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Slow Medicine e la choosing wisely. Un nuovo “salva vita Beghelli”?

di Ivan Cavicchi

Slow Medicine ci dice  che oggi  la choosing wisely è la nuova verità, che esiste un vasto movimento internazionale, che è una svolta culturale, che per la medicina è straordinariamente innovativa  bla...bla. Ma questo film l’ho già visto, almeno tre volte

29 MAR - Non so se sentirmi lusingato o altro ma è la seconda volta che al povero editorialista  si risponde  scomodando addirittura dei consigli direttivi o dei comitati scientifici. Troppa grazia Sant’Antonio. Roba grossa e ufficiale.
 
Prima è avvenuto con “Allineare sanità e salute” (Qs 9 marzo 2016)  alla quale la signorilità dialettica non  fa difetto  e discute con grande correttezza le tesi che pur non condivide. Ammutolendo se la discussione si fa impegnativa.
 
Recentemente  con Slow Medicine che senza nessuna  signorilità risponde:
· contra homine liquidandomi  come un ignorante cioè come colui che non si documenta quindi  ignora e di conseguenza  non sa cosa dice,
· ma purtroppo senza misurarsi (argumentum pro subiecta materia) con le questioni di merito da me sollevate (Qs 21 marzo 2016).
 
Questo trattamento di favore da parte di Slow Medicine, mi ha lasciato molto perplesso ma siccome per un pragmatista  vale sempre il “principio del norcino” (del porco non si butta via niente) vorrei  tentare  un chiarimento ma, se permettete, solo dopo aver  chiarito un paio di cosette .
 
Il direttivo di Slow  Medicine a ben guardare  non scrive neanche un articolo, cioè non cerca il confronto, ma scrive una nota che non si capisce se sia un comunicato di  condanna per lesa maestà o un depliant pubblicitario di choosing wisely o non so che altro. L’impressione  è di avere a che fare con qualcuno  molto permaloso e molto presuntuoso che esclude a priori la possibilità che io abbia letto i documenti e proprio per questo  che abbia delle cose da dire magari equivocando. Per il direttivo di Slow Medicine questo è impossibile. L’unica “evidenza”  che conta è la mia ignoranza.
 
Eppure l’editorialista  ignorante aveva nel suo piccolo  sottolineato  anzitempo l’importanza  della choosing wisely  inquadrandola nei problemi di welfare degli USA e indicandola  addirittura come strada alternativa all’appropriatezza ministeriale (Qs 26 febbraio 2016). E poi  appellare i super eroi di Slow Medicineaffettuosamente “come dei “lineaguidari” e dei “proceduralisti” (Qs 14 marzo 2016 riga 66) era  un omaggio alla loro tradizione scientifica  che proprio perché scientifica è sempre stata verificazionista, evidenzialista e proceduralista.
 
Per cui non si capisce né la reprimenda  né a chi è diretta  la lezioncina propagandistica sulla choosing wisely . L’editorialista  vi starà pure sui calli ma in genere vi assicuro  sa di cosa si parla.
 
Se poi  Slow Medicine, oltre che riservarmi  delle attenzioni contra homine,  mi vuole spiegare se l’incontro fatale con choosing wisely ha rappresentato per lei una rottura paradigmatica con la sua  visione scientifica  ben venga. Anzi complimenti....era ora. Anche se e spero proprio che non vi offendiate.. in tutta sincerità ci credo poco. Cambiano le sigle, le associazioni, gli slogan, le verità di riferimento, i maitre a pensér, ma ho l’impressione che voi non cambiate mai. Anche come slow dancers  l’abitudine di  insegnare al mondo come  deve girare non l’avete persa per niente
 
Leggo nel vostro statuto che vi proponete come una  “associazione di promozione sociale...che persegue il fine esclusivo della solidarietà sociale, umana, civile, culturale e di ricerca etica” (art. 1) e che il nobile  scopo che perseguite è “sviluppare e diffondere la cultura di una sanità sobria, rispettosa e giusta”(art. 4). Ne deduco dal momento che la parola “scienza” non compare mai che non vi proponete come una società scientifica.
 
