorie di farmaci, l’aderenza migliora all’aumentare dell’età: 32,6% nella fascia d’età inferiore o uguale ai 45 anni; 36,7% tra 46 e 65 anni; 40,2% tra 66 e 75 anni; 41,9% nella fascia d’età superiore ai 75 anni.
Si registra una percentuale pari al 25,8% di pazienti trattati con farmaci antidepressivi occasionali rispetto al totale dei pazienti trattati. I pazienti con uno uso occasionale dei farmaci antidepressivi sono maggiormente concentrati nelle fasce d’età più giovani (con età inferiore ai 45 anni: 30,9%) e negli uomini (27,8%) rispetto alle donne (24,9%). Vi è una discreta variabilità geografica con le percentuali maggiori al Sud (32,2%), rispetto al Nord (23,2%) e al Centro (25,1%).
 
Farmaci per i disturbi ostruttivi delle vie respiratorie
L’asma e la bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) rappresentano un importante problema di sanità pubblica. La BPCO rappresenta la quarta causa di morte a livello mondiale ed è in costante ascesa tra le cause di morbosità riconosciute dall’OMS (dal 12° al 6° posto).
La prevalenza di asma e BPCO dai dati della Medicina Generale è risultata pari rispettivamente a 6,3% e al 3,1%.
Dai dati delle ASL, vengono riscontrati bassi livelli di aderenza al trattamento (14,9%), in riduzione rispetto agli anni precedente, con la più bassa percentuale nella popolazione con età inferiore ai 45 anni (5%) rispetto alle fasce di età superiori, e al Sud (13,4%) rispetto al Nord (16,1%)  e al Centro (15,2%). Emergono anche differenze nei due generi: l’aderenza risulta superiore negli uomini (18,6%) rispetto alle donne (12,0%).  Si registrano anche elevate percentuali di pazienti in trattamento con farmaci per le sindromi ostruttive delle vie respiratorie occasionali, che a livello nazionale è pari al 60%.
 
Farmaci antibiotici ad ampio spettro
Le condizioni cliniche per le quali si osserva più frequentemente l’impiego di antibiotici sono le infezioni acute delle vie respiratorie e le infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie. Le prime rappresentano una delle maggiori cause di morbosità e di mortalità nel mondo e rappresentano circa il 75% degli interventi medici nella stagione invernale ed un quarto del carico di lavoro complessivo presso gli ambulatori di medicina generale. Ricerche epidemiologiche indicano che la metà della popolazione è colpita annualmente da almeno un episodio di infezione delle vie respiratorie e che polmoniti e bronchiti rappresentano rispettivamente il 20% ed il 13% delle cause di morte dei soggetti ultra 55enni ad “elevato rischio”. Si stima invece che in un anno circa il 12% delle donne vada incontro ad un episodio di infezione delle vie urinarie e che circa la metà delle donne ne soffra almeno una volta durante la propria vita, un quarto delle quali con episodi ricorrenti. L’uso inappropriato degli antibiotici non rappresenta soltanto un problema di costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ma soprattutto un problema di sanità pubblica, poiché favorisce l’insorgenza di resistenze batteriche con progressiva perdita di efficacia di tali farmaci.
E’ possibile ricostruire alcuni scenari clinici che con buona probabilità non giustificano l’uso di antibiotici e/o di specifiche categorie terapeutiche: le infezioni delle vie respiratorie, ad esempio, hanno per oltre l’80% dei casi una causa virale e non batterica e pertanto gli antibiotici non sono efficaci per trattarle. Nel trattamento delle infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie (cistite semplice) viene considerato inappropriato l’uso in prima linea di qualsiasi antibiotico appartenente alla classe di fluorochinoloni.
Gli indicatori di appropriatezza sugli antibiotici ad ampio spettro evidenziano che l’impiego inappropriato di antibiotici supera il 20% in tutte le condizioni cliniche con particolare impatto per la laringotracheite (48,6%) e la cistite non complicata (37,0%).
Per quanto concerne la distribuzione geografica le Regioni del Centro Italia mostrano i livelli più alti di trattamento inappropriato dell’influenza e di raffreddore comune. Inoltre, i livelli di inappropriatezza d’uso di antibiotici risultano più elevati al crescere dell’età con una lieve flessione dopo i 75 anni di età, dato di nuovo riconducibile ad un minor accesso al Medico di Medicina Generale da parte di questi pazienti, poiché maggiormente ospedalizzati o istituzionalizzati.
 
Farmaci antidiabetici
I dati ISTAT 2012 evidenziano che sono circa 3,3 milioni i soggetti affetti da diabete, pari al 5,5% della popolazione italiana.
Dall’analisi dei dati delle ASL, è emersa nel 2011 una percentuale di pazienti aderenti al trattamento con farmaci antidiabetici pari al 60,3%, pressoché costante rispetto agli anni precedenti. Si evidenzia una certa variabilità tra le aree geografiche (Nord 61,5%; Centro 62,5%; Sud 56,2%) e una lieve differenza tra il genere maschile e quello femminile (61,5% vs 59,1%). L’aderenza migliora all’aumentare dell’età (38,3% nella fascia di età inferiore o uguale a 45 anni, 61,0% nella fascia tra 46 e 65 anni, del 65,0% nella fascia tra 66 e 75 anni e del 57,9% nella fascia superiore ai 75 anni).
Per quanto riguarda l’analisi dei profili prescrittivi nel contesto dell’assistenza specialistica del diabete mellito, si evidenzia un’intensificazione dei trattamenti e anche un moderato miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva; esistono tuttavia ulteriori margini di miglioramento, quali in particolare: la riduzione dell’inerzia terapeutica, attraverso l’adozione di schemi terapeutici sempre più efficaci e sicuri e l’erogazione di un’educazione terapeutica appropriata; la riduzione della variabilità regionale nell’uso dei farmaci, attraverso politiche sanitarie più omogenee sul territorio nazionale.
 
Farmaci per l’anemia
Un uso preferenziale di epoetina alfa biosimilare per il trattamento  dell’anemia determinerebbe un risparmio sulla spesa farmaceutica. Tuttavia, ad oggi la percentuale di pazienti avviati al trattamento con epoetina alfa biosimilare risulta ancora ridotta pari all’11,5%, sebbene in aumento rispetto agli anni precedenti (+7,4 rispetto al 2011 e +337% nel 2011 rispetto al 2010). Inoltre, si riscontra una discreta variabilità tra le diverse aree geografiche (Nord 13,9%; Centro 18,1%; Sud 2,3%), mentre non si osservano differenze di genere.

24 settembre 2013
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