I disastri che si registrano quotidianamente nella sanità portano a supporre che si dia ad essi un significato incidentale piuttosto che sistemico. Le persone sono ingannate da una informazione che tratta marginalmente i problemi di vita comune, quella offesa da una offerta pubblica indegna.
Le guerre senza fine, la bella parentesi della elezione di Leone XIV che avrà un bel da farsi per scrollarsi da dosso il paragone con Bergoglio, un Trump che genera il dubbio se essere espressione di un metodo ovvero di una pazzia patologica lasciano poco spazio ai problemi di salute della gente.
Persino la Premier Meloni non sa cosa succede nel governo della sanità, tant’è che nel corso del question time di ieri alla Camera ha asserito, gravemente, l’esistenza dei nuovi Lea, dichiarando che «i cittadini potranno accedere a nuove prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale che, in alcuni casi, aspettavano da 20 anni». Dimenticando in ciò che quelli in vigenza sono quelli individuata dal Dpcm del lontano 12 gennaio 2017.
Per altri versi, l’unica richiesta che si sente freneticamente in giro è quella che occorrono più soldi, senza tuttavia sapere per fare cosa. Si fa ciò senza ben comprendere che il vero problema della sanità è strutturale con annesso l’insediamento di una immediata terapia d’urto contro i vizi umani che l’hanno resa carnefice e fonte di latrocini seriali nonché di occupazioni di spazi di una casta di manager che, con i sinuosi giri e rigiri di sedi aziendali, fanno e disfanno ciò che vogliono con la complicità della politica che la governa.
I fatti che ne forniscono la prova? Tanti!
Tutto questo lascia supporre alcune domande utili a semplificare il problema e a stimolare il Governo a proporre una sua riforma radicale.
Domanda 1. Ma come può funzionare una sanità o un servizio sanitario nazionale lasciato gestire a poco meno di 300 direttori generali e altrettanti direttori amministrativi e altrettanti direttori sanitari che in effetti sono la prova provata di un insuccesso che dura da decenni, tanto da essere ripetutamente chiamati a gestire il nuovo dopo avere distrutto il vecchio, cui gli stessi erano stati preposti? Passano da nord a sud, dalla Calabria alle Alpi, grazie a procedure selettive indegne sul piano meritocratico, concretizzando con una facilità estrema “reati” sociali, dei quali poi nessuno paga, neppure la politica che gestisce questa macabra giostra di “illuminati” senza fine e titoli di merito.
Domanda 2. Ma come può funzionare una sanità con un esercito dei revisori (a fronte dei tanti che sanno ciò che fanno!) che fanno male ciò che devono venendo meno ai loro doveri, nonostante ben retribuiti e provenienze da istituzioni pubbliche qualificate? Relazionano a comando politico, tollerano bilanci incomprensibili e pieni zeppi di falsi, violano principi fondamentali, primo fra tutti quello ineludibile della continuità. Si arrendono alle decisioni di advisor superpagati – strumentalmente nominati per giustificare, come i nonni, “le assenze da scuola” – vuote di riferimenti normativi e di assunzioni di responsabilità mediante firma, tali da sembrare più avvezzi alla letteratura che alla regolazione della contabilità.
Domanda 3. Ma come può funzionare una sanità se non riesce a contare su una Magistratura contabile che verifica e accerta a giorni alterni, meglio a macchia di leopardo. Che non prende esempio dall’attenta parifica effettuata nel 2023 (delibera 148) dalla Sezione regionale di controllo romana del rendiconto consolidato della Regione Lazio del 2022 ove la Corte ha evidenziato gravi marachelle contabili per circa un miliardo di crediti inesatti, nei confronti delle quali è davvero difficile comprendere gli esiti registrati sulla notizia criminis a cura del magistrato penale? Un’alternanza territoriale che, pare, calmierarsi negli ultimi tempi in alcune regioni (Emilia-Romagna e Puglia), tanto da fare sperare in meglio.
Domanda 4. Ma come può funzionare un servizio sanitario nazionale che consente l’essere in vita di 28 sedicenti AOU su 31, che si comportano come tali, spendendo e spandendo illiceità a tutto spiano, senza essere mai state riconosciute come tali attraverso il prescritto Dpcm. Il tutto con una politica parlamentare che rinvia, incomprensibilmente, al mittente (il Governo) un emendamento al Ddl sul riordino delle professioni sanitarie che avrebbe sanato, sul piano giuridico-economico, tutti gli atti dalle medesime adottate per decenni viziati da nullità assoluta.
Domanda 5. Ma come si fa a “vendere” per sanità pubblica con la garanzia di servizio che offrono gli IRCCS che, gestiti in regime di fondazione privata, sono 30 su 51, costituenti (unitamente ovviamente a quelli pubblici) la migliore offerta ospedaliera, raccogliendo così la domanda miliardaria di mobilità passiva proveniente dalle regioni senza diritti?
Domanda 6. Ma come si fa a supporre di garantire l’assistenza ospedaliera e territoriale, la prima quanto garanzia erogativa delle strutture e la seconda sul piano ipotetico? Ciò perché ci si è “accontentati” dell’adozione di due decreti del Ministero della Salute (n. 70/23015 e 77/2022), il primo certamente di qualità migliore, ai quali si attribuisce il valore di legge, tanto da modificare il modello organizzativo-erogativo stabilito dal d.lgs. 502/1992? Il tutto, lasciando prive le persone, rispettivamente, di strutture ospedaliere pubbliche persino sprovviste dei requisiti necessari per l’accreditamento, e di case e ospedali di comunità sulla carta – peraltro distribuiti senza corrette analisi preventive del fabbisogno epidemiologico rilevato sul territorio – che rimarranno verosimilmente tali nonostante i “soldoni” messi a disposizione dal PNRR.
Tralasciando le altre innumerevoli naturali domande, che sarebbe giusto porsi per una sanità pubblica così scandalosa, è dato arguire la inderogabilità di dovere ricorrere, presto, ad una riforma strutturale che la riscriva da capo. Ciò in quanto l’essere ricorso a correzioni approvate a pezzettini ha creato un pericoloso collage, una organizzazione della salute instabile, differenziata, generativa di privilegi e offensiva della tutela della salute di cui all’art. 32 della Costituzione. Basti vedere la condizione di “guerra” constatabile nei pronti soccorsi e nelle liste d’attesa, per rendersi conto, da una parte, delle rovine e, dall’altra, della necessità per la politica tutta di correre!
Ettore Jorio