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La riforma della sanità toscana. Un progetto che non mi convince

Fin dalle motivazioni la proposta in discussione presentata dalla Giunta di Enrico Rossi appare sbagliata. L’obiettivo primario sembra il risparmio ma quello latente è passare da una gestione basata sul management ad una centrata sull’amministrazione dei costi

22 GEN - Tre anni fa Enrico Rossi il presidente della Toscana in piena estate  esattamente il 9 agosto con i tagli lineari di Monti alle calcagna  convocò  un consiglio regionale straordinario  sulla sanità e pronunciò le quattro parole  magiche: rigore, razionalizzazione, riorganizzazione, ticket. Oggi con altri tagli alle calcagna, deluso dalla magia, Rossi tenta la carta del riordino. Non voglio  esaminare in dettaglio la sua proposta che troverete ben descritta su questo giornale, a me interessa comprenderne lo spirito. Dietro a questa proposta ho trovato: un postulato sbagliato,  un pensiero autoritario e una fraintesa idea di programmazione
 
Il postulato sbagliato
Abbiamo risorse limitate  quindi ad invarianza di sistema si tratta di ridurre/accorpare  le 12 aziende sanitarie  in 3 aziende, una per ciascuna area vasta. L’obiettivo manifesto  è certamente  il risparmio ma quello latente implicito nell’obiettivo, è passare  da una gestione quale management ad una gestione quale amministrazione dei costi.
 
Vi sono due modi di affrontare il problema del numero delle  aziende:
· considerare le aziende  come più livelli di realtà rispetto a più territori per cui si costruisce  l’universo sanitario regionale decentrando  il numero di aziende in rapporto al grado di decentramento dei territori;
· considerare le aziende  come una realtà a più livelli rispetto a meno territori per cui si costruisce l’universo sanitario regionale accentrando un numero ridotto di aziende in rapporto ad un maggior grado di accentramento  dei territori.
 
Apparentemente  i due approcci sembrano variare solo per  il numero di asl ma non è così. La differenza è tra un relativo decentramento  e un relativo accentramento per cui:
· decentrare / accentrare  implicano una governance completamente  diversa, nel primo caso ad esempio il ruolo dell’assessorato è fondamentale, la programmazione è unica a livello regionale, e le singole aziende hanno un grado di autonomia maggiore nei confronti  del sistema dei servizi; nel secondo caso il ruolo dell’assessorato si indebolisce riducendosi  ad un banale coordinamento, molte sue funzioni sono riallocate altrove , si moltiplicano le programmazioni  e le singole aziende hanno un minor grado di autonomia  nei confronti dei servizi e di conseguenza a scendere anche i servizi e gli operatori;
· decentrare / accentrare  sono approcci che abbisognano  comunque  di essere costruiti  attraverso ben strutturati sistemi di relazioni cioè  di transazioni interne ed esterne che in quanto tali costituiscono  costi correlabili.  La riduzione del numero delle asl ad esempio ,come dimostra la proposta toscana, deve creare nuove relazioni interne agli accorpamenti, nuovi incarichi di direzione, nuove responsabilità    che garantiscano l’accorpamento stesso(reti interaziendali, dipartimenti  interaziendali, direttori  ecc) Sicuramente  si risparmia riducendo  soprattutto il costo del management ma nello stesso tempo si devono affrontare tutti i costi  di transazione che  l’accorpamento comporta e che non sono pochi.
 
Tra “governare più livelli di realtà” e “governare una realtà a più livelli”, è difficile dire quale sia la soluzione  più giusta, entrambe possono essere giuste ma solo a certe condizioni e soprattutto chiarendo bene l’obiettivo. Passare da una visione relativamente  decentrata delle aziende ad una visione relativamente centralizzata a sistema di servizi invariante vuol dire che l’operazione di riordino è solo sulla gestione e che il rapporto tra gestione e servizi si divarica. E questo non è bene.  
 
Ad esempio le fusioni aziendali diversamente dalla proposta toscana  non  si limitano alla sola  riduzione dei costi del management ma  implicano economie di scala, nuove opportunità di mercato, accesso a nuovi capitali, investimenti  in innovazione e ricerca ecc. In sanità  il numero ottimale di aziende   non dovrebbe  essere relativo solo  al conseguimento di risparmi sulla gestione  ma anche ad una crescita  di  maggiori risultati di salute. Tutti son capaci di tagliare, quello che nessuno sa fare è rendere compossibile con un pensiero riformatore  la salute con l’economicità.
 
