Medici e infermieri: istrici senza ali. Il dilemma della riforma delle prassi nella medicina interna

Medici e infermieri: istrici senza ali. Il dilemma della riforma delle prassi nella medicina interna

Medici e infermieri: istrici senza ali. Il dilemma della riforma delle prassi nella medicina interna
Il congresso Fado-Animo ha mostrato chiaramente i limiti dell’attuale collaborazione medico-infermieristica, che viene spesso spacciata per interdisciplinarietà senza esserlo realmente. Ho proposto, invece, una visione di concomitanza e coevoluzione tra le due professioni, che superi la mera cooperazione e punti a una riforma giuridica strutturale del lavoro di cura. Solo così sarà possibile affrontare adeguatamente la complessità della medicina contemporanea e dare finalmente “le ali” a questi istrici, per farli volare insieme

Pochi giorni fa, a Torino, (congresso nazionale FADOI ANIMO) sono stato invitato a parlare di nuovo del “dilemma degli istrici”, cioè, delle difficoltà, di medici e infermieri, nel campo della medicina interna, a dare luogo a nuove prassi.

Modo di essere e modo di fare

Queste due importanti professioni, da anni, hanno capito, molto prima degli altri, che, nei contesti in cui viviamo e lavoriamo, bisognerebbe, per tante ragioni, cambiare le “prassi”, cioè il “modo di lavorare”, ma, siccome, cambiare le prassi, come ho dimostrato, non è possibile senza cambiare il “modo di essere”, e, siccome, cambiare il “modo di essere”, nel nostro campo, è prima di tutto un problema giuridico, che nessuno vuole affrontare, alla fine, sia i medici, che gli infermieri, esattamente come gli istrici, finiscono, inevitabilmente, per pungersi. Queste professioni vorrebbero cambiare ma, restando prigionieri di vecchie norme, quindi di vecchie ontologie professionali, alla fine, non possono fare altro che pungersi.

Un cambiamento giuridico non semplice

Cambiare delle prassi, soprattutto in sanità, non è semplice, perché il cambiamento che servirebbe, alla fine di tutto, dovrebbe essere giuridico, dal momento che da noi, quello che si fa, giustamente, deve essere normato. Da noi ovviamente la deregulation non può essere ammessa. Ancora oggi, quindi, le norme che disciplinano sia i medici che gli infermieri, sono vecchie e appartengono ad un mondo che, oggettivamente, non c’è più.

FADOI e ANIMO, per esempio, vorrebbero l’interdisciplinarietà ma, come cercherò di spiegare, a causa delle norme che definiscono queste professioni, esse più in là della solita collaborazione, non riescono ad andare.

Più diagnosi vuol dire solo più conoscenza

Vorrei fare un esempio. Secondo la nuova visione del caring gli infermieri dovrebbero avere una parte nella diagnosi (diagnosi infermieristica) ma ancora oggi i medici (immagino anche FADOI) ritengono, sbagliando, che sia una invasione di campo, quando non lo è. Al contrario questa “seconda diagnosi” è del tutto complementare a quella dei medici e non toglie loro niente, anzi offre loro una integrazione della diagnosi clinica tradizionale contribuendo così ad accrescere la conoscenza del malato. Non si tratta di una diagnosi clinica ma di una diagnosi “ontica” del malato e che ricorda molto il concetto di “biotipo”, di “costituzione” e il “processo di individualizzazione” usato per esempio dai medici omeopatici.

Questo, per il malato, ma anche per il medico, è, innegabilmente un vantaggio.

Il problema degli attriti

I medici e gli infermieri quindi è come se avessero ancora nonostante tutto un “eccesso di attriti” tutti giuridici, eccesso che deriva dalle norme che, ancora oggi, li definiscono e che, a proposito di prassi, alla fine impediscono loro di co-evolvere per davvero.

Ciò vuol dire che, l’invarianza giuridica, è la prima vera causa delle loro difficoltà. Queste professioni, per non pungersi e essere interdisciplinari, dovrebbero avere, ben altre norme, ben altri modi di operare e ben altre organizzazioni.

Ricordo che l’attrito per la fisica è una forza che si oppone al movimento (aggiungo, io, anche al cambiamento) che per essere vinta obbliga, sia FADOI che ANIMO, a spendere la maggior parte della loro energia, cioè della loro voglia di cambiare, solo per riuscire a stare insieme, cercando semplicemente, proprio come gli istrici, di pungersi il meno possibile.

Ed è esattamente quello che ho visto nel loro congresso a Torino.