Ora è più chiaro il carattere predicatorio dei vostri slogan (fare di più non vuol dire fare meglio, cure appropriate e di buona qualità per tutti, medicina giusta e rispettosa ecc). Ma, dal momento che non è chiarita nessuna discontinuità paradigmatica, ne deduco anche che voi, come dicevo prima, siete sempre  voi.. o no? Cioè Siquas Vrq (Società Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria-VRQ) questa volta una società scientifica  la cui mission  è “ fare ricerca, validare, diffondere i modelli, gli strumenti, le tecniche, i metodi per progettare, organizzare, valutare e migliorare la Qualità e la Sicurezza dell’Assistenza Sanitaria”.
 
In sostanza  voi siete coloro  che non prescrivono ma raccomandano  linee guida (le famose “raccomandazioni”) cioè coloro che basano le loro verità o raccomandazioni sui  “metodi di dimostrata efficacia” cioè quelli che valutano servendosi di  “criteri standard e riconosciuti”.
Per me, come ho scritto negli articoli sui lineaguidari,  raccomandare  linea guida  non è disdicevole per cui francamente non capisco come possiate sentirvi offesi se qualcuno vi considera “con affetto”  dei “lineaguidari “, quando lo siete sempre stati e secondo me ancora lo siete fino al midollo. Vi segnalo che, a parte i vostri statuti, ho quanto serve per dimostrarvelo. Cioè le “evidenze” come direste voi non  mancano.
 
Ma in fin dei conti cosa vuol dire questa terribile ingiuria? Non siete certo  figli di cento albumi  come potrebbe sembrare dal vostro inesausto eclettismo di facciata, ma  siete  figli legittimi del circolo di Vienna (1920)  come tutta la medicina scientifica, cioè siete come la stragrande maggioranza dei medici dei neopositivisti solo che, a differenza di costoro,  siete convinti di essere migliori cioè di avere delle verità veramente vere.
 
Vi assicuro che “neopositivisti” non è una parolaccia. Al neopositivismo, variamente  definito, dobbiamo  lo sviluppo del concetto di scienza e come dicevo ancora adesso è alla base  della concezione scientifica della medicina. Il  neopositivismo, compreso il vostro  anche se ritenuto da voi superiore,  ha solo un difetto: con il tempo si è invecchiato  e davanti al cambiamento del mondo e alle sue ben note complessità, ha tirato fuori tante di quelle magagne da consigliarne un ripensamento. Quel ripensamento che voi avete evitato sviluppando invece i caratteri più scientisti del neopositivismo quelli che voi riassumete quando dite “metodi di dimostrata efficacia” e  “criteri standard e riconosciuti”.
 
Essere neopositivisti per voi significa semplicemente quello che come Siquas avete sempre sostenuto:
· la verità è solo strettamente scientifica ed è  tale solo se verificata da un metodo,
· una cosa è giusta solo se rispetta una procedura di verità comprovata  da criteri standard indipendentemente dal risultato.
 
Tutto qui. Dove è l’offesa? Al contrario  se qualcuno  dicesse a me “sei un lineaguidaro neopositivista”  io che per necessità riformatrici  non lo  sono mai stato, dovrei chiarire (mai insultare contra homine)  che per me è proprio la struttura razionale della concezione neopositivista  di scienza il problema da risolvere per riformare la medicina.
 
Per necessità riformatrice, cioè per trovare delle soluzioni alla crisi profonda della medicina, mi sono formato ad un’altra scuola e da convinto pragmatista post positivista  credo di aver  dimostrato ampiamente che il neopositivismo in medicina  fa acqua da tutte le parti, facendomi un mazzo tanto, guarda caso  in nome della “scelta”, della “relazione”, della “ragionevolezza”, “dell’esigente” della “complessità” della “compossibilità” della “singolarità” ecc.
 
La mia ultima fatica non a caso si chiama “La complessità che cura” (2015).  State tranquilli se non l’avete letto non ve ne farò una colpa e meno che mai vi accuserò di essere degli ignoranti.
 
