Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Venerdì 19 APRILE 2024
Studi e Analisi
segui quotidianosanita.it

La sanità italiana è vicina al punto di rottura. Ma quando ce ne renderemo conto?

di Grazia Labate

Periodo difficile, ma non impossibile per salvare  il SSN.  Occorre analizzare la realtà con verità e prepararci per il futuro. Il nostro SSN ha delle solide fondamenta, scitte nella carta costituzionale e nelle leggi di riforma, ma ha bisogno di rinforzale con qualche pilastro aggiuntivo

20 DIC - Abbiamo letto i risultati del rapporto sullo stato di salute del paese, che ha fotografato la situazione dell’Italia che invecchia e porta con se il suo carico di patologie croniche-degenerative quale grande variabile sulla quale parametrare le azioni strategiche future. Del resto già l’ OCSE, uno sguardo alla salute 2011, aveva tracciato un quadro ben preciso a tale riguardo. La scheda Italia è stata enfatizzata dalla stampa italiana (anche da Quotidiano Sanità),  solo su una parte dei dati al grido di “ quanto siamo bravi,  stiamo un po’ sotto la media, 9,5% rispetto al 9,6%  in termini di incidenza della spesa globale sul PIL,  i nostri tassi di mortalità ospedaliera, a seguito di un attacco cardiaco o di un ictus sono inferiori alla media OCSE, così pure nei limitati ricoveri ospedalieri ad alto costo per malattie croniche, quali asma, malattia polmonare ostruttiva cronica o diabete ed infine  nella speranza di vita alla nascita e nell’abbassamento dell’incidenza del tasso di mortalità a seguito di tumori al seno”.

Tutto vero, ma non si è detto che la componente pubblica della spesa italiana, 77,9% è al di sopra della media OCSE, che è del 71, 7, che il 22,1% di spesa privata, per l’Italia, almeno nell’Europa a 27, costituisce una anomalia perché è quasi tutta proveniente dalle tasche dei cittadini, mentre in Europa è intermediata  maggiormente  da forme integrative di assistenza, attraverso Fondi, casse e mutualità di territorio. Non si è detto che la spesa cresce,  a partire dal 2007/2008/2009, con un incidenza sul PIL che è stata progressivamente dall’8,7% nel 2007 fino ad arrivare al 9,5% nel 2009, più della crescita della ricchezza nazionale prodotta.

Mentre il nostro paese non ha centrato nessun obiettivo di crescita, previsto dal precedente Governo. Siamo dovuti arrivare alla nota correttiva di settembre per rivedere al ribasso tutte le stime di crescita previste nel triennio , che per la sanità ha comportato tagli già previsti per il 2012 e per il 2013 di circa 8 miliardi, introduzione del tickets  sulla specialistica per complessivi 814milioni di euro, il prolungamento a 5 anni del blocco dei contratti di lavoro e delle convenzioni, con conseguente perdita del potere d’acquisto di circa il 20%, ulteriore precarizzazione del rapporto di lavoro e proroga della facoltà da parte delle amministrazioni di pensionamento coatto, a prescindere dalla età anagrafica, spesso inferiore ai 60 anni con la penalizzazione del mondo medico e sanitario ormai a sovraccarico di lavoro, stress, errori medici e medicina difensiva.
Ora, il Governo Monti ha già dovuto rivedere la crescita prevista per il prossimo anno a -0,4%. Siamo in recessione, la bestia nera da affrontare con coraggio, è la risalita della crescita.
Ma sempre tornando all’analisi OCSE, non si è detto che per l’Italia il numero di tecnologie radiodiagnostiche non ha precedenti paragonato al resto del mondo: il numero delle risonanze magnetiche  è di 21,6 per milione di abitante per l’italia, la media OCSE è del  12 per milione di hb, così come per le TAC e tutta la diagnostica per immagine, il cui rapporto in Italia è di 31,7per milione di hb e la media OCSE è di 22,1 per milione di abitanti. Fumo, Obesità di adulti e adolescenti, ci vedono ancora con percentuali elevate rispetto alla media OCSE,  mentre va meglio per il fumo: Italia 23,3% OCSE 22%; per l’obesità siamo passati dal 7% del 1994 al 10,3 del 2009 con maggiori costi per i ben noti fattori di rischio da diabete di tipo 2 e  patologie  correlate cardiocircolatorie.
Se poi leggiamo i dati oltre il 2009 la situazione è più pesante, perché la bassa crescita e la recessione ci pongono in una enorme difficoltà.