Istrici senza ali e strategie di coping

La grande contraddizione che mi è parso di vedere, quasi sullo sfondo, al congresso a cui ero stato invitato, era proprio questa: prassi professionali che vorrebbero cambiare ma che non riescono ad emanciparsi da vecchie norme giuridiche.

I medici e gli infermieri di FADOI e di ANIMO vorrebbero volare ma non hanno le ali per farlo. I medici e gli infermieri sono “istrici senza ali” per cui appena si muovono si pungono, nel senso che appena vanno oltre i loro confini tradizionali, dei loro schemi giuridici, sorgono problemi.

Per evitare di pungersi, i medici e gli infermieri ricorrono a quella che nel campo della salute mentale i counselor definiscono “strategia di coping”. I medici e gli infermieri se la suonano e se la cantano al meglio facendo grande attenzione a non pestarsi i calli. Questo è il coping.

Sbavature, fallacie e contraddizioni

Coping vuol dire “far fronte”, “fronteggiare”, “tenere testa” e si usa per tenere sotto controllo, affrontare e/o minimizzare conflitti e situazioni o eventi difficili.

Vorrei fare degli esempi di coping ma prendendoli direttamente dal congresso al quale con grande piacere e grande interesse ho partecipato:

  • Il tema sul quale ero stato chiamato a discutere era “l’interprofessionalità”, in realtà nel congresso non si è andati oltre la classica collaborazione medico-infermieristica. Sia il medico che l’infermiere “senza ali” non possono fare altro che collaborare, cioè essere conformi alle loro norme giuridiche di riferimento, accettando di fatto una storica divisione del lavoro che ormai è davvero vecchia come il “cucco”.

  • Le relazioni che ho avuto modo di ascoltare erano relative a casi clinici, le quali, per essere “multi-disciplinari”, sono state svolte nel tempo loro assegnato, circa 10 minuti, conferendo 5 minuti al medico e 5 minuti all’infermiere. Definisco semplicemente naïf e ingenua questa idea di interdisciplinarietà.

  • Il mio intervento era stato previsto in una “congiunta”, così almeno era denominata nel programma, cioè in una assemblea inter-disciplinare evidentemente fatta sia da medici che da infermieri, ma che, essendo essa stata organizzata da “ANIMO”, in realtà era di fatto una assemblea a stragrande maggioranza di infermieri. Di “congiunto” essa aveva solo il desiderio di sembrare tale.

La questione dell’interdisciplinarietà

Parliamo quindi del tema di fondo del congresso FADOI/ANIMO, cioè dell’interdisciplinarietà. Non voglio farla lunga, ma fare solo un accenno.

La questione dell’interdisciplinarietà sorge almeno 50 anni fa, sia a livello di scienza che di filosofia, nel momento in cui si afferma la grande questione della complessità, rispetto alla quale ancora oggi la medicina, le università e le norme giuridiche dei medici e degli infermieri sono a dir poco parecchio in ritardo.

Con l’avvento della complessità si scopre che l’unico mondo che credevamo di conoscere (nel nostro campo quello della malattia) in realtà è fatto da tanti mondi, che i nostri silos o “insiemi” in realtà sono sistemi interrelati e interconnessi, e che la realtà è fatta da malattia, da malati e da contesti sociali, e che quindi curare non è semplicemente una questione clinica solo biologica, ma è molto di più.

Cioè si scopre che una cosa è la complicazione e una cosa è la complessità. La definizione di “malato complesso” in genere viene attribuita alla medicina interna, ma quel malato che gli internisti credono complesso in realtà è solo un malato complicato ma che di complesso ha davvero molto poco.

Ma a parte ciò, nell’ambito della medicina interna, ci si rende conto, comunque, che per comprendere la realtà complessa del malato non basta più che i diversi saperi collaborino tra di loro, ma ci vorrebbe qualcosa in più, cioè ci vorrebbe addirittura l’interdisciplinarietà, o la transdisciplinarietà, o la multidisciplinarietà. Ma per fare qualcosa di più bisognerebbe assumere la “relazione terapeutica come metodo”.

Un manifesto illuminante

Nel 1996 i più importanti teorici della complessità (Basarab Nicolescu, Edgar Morin e Lima de Freitas) redigono in un monastero del Portogallo un manifesto addirittura sulla trans-disciplinarietà, quindi sull’interdisciplinarietà, con il quale sostanzialmente ci dicono che se la realtà è complessa allora bisogna reimparare a conoscerla, cioè bisogna definire nuovi ragionamenti, quindi nuove logiche, dotarci di nuove epistemologie, ecc. ecc. Cose che ovviamente la nostra medicina scientifica, compresa la medicina interna, non è ancora riuscita a fare.

