Verso un nuovo PDTA per l’HIV in Liguria: diagnosi precoce, monitoraggio razionale e innovazione terapeutica

Verso un nuovo PDTA per l’HIV in Liguria: diagnosi precoce, monitoraggio razionale e innovazione terapeutica

Verso un nuovo PDTA per l’HIV in Liguria: diagnosi precoce, monitoraggio razionale e innovazione terapeutica
Il PDTA per l’HIV della Liguria risale al 2015 e necessita di un aggiornamento sostanziale alla luce dei progressi scientifici e organizzativi degli ultimi anni. Il DIAR Malattie Infettive sta lavorando a una revisione che sarà pronta entro la fine dell’estate 2025 e i cui tre pilastri sono: diagnosi precoce, monitoraggio personalizzato e innovazione terapeutica

La presa in carico dei pazienti con HIV non è omogenea su tutto il territorio nazionale. Alcune Regioni sono dotate di un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) dinamico e aggiornato, mentre altre si basano ancora su documenti obsoleti o, in alcuni casi, ne sono del tutto prive. In Liguria, il PDTA dedicato all’HIV risale al 2015 e non è più adeguato ai profondi cambiamenti avvenuti nell’ambito della diagnosi, del trattamento e del follow-up dell’infezione da HIV nell’ultimo decennio.

A occuparsi della riscrittura del documento è il Dipartimento Interaziendale Regionale (DIAR) Malattie Infettive, coordinato dal Prof. Matteo Bassetti. Il gruppo di lavoro include rappresentanti delle principali aziende sanitarie della Liguria, tra cui il Dott. Antonio Di Biagio, Dirigente Medico presso l’Ospedale Policlinico San Martino e Professore Associato di Malattie Infettive all’Università degli Studi di Genova.
L’obiettivo è completare il nuovo PDTA entro la fine dell’estate del 2025. “L’aggiornamento è diventato praticamente obbligatorio, considerando che la versione precedente risale a circa 10 anni fa e in cui la gestione terapeutica delle persone con HIV era molto diversa rispetto a oggi”, sottolinea Di Biagio. Secondo l’infettivologo, il nuovo documento dovrà focalizzarsi su tre aspetti fondamentali: diagnosi, monitoraggio e terapia.

1. Diagnosi precoce: far emergere il sommerso

“Il primo aspetto su cui concentrarsi è l’emersione del sommerso”, spiega Di Biagio. In molte Regioni, tra cui la Liguria, la diagnosi di HIV avviene ancora troppo tardi. “Non possiamo più permetterci di avere pazienti late presenter (cioè pazienti che vengono diagnosticati quando la malattia è in fase avanzata, n.d.r.). È quindi necessario implementare l’accesso al test HIV negli ospedali, nei centri territoriali e in tutti quegli ambulatori dove le persone possano recarsi facilmente a sottoporsi a uno screening. Bisogna abbattere il tabù del test.”
Solo attraverso una diagnosi precoce sarà possibile raggiungere il primo “90” (o”95”) dell’obiettivo 90-90-90 dell’UNAIDS, strategia globale per porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030: ovvero, che il 90% delle persone con HIV sia consapevole del proprio stato sierologico, il 90% delle persone diagnosticate riceva un trattamento antiretrovirale (ART) continuo, e il 90% di coloro in trattamento raggiunga la soppressione virale. Oggi l’obiettivo si è evoluto in un più ambizioso 95-95-95.

2. Monitoraggio su misura

“Il secondo aspetto riguarda il monitoraggio”, continua Di Biagio. “Attualmente viviamo in un contesto in cui, l’infezione da HIV, se curata in modo ottimale, non ha bisogno di controlli regolari ogni 3-6 mesi.” Secondo l’esperto, “le persone, per esempio quelle con una conta dei linfociti CD4 superiore a 500 cellule per microlitro di sangue e con una carica virale stabilmente soppressa possono essere visitati in controlli anche annuali”. Questo vale per coloro che non presentano patologie concomitanti ed è possibile grazie all’introduzione di terapia che hanno resto l’infezione da HIV una malattia cronica, per cui resta fondamentale verificare l’aderenza alla terapia.

3. Innovazione terapeutica

Il terzo pilastro della revisione riguarda l’innovazione terapeutica. “Bisognerà mettere a punto un percorso adeguato in tutti gli ospedali della rete ligure”, spiega Di Biagio. Il nuovo PDTA, secondo l’esperto, va ripensato nell’ottica di un futuro prossimo in cui ci saranno nuove modalità di somministrazione della terapia alle persone con infezione da HIV.

Verso una strategia nazionale integrata

Antonio Di Biagio ha partecipato anche alla stesura del nuovo Piano Nazionale di Interventi per la prevenzione dell’HIV, delle epatiti virali e delle infezioni sessualmente trasmesse (IST) 2024–2028, recentemente trasmesso dal Ministero della Salute alla Conferenza Stato-Regioni. Il documento punta a rafforzare le strategie di prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico, in linea con gli obiettivi dell’Oms per l’eliminazione delle epatiti virali e il contenimento di HIV e IST entro il 2030.

“È un piano moderno e non più italocentrico”, afferma Di Biagio. “La vera novità è la visione ampia: non ci si concentra più su una singola patologia, ma si considera l’HIV come una tra le diverse malattie sessualmente trasmesse. È un approccio integrato, che permette di uscire dalla logica di un piano solo sull’HIV/AIDS, aprendosi a una strategia complessiva”.

Un altro elemento innovativo è l’attenzione dedicata alla profilassi pre-esposizione (PrEP). “Rispetto al vecchio piano, qui la PrEP è molto più evidenziata, con un intero capitolo che ne valorizza il ruolo nella prevenzione. È un passo avanti verso un approccio più concreto e attuale”, sottolinea l’infettivologo.

Una prospettiva ambiziosa

Secondo Di Biagio, questo cambio di prospettiva comporta vantaggi e qualche rischio. “Il grande vantaggio è che l’HIV non è più ghettizzato in una piccola nicchia, ma viene inserito in un ampio gruppo di patologie. Il rischio è che, finendo in un grande calderone, alcune azioni possano essere applicate meno efficacemente. Ma credo che il gioco valga la candela: dopo anni di battaglie italocentriche con scarsi risultati – basti pensare ai circa 3.000 nuovi casi registrati ancora lo scorso anno – era il momento di provare una via diversa”.

Il piano adotta una prospettiva ambiziosa, ispirata a quella dei programmi globali. “Riprende l’approccio del Global Health, molto simile a quello americano, con obiettivi chiari: zero nuove infezioni, zero decessi e zero discriminazioni. Si tratta di uno strumento concreto, con azioni proposte e risultati attesi”.

Con il contributo non condizionante di

06 Maggio 2025

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