Realtà e cifre con cui fare i conti:
I dati a consuntivo che troviamo nella relazione della Corte dei Conti sui bilanci della P.A. pubblicati nella G.U. del 5 agosto u.s. ci dicono che siamo a 113miliardi e 457milioni di euro a consuntivo 2010 e che la spesa privata si attesta a 29miliardi e 564 milioni; inoltre la Corte esaminando il primo semestre 2011 prevede una tendenza alla crescita intorno ai 114miliardi per l’anno in corso e circa 30 miliardi di spesa privata; nel contempo l’ISTAT ci dice che le famiglie italiane si impoveriscono a causa della crisi, soprattutto nel sostenere spese sanitarie e sociali, legate alla non autosufficienza e alla paura dell’invecchiamento e delle malattie cronico degenerative, che terrorizza il 63% degli italiani over 65 anni.
La prima fase applicativa del ticket, anche se alcune Regioni lo hanno previsto modulato in forma più equa rispetto al reddito, ha comportato notevoli disagi e costi amministrativi con cui si dovrà fare i conti tra entrate e uscite a fine anno. Circa 8 miliardi di tagli previsti per il 2013 e il 2014 pendono sul SSn, anche se apparentemente è stato scongiurato il pericolo di veder anticipato al 2012 il taglio di 2,5 miliardi previsto per il 2013.

Le Regioni  hanno fretta e sentono il fiato sul collo dei costi sanitari, occorre ridefinire il patto per la salute, anticipato nell’incontro del 15 dicembre. Si tenta disperatamente di porre rimedio ad una situazione, ormai fatta di razionamenti continui, di lunghe liste d’attesa, di tickets e  aumenti di Irpef regionali, che soprattutto nelle regioni con obbligo di piani di rientro, raggiungono un livello di guardia oltre il quale difficilmente si potrà andare nel breve e medio periodo. Le misure di contenimento del decreto “Salva Italia” del governo Monti obbligano le Regioni di innalzare l’IRPEF regionale dall’attuale 0,9 fino al 1,23%, in media l’aumento costerà 76 euro a testa ed inciderà pesantemente, perché le addizionali si calcolano sull’imponibile lordo, quindi prima delle detrazioni e dei vari carichi familiari.  Lo sconto previsto sull’IRAP di 10.600 euro è destinato giustamente a quelle imprese che assumeranno donne e giovani sotto i 35 anni a tempo indeterminato, per stimolare insieme ad altre misure previste, la crescita.
In buona sostanza si chiede e ci si accorda con il Governo Monti, di fare la faccia feroce, su ciò che molte  regioni, non sono riuscite a fare per non pagare il costo di decisioni impopolari, ma non più eludibili.

L’esempio più lampante è la mia Liguria, ormai in preda a tagli, ristrutturazioni, razionamenti, con la giunta da anni impegnata alla ricerca di una quadra impossibile, che ottiene piccoli risultati di risparmio, che si arrendono di fronte ad una verità ineludibile: abbiamo concentrati nella mia regione, gli anziani più anziani di Italia, siamo una piccola Regione, le risorse sono sempre più scarse, gli investimenti in sanità esigui e la domanda di salute di una popolazione che invecchia è sempre più costosa con buona pace del coefficiente di Gini sull’equità e del morbo di Baumol sull’elasticità della domanda sanitaria.
Ma si è voluto risparmiare e tagliare oltre il possibile per non aumentare l’irpef regionale ed ora c’è qualcun altro, che si chiama Monti, che lo fa in luogo della giunta ligure, ma i disservizi  e la popolazione ligure attraversano da oltre tre anni un calvario inaccettabile ed emigrano in Toscana, Piemonte, Lombardia per ricevere le cure di cui hanno bisogno oggi, non tra 9 mesi od un anno.
C’ è chi ha voluto intravedere nell’aumento dell’Irpef regionale  un ripensamento proprio del meccanismo di finanziamento del sistema: il passaggio di ricommisurare il reddito d’impresa e spostarlo su quello delle persone.