Noi parliamo di multidisciplinarietà, ma in realtà solo per chiamare la collaborazione classica con un altro nome e per farla sembrare più avanzata e moderna.

La collaborazione in medicina interna è un modo di fare che rientra in una visione semplice della malattia; l’interdisciplinarietà, al contrario, è un modo di fare che rientra in una visione complessa del malato, ma che di fatto è preclusa, quindi esclusa, dalle norme giuridiche vigenti.

Se non riformi ti pungi

Se… per ragioni di complessità in medicina:

  • non basta più che i medici e gli infermieri collaborino come hanno sempre fatto,

  • se è necessario diventare multidisciplinari perché solo a questa condizione si possono riformare le prassi,

  • e se le prassi che non vanno oltre la cooperazione derivano da apparati concettuali superati e anacronistici,

… allora, come dicevo prima, per essere multidisciplinari e avere nuove prassi, quindi evitare di pungerti, devi riformare i presupposti concettuali che fino ad ora hanno definito sia i medici che gli operatori. Presupposti che nessuno ha mai ridefinito.

In sostanza, se volessimo per davvero essere multidisciplinari, bisognerebbe riformare un po’ di cose perché se non riformi ti pungi, cioè:

  • sarai costretto, come FADOI e ANIMO, ad adottare una “strategia di coping” chiamando la collaborazione multidisciplinarietà;

  • dovrai fare come FADOI e ANIMO, cioè delle finte “congiunte”, come quella alla quale ho partecipato io;

  • e spaccherai, come FADOI e ANIMO, inutilmente in due lo stesso caso clinico, convinto che se esso è spiegato per metà da un medico e per metà da un infermiere, avrai fatto l’interdisciplinarietà.

Ma si fa presto a dire riformare

Non ho voglia, avendolo già fatto tante volte, ribadire le mie critiche nei confronti di chi rappresenta tanto i medici che gli infermieri. Mal me ne incolse. Qui mi limiterò semplicemente a proporvi due link. Il primo che riassume il programma della FNOMCeO, quello presentato di recente in occasione della rielezione del suo quadro dirigente, e il secondo che ci spiega lo smarrimento in cui da anni si trova la FNOPI. (…)

Nel primo link i verbi “riformare”, “ripensare” non appartengono al vocabolario dei medici. Ormai, almeno per me, il medico è una professione chiusa, in difesa del proprio passato e quindi in caduta libera, e, come ho scritto già più volte, destinata, con mio grande rincrescimento, a diventare esattamente la negazione della professione intellettuale che è sempre stata.

Nel secondo link, gli infermieri continuano a proporsi di fatto come le prime controparti dei medici e, alla faccia della cooperazione e dell’interdisciplinarietà, addirittura come i loro principali concorrenti.

Quando si arriva a parlare di “contendibilità dei ruoli”, da una parte (FNOPI), e di difesa ad oltranza del proprio ruolo, dall’altra (FNOMCeO), chi come me con i suoi libri parla da anni di concomitanza dei ruoli, di ausiliarità reciproca, di relazione interdipendente, quindi di multidisciplinarietà, e teorizza di sostituire il principio dell’ascription con il principio dell’achievement, quindi di sostituire i compitieri con gli autori, ecc., è come messo fuori gioco, esattamente alla stregua quasi di un nemico.

Non so da quanto tempo non mi capita di essere invitato dalla FNOMCeO e dalla FNOPI a spiegare le mie tesi eretiche. Quelle vecchie e quelle nuove. Anche per questo sarò sempre grato a FADOI e ad ANIMO che almeno mi danno intellettualmente la possibilità di esistere come pensiero.

Tanto per chiarire

A me, quello che fa FADOI e ANIMO, infatti, mi interessa molto, per tante ragioni, perché sono convinto, lo dico chiaramente, che se queste due meravigliose professioni le mettiamo insieme, esse rappresenterebbero di fatto un soggetto politico ragguardevole ma soprattutto un soggetto forte con il quale tutti (compreso FNOMCeO e FNOPI) devono fare i conti.

Come si potrebbero ignorare due professioni tanto centrali che insieme rappresentano la funzione fondamentale della cura e che insieme rappresentano almeno un milione di operatori che hanno rapporti con milioni di cittadini, quindi sono gli unici che con le loro relazioni hanno rapporti diretti con i primari bisogni di questa società?