Il nodo cruciale che presto, per la gioia di Slow Medicine, sarà oggetto di una nuova pubblicazione, per me  resta la riforma della clinica intesa come una particolare forma di razionalità  neopositivista. La clinica come è insegnata nelle università  è epistemicamente  un modo di conoscere la malattia  datato. Oggi  abbiamo a che fare con l’esigente, la complessità, l’economicismo, le linee guida, il contenzioso legale, la medicina difensiva, la singolarità,  ecc,  in una parola abbiamo a che fare  con una  super-complessità.
 
La clinica  con la super-complessità ha dei problemi per cui va ricontestualizzata pragmaticamente oltre il neopositivismo cioè nel mondo reale. Diversamente dai lineaguidari  io non credo che  la soluzione  sia a neopositivismo clinico  invariante quella di  guidare la clinica  con delle raccomandazioni o con un  metodo rigoroso  o con dei decreti per l’appropriatezza, cioè mettere la clinica  sotto la tutela.
 
Non credo che il neopositivismo per quanto rigoroso possa  riformare  il neopositivismo e meno che mai che sia credibile  che esista un neopositivismo razionale da contrapporre ad un presunto neopositivismo irrazionale come mi pare vogliono fare tutti i lineaguidari compreso Slow Medicine alias Siquas Vrq.
 
Il neopositivismo in medicina  ha dato moltissimo, ha una sua razionalità  che  non va buttata alle ortiche  e che oggi funziona meno di ieri e che per questa ragione  si deve  aggiustare. Punto. Per fare questa riforma ho proposto di  seguire alcuni  principi  post-positivisti, pragmatici a relativismo contenuto, cioè ho proposto una razionalità ragionevole che ormai  molto tempo prima che venisse fuori dal cilindro di Slow Medicine , la choosing wisely ho definito “medicina della scelta”.
 
Siccome ci stiamo chiarendo è bene che si sappia  che la “medicina della scelta”  quella che voi amanti  degli anglicismi, definireste  “choose based medicine” per me, navigatore solitario, è stata la risposta ai neopositivisti  della sanità che non volevano saperne di ripensarsi di cui  Slow Medicine al tempo Siquas-Vrq, faceva  parte  e che culminò con la legge 229/99 .
 
In questa legge di riforma  il nucleo verificazionista,  evidenzialista e proceduralista  del neopositivismo proceduralista  anziché essere riformato perché il mondo era  cambiato fu reso obbligatorio e sanzionabile (Art. 15-decies, Obbligo di appropriatezza).
 
La dimostrazione è che in tutti questi anni vi siete ben guardati dall’aprire un confronto con la “medicina della scelta”, cioè con chi, pur in minoranza, voi che dite di rispettate le minoranze, tentava la strada del ripensamento della clinica, avete fatto di tutto per emarginarlo, tenerlo fuori dai piedi, insultarlo perfino quando scherzando vi definì “evidenziatori” come i pennarelli fosforescenti .
 
 
In tanti anni, (non potrò mai dimenticarlo) sono stato invitato a un vostro congresso una sola volta (Assisi 2006) ma solo perché all’epoca ero consigliere  del ministro della Salute, ma non a parlare di “medicina della scelta”  ma a commemorare Andrea Alesini uno dei nostri compagni di gioventù quando cioè  eravamo certi di essere dei rivoluzionari.
 
Quel congresso, tanto per cambiare, si concluse con nuove raccomandazioni quella volta sull’audit clinico  il cui postulato chiarito dal documento conclusivo era:fornire raccomandazioni evidence-based e non opinion-based”. Che è uno dei postulati guida  dei lineaguidari.
 
Ma il tempo come si dice è galantuomo  e la “medicina della scelta”  rispunta come “choosing wisely”. E ora magari stufi di andare a  lumache  incontrate la “scelta” e  la “relazione” e da irriducibili neopositivisti, venite a dire a me che sono ignorante?
 