Peccato che la pressione fiscale nel nostro paese è già troppo elevata e pesa quasi esclusivamente su pensioni e redditi da lavoro dipendente, con una delle più elevate evasioni d’Europa, intorno ai 125 miliardi euro e peccato che l’Irap è a tutt’oggi uno dei pilastri del finanziamento del SSN. Ma che senso ha enfatizzare lo sganciamento dal PIL come una grande inversione di tendenza?
La ricchezza nazionale prodotta è data dalla crescità complessiva di un paese: produzione, lavoro, tasse che si devono pagare per l’uso di grandi beni pubblici dalla salute, all’istruzione, alla giustizia. E’ quindi con il binomio Entrate ed Uscite che occorre sempre fare i conti.

Perciò non rimane che squarciare i veli e dire la verità. I LEA vanno rivisti certo che sì, ma rifuggendo ciò che si è fatto in questi anni, aggiungere senza togliere. Razionalizzare al massimo e lottare contro inefficienze e sprechi, si, ma centrando obiettivi concreti di risparmio su beni e servizi e sui dispositivi medici, che non mettano in crisi, ma selezionino in base al rapporto qualità -prezzi,
settori di sviluppo del paese, peraltro remunerati in tempi biblici per le forniture.
Tecnicalità organizzative e gestionali? Certo, e molte buone pratiche ci sono e devono fare “modello” chiamando in causa il costo efficacia dei servizi e delle prestazioni, verso cui la classe medica ha un ruolo determinante nel definire linee guida, modalità operative, responsabilità degli atti clinici.
 
Appropriatezza è la parola magica del momento. E’ ormai ampiamente dimostrato che in molti settori della medicina le prove di evidenza sono scarse, con l’eccezione delle sperimentazioni farmacologiche per alcune tipologie di farmaci, dove gli investimenti delle industrie sono stati rilevanti. Ciò significa che l’appropiatezza è il frutto di un lavoro costante di audit tra il personale sanitario che porta a condivisi percorsi assistenziali, adattati alle singole realtà, che risentono dell’esperienza dei singoli profesionisti. Non esiste l’appropiatezza astratta calata dall’alto. Mi sono domandata come si farà ad ampliare da 43 a 108 i DRG che presentano un alto rischio di inappropriatezza, che dovrebbero passare dal regime di degenza ordinaria ospedaliera, che per ora è gratuito a quello in regime diurno o ambulatoriale, sapendo che se si sposta in ambulatoriale un’altra quota di tickets ancorchè pensati con maggiore equità ricadranno sulle spalle dei cittadini dopo aver recentemente sborsato la maggiorazione dei tickets prevista da i decreti luglio ed agosto. Tra DRG chirurgici e medici ad elevato rischio di inappropriatezza , è possibile stimare, secondo uno studio che sta perfezionando la Dott.ssa Mastrobuono, direttore sanitario del Policlinico di Tor Vergata e che sarà prossimamente pubblicato sulla rivista italiana di chirurgia generale, un introito da maggiori tickets di circa 373.473.532 milioni di euro a carico dei cittadini, che si andrebbero ad aggiungere agli oltre 814 000 già previsti dalla precedente manovra di luglio. Maggiore equità rispetto al reddito e ai componenti il nucleo familiare, ma anche rispetto al doppio sistema  di esenzione, per reddito e patologie, a tecnicalità chirurgiche che si fanno in videolaparoscopia che coesistono in parallelo alle tradizionali tecniche a cielo aperto, ad analisi biochimiche fatte sul territorio che si ripetono in ospedale a distanza di pochi giorni, a triadi diagnostiche dalla sequenza impressionante di RX,TAC; RMN che spesso non giustificano la ricerca  approfondita di una vera diagnosi.