Ma se è importante essere in tanti per contare, forse è ancora più importante avere la proposta giusta. Una proposta che, ancora, per tutte le ragioni dette prima, non vedo. Una proposta che ancora non abbiamo scritto, ma della quale noi, come professioni, abbiamo per intero la responsabilità.

La proposta giusta

Per me la proposta giusta è quella:

  • di due professioni complementari e reciprocamente ausiliarie, che sarebbe sbagliato contrapporre e separare;

  • che nel contesto sociale, culturale ed economico dato, sono chiamate ad interpretare un nuovo grado di complessità della cura e ad avere relazioni complesse con questa società, quindi ad essere per forza interdisciplinari;

  • quindi a ridefinirsi giuridicamente di conseguenza e quindi a riformare le loro prassi, i loro ruoli, le loro autonomie, ma senza rinunciare mai, sottolineo mai, alla loro concomitanza, che è la loro forza.

(…segue nell’ultimo messaggio)

Concomitanza e coevoluzione

Per me, ripetendo ciò che ho detto a Torino, le due parole chiave sono “concomitanza” e “coevoluzione” e, in futuro, mi piacerebbe fare come quelli della complessità e scrivere, insieme a voi, un bel manifesto.

Nella prima parte definirei cosa è la medicina oggi e quindi cosa è la medicina interna e la medicina della complessità. Secondo me, se è vero che la medicina è una “scienza impareggiabile”, allora è arrivato il momento di superare le definizioni convenzionali, quindi classiche — per esempio, di medicina interna. Nelle complessità del nostro tempo queste definizioni, a causa della loro genericità e della loro arretratezza, non reggono più. Questo secondo me è il caso della medicina interna.

Nella seconda parte, a partire da una nuova idea di medicina complessa, cercherei di capire almeno quattro cose:

  • perché gli istrici dovrebbero avere le ali;

  • perché, nonostante tutto, ancora non ce l’hanno e chi impedisce loro di averle;

  • cosa bisognerebbe fare in concreto per dare agli istrici le ali di cui hanno bisogno.

In sostanza, tenterei di mettere in piedi una proposta di “riforma giuridica del lavoro di cura” e, quindi, a seguire una proposta di “riforma delle professioni di cura”, quelle incaricate per legge a garantire la loro adeguatezza alle complessità della realtà.

Conclusione: tutti allo stadio olimpico

Dopo di che, una volta definita la “proposta giusta”, organizzerei, tutti d’accordo — ordini, sindacati, società scientifiche — allo Stadio Olimpico di Roma (capacità omologata 70.000 persone), gli Stati Generali delle professioni medico-sanitarie e alla politica e al parlamento (chiunque sia al governo) chiederei di fare le leggi che mancano e delle quali sia noi che i cittadini, quindi sia la sanità che la società, hanno un disperato bisogno.

Come medicina e come sanità mi sono rotto le scatole di essere trattato come una pezza da piedi.

Ivan Cavicchi

Ivan Cavicchi

16 Maggio 2025

© Riproduzione riservata

Migliorano screening e territorio, ma tempi di attesa per interventi e Pronto soccorso restano critici. Ecco le performance di Asl e Ospedali
Migliorano screening e territorio, ma tempi di attesa per interventi e Pronto soccorso restano critici. Ecco le performance di Asl e Ospedali

Dalle Asl, che mostrano un significativo recupero soprattutto negli screening oncologici e nei servizi territoriali, alle Aziende ospedaliere, dove invece permangono criticità importanti sui tempi di attesa e nei Pronto...

Italia da record per longevità, ma l’assistenza agli anziani è in affanno
Italia da record per longevità, ma l’assistenza agli anziani è in affanno

Con un’aspettativa di vita alla nascita di 83,5 anni, l’Italia si conferma tra i Paesi più longevi al mondo, superando di ben 2,4 anni la media Ocse (81,1). Un primato...

Alzheimer. Iss: “Forte squilibrio Nord-Sud nell’accesso ai servizi sulle demenze”
Alzheimer. Iss: “Forte squilibrio Nord-Sud nell’accesso ai servizi sulle demenze”

In Italia c’è un forte squilibrio nella distribuzione di Rsa e Centri Diurni, presidi fondamentali per l’assistenza alle persone con demenza, con il Sud che ha un quarto delle strutture...

Europa. Metà delle diagnosi di Hiv è in ritardo: allarme per l’obiettivo 2030
Europa. Metà delle diagnosi di Hiv è in ritardo: allarme per l’obiettivo 2030

L’Europa sta fallendo nella diagnosi precoce dell’Hiv, con oltre la metà delle persone che scopre di aver contratto il virus solo quando la malattia è già in fase avanzata. È...