Beh… per rispetto a questo giornale gli insulti in rigoroso romanesco me li tengo nel gargarozzo, ma  rivendico il diritto di incazzarmi.
Dopodiché  cerchiamo di fare uno sforzo per  capirci meglio se è possibile.
 
Voi ci dite  che oggi  la choosing wisely....è la nuova verità, che esiste un vasto movimento internazionale, che è una svolta culturale, che per la medicina è straordinariamente innovativa  bla...bla. A me da editorialista ignorante  questo film, seguendo tutta la vostra storia, l’ho già visto tre volte  e questo è capitato curiosamente quasi ogni circa 10 anni :
· la prima volta quando negli anni ‘80 avete  incontrato Donabiedan quindi  la qualità, cioè quando con  il verificazionismo (VRQ) volevate  salvare la sanità dall’arbitrio dei medici.
· la seconda volta quando negli anni ‘90 avete incontrato Sackettcioè l’evidenza   quale unica verità rivelata (ebm) alla quale sottomettere la clinica e gli atti medici.
· e la terza volta nel 2000 e rotti avete incontrato Carlo Petrini  cioè lo Slow Food   e avete cominciato ad andare a  lumache facendo le prediche  sulla sobrietà quella che in epistemologia chiamiamo ragionevolezza.
· la quarta volta ora,  quando  quasi 10 anni dopo (2012)  avete incontrato la choosing wisely   scoprendo  improvvisamente   il valore della scelta e della relazione e del  dialogo che sono alcuni dei valori postpositivisti.
 
E tutte le volte la stessa storia: movimento internazionale, svolta culturale, nuova verità bla ...bla  ecc . Ma tutte le volte anche delle musate clamorose. Che fine ha fatto la qualità? Eppure era talmente una svolta che abbiamo messo in piedi servizi, metodologie, formato persone, speso  soldi. Che fine ha fatto l’empowerment  con il quale abbiamo riempito i convegni? Che fine ha fatto l’ebm ridimensionata nelle sue pretese metafisiche  dalle sue tante eccezioni e contraddizioni nei confronti del malato complesso e non solo?
 
E a me povero editorialista  che...
· mi sono beccato tutti gli sputacchi di voi “evidenziatori”  perché non ho mai creduto nei dogmatismi dell’evidenza...(La medicina della scelta 2000),
· ho studiato e continuo a studiare  ma sul serio, la complessa  questione della “scelta” e della  “relazione”(La clinica e la relazione 2004). Mica crederete che sia una passeggiata?
· non mi sono mai bevuto la vostra  idea positivista di qualità (La qualità della qualità, in “il pensiero debole della sanità” 2008),
· che lavoro da mille anni  sul rapporto difficile  tra razionalità e ragionevolezza  ”(una filosofia per la medicina, razionalità clinica tra attualità e ragionevolezza 2011).
 
Ripeto....a me ...povero editorialista....date dell’ignorante? E cosa dovrei dire di chi pensa di rifondare la medicina andando  per lumache? Ma lasciamo  perdere l’incazzatura  e facciamoci delle domande.
 
In fin dei conti  voi di Slow Medicine ci state proponendo  un nuovo “salva vita Beghelli”. Ma come si fa a non dare un’altra musata? A evitare che sia un’altra moda? Come probabilmente sarà la medicina narrativa o il risck management?
 
Tre domande:
· la prima impertinente  è: perché mai dovremmo credere che grazie a voi neopositivisti la choosing wesely salverà il mondo quando non siete riusciti a salvarlo da neopositivisti con la verificazione di qualità, con l’evidenzialismo  statistico-epidemiologico quindi le linee guida  e meno che mai con la sobrietà?
· la seconda pertinente  è: perché mai le mode culturali in sanità durano al massimo un decennio e come mai queste presunte svolte culturali  a neopositivismo invariante  alla fine si rivelano  effimere  e la medicina continua ad andare sempre peggio?
· la terza seria è: abbiamo bisogno di riformare la medicina perché il mondo è cambiato da un pezzo e perché abbiamo un mucchio di problemi, cosa cambiare e come  si fa?
 