I tavoli tecnici della Conferenza Stato Regioni hanno intensamente lavorato alla ridefinizione dei LEA anche se il lavoro non ha mai visto la luce, per 2 ragioni fondamentalmente:
1) le prestazioni ambulatoriali ancorchè rese dalle strutture ospedaliere, sono comprese nel “livello distrettuale” con distorsioni informative ed economiche importanti; la criticità maggiore è relativa alla corretta attribuzione dei costi tra i vari livelli assistenziali. Una recente ricerca FIASO ha fatto emergere che i costi ospedalieri salgono di oltre il 50% del costo pesato per residente, se all’interno sono compresi i costi delle prestazioni ambulatoriali rese dalle aziende ospedaliere.
2) i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi della chirurgia ambulatoriale non sono ancora stati definiti, nonostante ciò fosse stato previsto nel DPCM del novembre 2002, né sono definite la raccolta, la conservazione, le modalità di trasferimento dei dati e delle informazioni.
In particolare bisognerà definire indicatori di offerta e standard organizzativi
di riferimento e indicatori di risultato. In tutti i casi qualsiasi rivisitazione dei LEA richiede un’analisi parallela tanto delle risorse disponibili quanto dei sistemi di finanziamento.

Lo scenario che si prospetta sia in Italia che negli altri paesi europei si basa su 2 presupposti:
La domanda sanitaria e sociosanitaria, e conseguentemente la spesa, sono destinate ad aumentare, le risorse sono limitate e le modalità di finanziamento attuali insufficienti o inadeguate a reggere la grande variabile dell’invecchiamento con il suo carico di cronicità e malattie neurodegenerative.
A ciò si aggiunga che la domanda sanitaria è profondamente diversa da quella di solo 10 anni fa, a seguito di un cittadino più consapevole dei propri diritti, più informato, che richiede qualità ed efficienza da parte del SSN, che va su internet alla caccia sempre più affannosa sull’origine delle patologie, su dove sono i centri migliori per farsi curare, su chi sono i medici più bravi in certi campi e non solo i più rinomati, che ricerca anche in Groupon i costi più bassi e nelle prestazioni low cost la risposta alla crisi da basso reddito, che non gli consente magari uno o più impianti perché afflitto da edentulia. E’ difficile pensare che spesa sanitaria e spesa sociale possano aumentare, sia per effetto della bassa crescita che per i vincoli interni ed europei derivanti dal patto di stabilità e dal nostro elevatissimo debito pubblico, almeno per i prossimi 5 anni.

Per tutte queste motivazioni il problema  può essere affrontato in 2 modi diversi:
1) Con un approccio restrittivo e correttivo, ma non strutturale, caratterizzato da interventi di razionamento, limitando il ricorso e la fruizione dei servizi, delle attività e delle prestazioni del SSN da parte della collettività. Ciò che più o meno sta avvenendo oggi.
2) Approccio strutturale e sistemico, caratterizzato da una visione globale dei LEA e delle risorse finanziarie necessarie, in cui il paradigma dell’invecchiamento e la integrazione sanitaria e sociale, assumano il ruolo di variabile dipendente da cui far derivare le priorità di intervento, i modelli organizzativi, l’analisi dei costi, introducendo forme integrative dell’attuale modello di finanziamento delle prestazioni e delle attività, attingendo alla spesa privata, riorientandola alla costruzione di una cultura della socializzazione del rischio futuro da cure di lungo termine, LTC. Malgrado la crisi, che i macrodati testimoniano, nei paesi europei più attenti alle innovazioni ed ai mutamenti sociali in ambito sanitario, si è aperta da alcuni anni la riflessione sugli spazi di responsabilità individuale e collettiva per la tutela della salute, non solo favorendo forme individuali e collettive per la corresponsabilizzazione dei cittadini nell’uso dei serivizi e delle prestazioni che i vari sistemi offrono in materia di protezione della salute, ma anche attraverso l’adozione di tassazioni di scopo al fine di scoraggiare comportamenti dannosi alla salute, volti a migliorare gli stili di vita  che non compromettano la salute futura generando costi non sostenibili per la collettività. Come hanno gia fatto alcuni paesi europei, per la lotta all’obesità, il fumo, gli alti tassi di zucchero in alcuni alimenti., i grassi aggiunti. Si vedano i provvedimenti presi dalla  Danimarca, Francia, Svezia, dove oggi un pacchetto di sigarette costa 8 euro.