Quindi la domanda non è quale delle due soluzioni sia la più giusta, ma quale sia la più conveniente rispetto ad un obiettivo dichiarato. Quale è l’obiettivo dichiarato della Toscana? Se si legge l’art. 1 è rendere compossibili la qualità dei servizi con  la sostenibilità economica, se si legge l’art. 2  l’obiettivo è etico (salute, uguaglianza, umanizzazione e personalizzazione appropriatezza ed eticità delle cure; equità di accesso ai servizi ecc) ma se si legge l’intero capo 2  il riordino previsto si riduce ad un relativo accentramento della gestione cioè l’obiettivo vero è economicistico. E anche questo non va bene.
 
Un pensiero autoritario
Il cuore della proposta di riordino della Toscana è l’area vasta quale nuovo soggetto di governo e quale  sede  della programmazione strategica regionale. E’ come se la regione Toscana si articolasse in tre  “cantoni” cioè tre sub regioni delegando alle loro direzioni l’amministrazione della sanità quindi  passando da un governo della sanità unico regionale con un assessorato   ad un governo della sanità federato attraverso  tre sub-assessorati. L’obiettivo è assicurarsi certo l’attuazione  della  programmazionestrategica regionale (art 4) ma soprattutto  “l’ omogeneità della metodologia organizzativa”.
 
In pratica il fine del riordino è quello di garantire  omogeneità non dei risultati di salute  ma soprattutto  dei costi quindi il fine è garantire sostenibilità al sistema attraverso l’uniformità nelle spese.
Cioè Rossi  che è il vero propugnatore di questa proposta, è convinto  di due cose:
· che l’eterogeneità, la diversità, la specificità, la soggettività  siano un problema di spesa se non una fonte di spreco;
· che la spesa sia essenzialmente una questione di controllo e che per controllare al  meglio è necessario accentrare e omogeneizzare la realtà sanitaria;
Dalla proposta di riordino emerge quindi una visione  totalitaria del controllo  con una forte tinta autoritaria che revoca a dirigenti servizi operatori e cittadini  qualsiasi rapporto di fiducia. I soldi sono pochi, le abbiamo provate tutte, non ci fidiamo più di nessuno siete solo capaci di spendere per cui è necessario che tutti stiano in riga secondo le linee strategiche della Regione.
 
La fraintesa idea di programmazione
L’area vasta, quale espressione di una logica totalitaria e autoritaria, comporta inevitabilmente un ribaltamento del significato operativo di programmazione. Questa non è più il mezzo che garantisce il diritto alla salute interpretando la specificità dei territori, le esigenze delle persone  ecc, ma diventa l’imposizione  di una offerta di sanità sostenibile   rispetto alle  risorse disponibili.
 
Vorrei ricordare che i principi della “programmazione dinamica”, (basata sulla divisione del problema in sotto problemi nel tentativo di trovare la migliore soluzione) ma anche quelli della  “programmazione lineare”(risoluzione dei problemi attraverso forme  di ottimizzazione lineari.) e ancora quella della  “programmazione non lineare” (variabili reali incognite, con una funzione obiettivo da massimizzare o minimizzare), vanno in tutt’altra direzione. Se si vuole fare salute in modo compossibile con le risorse disponibili, è dal basso che si deve partire per riformare,  non dall’alto e l’omogeneità non è uniformità come dice la proposta di riordino  ma coerenza e appropriatezza nei confronti  dei problemi della gente. Per esempio nel caso della programmazione dinamica la migliore soluzione è sempre un  “cammino minimo”, nel nostro caso,  tra i problemi delle persone e le loro soluzioni, ma il “cammino minimo” ha bisogno di decentrare la gestione dei problemi  presso i luoghi delle soluzioni. Se le gestioni sono accentrate in aree vaste  il cammino tra loro e i problemi da risolvere diventa massimo. E questo in sanità non va bene.
 
Quello di Rossi è un riordino al buio, senza alcun dato previsionale, che appare come una operazione poco meditata, ideologica, con l’obiettivo principale di garantire in modo autoritario controllo e uniformità.
 
Ivan Cavicchi

22 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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