La mia risposta dopo tanti anni  di ricerche di studi, di pubblicazioni, è la seguente:
· evitando la superficialità  e le scorciatoie perché  si tratta di riformare un paradigma scientifico neopositivista ,quello clinico,  e questo non si fa né con le mode né  con le lumache né con le lettere al direttore,  
· misurandosi  con le inadeguatezze ormai vistose e innegabili della razionalità neopositivista che è alla base  della medicina,
· accettando la sfida profonda  della complessità e del cambiamento  quella che mette in crisi ogni tipo vecchio e nuovo di scientismo e accettando  quindi più tipi di razionalità più tipi di verità trovando il modo di renderle compossibili,
· altre cose che per brevità non cito.
 
Amici slow neopositivisti ...quindi non si tratta:
· di ridipingere la casa per appigionarla meglio come avete fatto in tutti questi anni  cambiando ogni 10 anni  pennello, ma di riformarla sul serio a partire dalle sue fondamenta per poi riformare il modello base di formazione e tirare fuori una nuova idea di medicina di malato  e  di operatore di salute,
· di andare a lumache ma di reinventare pragmaticamente  il concetto di cura in questa  società  riconfermando l’anima ippocratica della nostra medicina  quindi  ripensando la relazione tra  il  malato e l’operatore quali autori della cura e facendo della relazione  non un modo per convincere i malati a non farsi esami inutili, ma un modo nuovo di conoscere e fare clinica (clinica relazionale).
 
Io a questa impresa straordinaria, cioè alla grande riforma culturale mai fatta e che avremmo dovuto fare  per inverare la riforma del ‘78, ci sto lavorando  praticamente da sempre e per questo pretendo quanto meno rispetto ma non quello banalmente  della buona educazione perché non ho bisogno del vostro sussiego, ma quello culturale   pro subiecta materia perché quello che conta per me siccome le cose vanno davvero male  è costruire un  pensiero che adempia all’impresa riformatrice.
 
Oggi voi slow dancers  vi appellate al  dialogo  e alla condivisone, parlate di scelta, di relazione
.  Vi assicuro in tutta onestà che arrivate, anche se benvenuti, tardi e secondo me anche  poco preparati  per cui l’impressione che ho leggendo i vostri documenti  ancora una volta è che non vi sia una  elaborazione degna di una vera svolta culturale  e che pure questa volta c’è il rischio di toppare.. magari fra 10 anni.
 
Ecco perché ho scritto quello che immagino  più dell’appellativo  lineaguidari  vi ha dato fastidio e che convintamente  ribadisco:
“La choosing wisely,sia chiaro a paradigma medico epistemologicamente  invariante, resta un  importante indirizzo di razionalizzazione... ma la sua declinazione  slow...mi sembra un modo nuovo per dire cose vecchie. Sia chiaro, essa resta cosa buona e giusta, ma  per me non risolve le aporie pesanti del verificazionismo” (Qs 14 marzo 2016).
 
In conclusione. Ho come  l’impressione che comunque  stiamo facendo a sassate  tra orbi, cioè tra gente che in ogni caso con le proprie diversità culturali, è dalla stessa parte. Penso che se davvero vogliamo difendere la medicina pubblica, si  debba aprire un confronto e una discussione riformatrice seria levandoci dalla testa che qualcuno di noi ce l’ha più “evidente” più “rigoroso”  più “verificato” dell’altro.
 
Io non ho “direttivi ”  con i quali tappare la bocca a qualcuno, e meno che mai voglio tappare la bocca a qualcuno, mai  contra homine,  sono solo un editorialista ignorante con delle idee e un lungo lavoro alle spalle quello che voi ed altri non avete ancora fatto  e che può farvi comodo.
 
Si faccia una festa e ognuno di noi porti quello che ha nel frigidaire, le proprie idee, le proprie scoperte, le proprie ricerche  e anche le proprie sconfitte perché se non impariamo dalla nostra storia, la storia che ci piacerebbe fare non la faremo mai.
 
Ivan Cavicchi

29 marzo 2016
© Riproduzione riservata


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