Mantenere un sistema di tipo universale ha dei costi che devono essere equamente distribuiti attraverso la fiscalità generale ed implementati da quote di risparmio individuale e collettivo, Fondi, casse, mutue, nonché da forme di partecipazione al costo per la propria salute, che non possono essere forme di copayment ai costi dei servizi e delle prestazioni, che come è noto variano a seconda delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, sempre più costose, ma anche in rapporto alle capacità di ognuno di responsabilizzarsi sui fattori di rischio che danneggiano la salute individuale e della collettività perché prevalga la prevenzione.
 
Il secondo approccio è quello che ha preso più campo in Europa negli ultimi cinque anni, a prescindere dagli storici modelli di tipo beveridgeriano o bismarkchiano, in cui in entrambi i modelli sono aumentati i fondi sanitari integrativi o complementari di derivazione negoziale: secondo la ricerca  Employee health and benefit condotta in 14 paesi europei, nel 2010 si è verificato un incremento del 3,3% soprattuto in Irlanda, nel Regno Unito con il 4,9%, seguiti da Spagna, Portogallo e Italia con l’aumento del 2,3%. I benefit legati alla salute includono coperture mediche odontoiatriche, prestazioni oculistiche e sostegno al reddito in caso di gravi malattie.
La mutualità di territorio, ha avuto un’ esplosione, così come documenta la commissine europea, che ha preparato un Dossier quest’autunno: “The role of Mutual Societes in the 21st century” per il Parlamento, affinche deliberi lo Statuto della mutualità europea. Attualmente le mutue offrono copertura a 230 milioni di cittadini europei, rappresentano 180 miliardi di euro di quote associative con cui o direttamente o acquistando sul mercato, offrono servizi e prestazioni ai propri soci e alle loro famiglie, dando lavoro a 350.000 persone. Harmonie mutuelle vede aderire in Francia 4 milioni di cittadini, Benenden in U.K. 1.200.000 cittadini e circa 6milioni per le cure di lunga durata che vengono gestite con contratti con i PCT attraverso cui fornire assistenza domiciliare, semiresidenzialità, RSA per anziani. In Svezia, le società di purchaising gestiscono con le contee tutto il ciclo di cura degli anziani non autosufficienti e acquistando la nuda proprietà dei possesori anziani  di immobili, gestiscono le rette per le RSA.

Inoltre in Europa le forme di copayment da parte dei cittadini sono molto più ampie che in Italia sia per farmaci, che per visite specialistiche che per le cure ospedaliere e recentemente in costanza della crisi, hanno vissuto aumenti sia in Inghilterra, che in Germania, Danimarca, Francia.
Dunque le basi di finanziamento dei sistemi di protezione sanitaria e sociale, al di la dei modelli storici culturali dei paesi d’origine, si sono ampliati ovunque, assumendo mix di pubblico e privato, che ha consentito ai cittadini europei di fronteggiare meglio la crisi dal 2007. Da noi , ancorché previsto dalla legge il sistema a tre pilastri, abbiamo privilegiato il primo a scapito degli altri due.
Solo con i decreti Turco del 2008 e Sacconi del 2009 si sono poste le basi per regolare e riorientare i fondi sanitari negoziali, le casse e le SMS in funzione di alcuni rilevanti settori di prestazioni non coperte o poco coperte dal SSN, l’odontoiatria e la non autosufficienza o per risarcire il costo dei tickets o delle prestazioni in libera professione intamoenia, che allargata come esite in Italia, non c’e da nessuna parte in Europa. Altra anomalia del caso Italia, perché altrove esiste la libera professione nei propri studi professionali e ove prevista è veramente dentro le mura. E noi, ormai andiamo di proroga in proroga su questo tema, ormai al limite del ridicolo. Per il resto si è vissuto e si vive con la gigantesca anomalia di 30 miliardi di euro, di cui più di 23 miliardi escono direttamente dalle tasche dei cittadini, nonostante la crisi.
 
Adesso siamo vicini alla rottura del break event point, non solo nelle regioni in piani di rientro, ma anche in quelle considerate virtuose; occorre accelerare tutti i processi non solo di efficentizzazione, di appropriatezza, di equità dentro il sistema e verso il sistema,  ma andare fino in fondo nella costruzione del secondo pilastro, perché tra  qualche mese non sia troppo tardi.
Non è confortante pensare, scrivere, analizzare, studiare proposte per salvare il SSN e consolarsi con “l’avevo detto”, c’è sempre una ammissione di fallimento quando non passano o sono ignorate, su cui confesso spesso non trovo giuste obiezioni sul piano tecnico a livello macro o micro. A luglio di quest’anno proposi, con calcoli alla mano, l’aumento del prezzo delle sigarette,  Lusenti assessore alla sanità della regione Emilia Romagna me ne ha dato atto pubblicamente in un recente convegno a Reggio Emilia, ma non se ne è fatto niente, ancorchè le Regioni lo abbiano richiesto a gran voce. Ora si agisce un po’ sul trinciato, meglio che niente, ma il maggior uso o se vogliamo l’abuso per la propria salute e le proprie tasche si fa sulle mitiche "bionde".
 
Quando ebbi responsabilità di governo ingaggiai con l’allora sottosegretario Giarda in occasione della finanziaria 2001,  una battaglia durata fino alle 2 di notte per ottenere gratuitamente per alcune fasce di popolazione gli screening preventivi tumorali per il seno, l’utero, il carcinoma polmanare e del colon e 31 miliardi di investimenti sull’art. 20 ex legge 67 per poter fare l’intramoenia dento le mura e 10 miliardi per stabilizzare i ricercatori precari dell’istituto superiore di sanità, che è il nostro fiore all’occhiello per l’indipendenza della ricerca pubblica.
Una battaglia durissima, m’è testimone il Dott. De Giuli, allora Direttore generale della Programmazione del Ministero della Salute, con il quale, dopo ore di discussione con i tecnici del ministero dell’economia e con Giarda, che non volevano saperne, decisi di abbandonare la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati in segno di protesta contro la sordità a volere reperire le risorse in altro modo che non fossero i triti e ritriti tickets. Giarda ci rincorse, trovammo le risorse necessarie e a me rimase di quella battaglia, non solo la soddisfazione di aver fatto la cosa giusta, ma anche un bel libro con dedica di Piero Giarda, che conservo gelosamente, sulle eroine nel melodramma; si perché, il sottosegretario amava la lirica e riconosceva che le donne avevano avuto un ruolo determinante nei personaggi verdiani e pucciniani dell’epoca. Oggi in presenza di una crisi così aspra lo scenario è difficilissimo da tenere insieme, ma non impossibile se anche alla sanità si applica il trinomio rigore, equità, crescita. Si, proprio crescità, non in termini di maggiore incidenza della spesa pubblica, ma di riorientamento di quella privata verso il bene comune, un invecchiamento con maggiore qualità di vita e rilancio della ricerca biomedica in funzione della crescita di un settore che può dare un notevole contributo alla ricchezza nazionale, sia in termini di maggior reddito che di lavoro qualificato per i nostri giovani e soprattutto speranza di traguardare nuove cure efficaci per le patologie più rilevanti di cui oggi ci si ammala.
 
Con minore salute o con maggiore incidenza delle cronicità e della disabilità, come si può pensare di stringere la cinghia e produrre di più? Il nostro SSN ha delle solide fondamenta, scitte nella carta costituzionale e nelle leggi di riforma, ma ha bisogno di rinforzale con qualche pilastro aggiuntivo, come la legge aveva gia previsto dalla Riforma Bindi e che Livia Turco ha cominciato a regolamentare. Pilastri, che lo possano rendere più solido nel tempo e con i mutamenti che esso reca con se, mettendo in campo gli altri provvedimenti di Governance del sistema che la legge prevede. Non si può continuare solo a governare l’offerta, ma occorre cimentarsi con il riorientamento della domanda, che in tema di salute non può declinare il solo paradigma del chi  più ha meglio si cura, a partire dalle responsabilità istituzionali e dalle responsabilità individuali, costruendo un circuito virtuoso, comunicante e solidale tra risorse pubbliche, risparmio individuale e negoziale, mutualità e terzo settore per un nuovo patto della salute, sottoscritto tra tutti gli attori in campo con l’obiettivo di traguardare le migliori risposte possibili perché vivere a lungo significhi maggiore qualità di vita.  
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria, Università di York (Uk)

20 dicembre 2011
© Riproduzione riservata


Altri articoli in Studi e Analisi

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy